FRANCESCA GIULIANI | In attesa dell’anteprima a Ravenna in occasione del “Festival Ammutinamenti” il 9 Settembre e del successivo debutto in prima nazionale durante il “TorinoDanza Festival” il prossimo 16 settembre abbiamo incontrato il coreografo e danzatore Daniele Albanese che ci ha parlato del suo ultimo progetto Von.
Come è nato il titolo Von? Il titolo è stato deciso a creazione ultimata. Per molto tempo, nel progetto scritto, ho usato un titolo provvisorio. Von è una particella grammaticale della lingua tedesca che ha avuto diversi utilizzi nel corso del tempo: per un periodo è stata usata in riferimento a titoli nobiliari, ma questo è cambiato in altri periodi storici. Indica la provenienza e l’appartenenza a un luogo, la ritroviamo spesso in alcuni cognomi. Banalmente possiamo tradurla con “di” o “da”. L’intero spettacolo si rifà ad un luogo, ad uno spazio, a un mondo che non è qui, governato da leggi e modi propri ma non definito, un altrove. Il suono mi è sempre piaciuto, è breve, è secco e mi ricorda artisti, personaggi e film che ho amato e che in qualche misura mi hanno formato: da Heinrich von Kleist a Le amare lacrime di Petra von Kant …
Ho visto il breve video promo dello spettacolo e già da li si nota un preciso scambio tra linee nette e linee curve che si dividono in cerchi e semicerchi; e ancora uno scambio preciso tra ripetizione e trasformazione. Come è proseguito il lavoro in questo anno di ricerche? Quando ci siamo parlati l’ultima volta avevo delle note del lavoro complessivo e avevo appena creato il solo finale. Quest’anno è servito a mettere a fuoco alcuni punti cardine, alcune opposizioni con cui gioca la coreografia. Tutto si articola tra chiaro e scuro, tra linea e curva, tra un’azione e quella seguente. Ho scritto anche un testo semplice, fatto di ripetizione e combinazione che sentiamo durante lo spettacolo e che accompagna la visione. È stata anche fissata la macro struttura: assolo, duo centrale, assolo finale.
Sempre riferendomi al video promo di Von mi ha impressionato molto il lavoro delle luci sui corpi. È come se la scenografia luminosa evidenziasse rendendolo visibile un particolare movimento di frazioni di corpo. Come avviene la scrittura drammaturgica della luce? Come hai lavorato insieme a Alessio Guerra? Nei miei lavori non c’è scrittura coreografica senza un rapporto chiaro con lo spazio. Questa può sembrare una banalità ma nel mio modo di pensare al corpo e al movimento il luogo, la posizione, la direzione, la geometria dello spazio è un tutt’uno con la scrittura. Immagino lo spazio e la danza allo stesso tempo e lo spazio per me è luce. Ho iniziato il lavoro quindi con idee e intuizioni in parte definite e con Alessio Guerra le abbiamo precisate e in parte modificate. Per entrambi era fondamentale la contrapposizione e l’alternarsi di luce e buio, in una dinamica mobile e in continua trasformazione. Come la danza la luce non è mai fissa, anzi spesso è pulsante. La coreografia è davvero una coreografia di movimento, luce e suono.
In che modo lavori alla coreografia insieme agli altri interpreti Marta Ciappina e Giulio Petrucci? Conosco Marta da diversi anni, con lei ho creato il duo D.O.G.M.A. che Marta ha danzato insieme a Francesca Burzacchini e Giulio l’ho incontrato in una master class che ho tenuto a Parma. Mi sembravano perfetti per questo lavoro per duttilità e precisione e li ho sempre immaginati molto bene insieme. Per tanti anni ho lavorato in assolo, questo mi ha permesso di mettere a fuoco un linguaggio personale che ora diventa relativamente facile passare ad altri interpreti. Ovviamente gli interpreti a loro volta trasformano le informazioni che pongo ma so riconoscere quando la strada è giusta o deve essere corretta. Abbiamo lavorato facendo esperimenti, partendo da indicazioni iniziali. Li ho osservati moltissimo e ogni volta davo feedback su cosa avevo appena osservato e continui dettagli a cui pensare. Si è trattato in fondo di un processo di continui riaggiustamenti e ricalibrazioni. Tutti e tre abbiamo i nostri quaderni di appunti che contengono note dalle più generali al più piccolo dettaglio, a volte basta un’indicazione generale per creare il gioco coreografico richiesto, a volte bisogna proprio tenere gli occhi in quel punto per far funzionare la cosa.
Come ti sei confrontato invece con la creazione dei musicisti Lorenzo Donadei e Luca Nasciuti? Circa un anno prima del debutto di Von (ha debuttato il 24 febbraio scorso al Festival Les Hivernales) ho creato in residenza a Longiano l’assolo finale, con la musica di Luca Nasciuti. All’epoca non sapevo ancora che questo sarebbe stato parte di Von e tantomeno la parte finale. Con Luca c’è stato un incontro tra artisti, non avevamo un goal preciso. I rispettivi lavori avevano molti punti di pensiero in comune. Entrambi pensiamo e lavoriamo sempre contemporaneamente a piani diversi e questo ci permette di spostarci non solo in cose diverse ma in modi diversi: questo ha creato un link danza-musica molto forte. Con Lorenzo alcune strutture di coreografia erano già chiare, dovevamo trovare il giusto apporto della musica, e questa a sua volta ha aiutato a chiarire alcune buchi di senso della danza; con Lorenzo è stato un lavoro di precisione, di cesellatura, abbiamo tutti tirato un sospiro di sollievo quando l’incastro luce, suono e danza è terminato, è stato a tratti un processo po’ maniacale. In entrambi i casi la musica mostra il campo di forze che agisce sul corpo plasmandolo.
Nella presentazione del lavoro scrivi: “All’origine del progetto c’è l’idea di Orizzonte degli eventi – il termine usato in astrofisica per delimitare la superficie limite oltre la quale nessun evento può influenzare un osservatore esterno”. Penso quindi allo spettatore. In che modo lavori alla scrittura coreografica pensando al possibile spettatore che assisterà al lavoro? Mi rendo conto che i miei lavori si dividono in due categorie principali che si alternano, quelli che io chiamo oscuri e quelli chiari. In quelli chiari ciò che vedi è ciò che c’è. In quelli oscuri, come nel caso di Von, la partitura coreografica è più complessa e in genere non mi interessa dire una cosa precisa ma mostrare un campo di indagine, o meglio farlo percepire. In questo senso lo spettacolo funziona quando il pubblico è catturato, forse senza sapere esattamente perché, e solo dopo, nella memoria, può porsi delle domande su cosa ha visto e vissuto. Entrambi i sistemi prevedono dei rischi e dei benefici. Così come non puoi vedere un buco nero, puoi osservare ciò che è attorno, puoi studiarlo studiandone i confini e gli spazi prossimali, in Von ho tentato questa strada di comunicazione avvolgente, ipnotica e a tratti indiretta.
A cosa stai lavorando ora? Sto lavorando a due progetti, secondo l’alternanza che ho appena indicato credo saranno lavori ‘chiari’, in qualche misura più semplici. Uno è un Solo, di cui sono già entusiasta ma preferisco non parlarne, è una specie di lavoro segreto, tento di non avere pressioni esterne finché non lo sento sufficientemente pronto – voglio tornare un po’ alle origini del mio lavorare in solitudine. L’altro è un duo con una straordinaria danzatrice di 67 anni, che è stata mia maestra in Olanda, Eva Karckzag, e anche ex danzatrice di Trisha Brown.Si muove meglio e con più fluidità di un bambino di 6 anni, è davvero un onore per me danzare con lei e imparo tantissimo.Spero arrivi relativamente presto in Italia, da Settembre cercherò di definire calendari e produzione del progetto. È un duo sul movimento degli stormi di uccelli, sulla comunicazione non verbale, sul movimento in senso ampio.
VON
Compagnia Stalker | Daniele Albanese
Idea e realizzazione Daniele Albanese
danza Daniele Albanese, Marta Ciappina, Giulio Petrucci
musica originale Lorenzo Donadei, Luca Nasciuti (ultimo assolo)
light design Alessio Guerra
in coproduzione con Torinodanza festival / Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale
CDC – Les Hivernales, Halles de Schaerbeek
con il sostegno di Garage 29, Associazione Stalk
Progetto sostenuto da CollaborAction #3 – azione Network Anticorpi XL
Spettacolo inserito in MITO SettembreMusica