ELENA SCOLARI | E ora Nobel! Del 1926, sì, ma rimane ad oggi l’unico Nobel per la letteratura dato a una scrittrice italiana. Per dire. Riprendiamo il reportage sardo sul Festival dei Tacchi parlando di Quasi Grazia, una lettura scenica che sarà produzione teatrale di Sardegna Teatri, testo di Marcello Fois dedicato a Grazia Deledda, regia di Veronica Cruciani. In scena tre attori professionisti (Lia Careddu, Valentino Mannias e Marco Brinzi) e la scrittrice Michela Murgia, sorprendentemente brava e decisa nel ruolo della Deledda.
Confessiamo la colpevole scarsa conoscenza del premio Nobel sardo, sulla quale apprendiamo molte cose proprio da questa lettura, assai avanzata dal punto di vista drammaturgico: i ruoli sono già molto ben disegnati, i personaggi sono la madre, il marito, uno dei sette fratelli e il medico della Deledda, tutti con caratteristiche già evidenti e sfumature precise.
Grazia Deledda era una donna forte, volitiva, spiritosa, severa e intelligente. Lascia la sua Nuoro a 29 anni per andare “in continente”, a Roma, con il suo futuro marito, il funzionario ministeriale Palmiro Madesani (mantovano ma che qui parla con accento berlusconiano, mah), per poter fare la scrittrice. Per liberarsi “di quello che dice la gente” di una donna sarda che “si inventa storie e scrive degli affari dei suoi concittadini”.
La messa in scena presentata è basata su un bel testo, vivace, movimentato, non privo di arguzie soprattutto per le parti di Deledda e madre. Lia Careddu è colonna interpretativa salda per una donna dura, con pochi dubbi ma sensibilità sottile. Si intuiscono i movimenti scenici che potrà portare la regia di Cruciani nella versione pienamente teatrale del lavoro, soprattutto per la precisione che i personaggi già delineano ora, ognuno ha una nicchia ben ritagliata che andrà amalgamata nei rapporti tra ruolo e ruolo, non più in un rapporto frontale con il solo pubblico.
La scrittrice Michela Murgia è parte del buon equilibrio recitativo tra gli attori, il vantaggio intimo di capire cosa può aver provato la Deledda nella sua scelta di vita è trasformato in un’interpretazione calorosa e appassionata, forse solo da rendere un po’ più sfumato in alcuni passaggi biografici particolarmente dolorosi.
Quasi Grazia è lontano dall’essere un santino, è un affresco vitale di una grande artista, indissolubilmente legata alla Sardegna d’allora ma che ne mostra anche i lati meno facili: il conservatorismo e la diffidenza. Aspettiamo che arrivi in continente la forma finale di questa lettura che anche attraverso il misurato utilizzo di inserti in dialetto nuorese si inscrive nel novero di un teatro contemporaneo con i piedi ben radicati nel proprio territorio d’origine. Attenzione che la direzione artistica di Giancarlo Biffi ha marcato anche con la presenza di Macbettu di Sardegna Teatro con la regia di Alessandro Serra, di cui PAC ha già parlato.
La compagnia padrona di casa, Cada Die Teatro, declina la propria “sardità” con un nuovo capitolo del lavoro di studio che Pierpaolo Piludu sta svolgendo da alcuni anni intorno alla storia della città di Cagliari, e segnatamente ai bombardamenti subìti durante la seconda guerra mondiale, in collaborazione con l’Università di Cagliari e l’Istituto Superiore Regionale Etnografico della Sardegna.
Cielo nero è un monologo scritto dal drammaturgo Francesco Niccolini incentrato su due fratelli gemelli, Efisio e Antioco Mereu, molto uniti, uguali nell’aspetto ma assai diversi per carattere. Cresceranno insieme fino a quando la guerra li separerà perché il primo rimarrà in marina a Cagliari e il secondo sarà mandato sul terribile fronte russo.
Vediamo lo spettacolo in una piccola cantina, freschissima, che sembra una grotta, quasi un rifugio che ricorda i sotterranei dove ci si rifugiava al pauroso canto della sirena d’allarme antiaereo. Piludu guida la narrazione con il suo stile familiare, gli vediamo note di emozione autentica mentre descrive le vie e le vite della sua città, rese vivide dalle suggestioni raccolte nelle interviste ai testimoni di quel tempo. Cagliari è rimasta quasi impermeabile al conflitto fino al 1943, anno in cui i bombardamenti arrivano, tanto improvvisi quanto distruttivi.
Il testo di Niccolini scorre fluido per tutta la parte giovanile dei due fratelli: l’infanzia, i giochi, la complicità “gemellare” nel fare scherzi, la vivezza di un milieu popolare caldo e pieno di umanità, l’essere complementari per inclinazioni (Efisio portato per lo studio e Antioco per l’azione), si inceppa invece un po’ quando – con l’età adulta dei due protagonisti – la caratterizzazione dei personaggi dovrebbe affondare in una maggior profondità. Il maestro (inteso come figura di riferimento) di Efisio e la donna di cui entrambi i gemelli si innamorano, per esempio, rimangono abbozzati, non arrivano ad incarnare un’importanza che rimane più nell’idea che nel copione. E questo avviene in corrispondenza dell’affastellamento di temi di cui soffre la seconda parte dello spettacolo: Russia, fascismo, famiglia, amori, esercito, accenni di politica, allargamento geografico del racconto sfuocano l’attenzione dal centro narrativo: bella è l’immagine del cielo che si rabbuia tanti erano gli aerei in formazione che coprivano Cagliari e gettavano bombe, e bellissima la descrizione del secondo attacco che “uccideva anche i morti”, il bombardamento sul cimitero. Questo momento risulta però un po’ schiacciato dalla volontà di toccare troppi aspetti, perdendo di vista la forza dello spettacolo che sta invece proprio nel mettere luce su un’area precisa, poi su una città e sulla sua gente. Ė chiaro che non si può trascurare la Storia, ma nemmeno andare troppo per accenni.
Gli americani passano da accaniti nemici a bonari soldatini che distribuiscono collant in un attimo, il che è anche storicamente vero ma questo ha creato grande disorientamento, sconcerto, incredulità, non solo una momentanea sorpresa.
Pierpaolo Piludu si muove sulla scena con un’atteggiamento volutamente smarrito, sostenuto dalle curate sonorizzazioni di Matteo Sanna, un bel modo di rendere fisica la confusione, lo sgomento, l’annaspare tra schieramenti ribaltati dalla sera alla mattina. Poco incisiva teatralmente è invece la comparsa di Mussolini prigioniero, indebolito e solo, la sua figura nel momento del declino inarrestabile meriterebbe un’analisi e uno spettacolo a sé.
Ricordiamo che hanno composto il programma del Festival dei Tacchi 2017 anche spettacoli di compagnie italiane “minori” come l’Enrico e Quinto di Fontemaggiore con Stefano Cipiciani per la regia di Civica, tra arcieri e Plantageneti shakespeariani; il Viaggio ad Auschwitz di Melarancio con Gimmi Basilotta, racconto del cammino di un uomo da Cuneo al lager; il banchetto sanguinario Macbeth banquet di Teatro Invito con Luca Radaelli e Maurizio Aliffi; il collage femminile di Passioni di Pleiadi Art Production con Mariasofia Alleva.
I Tacchi si conferma un appuntamento teatrale estivo di rilievo, capace di creare una piccola comunità intorno al festival, fatta di giovani volontari, artisti, tecnici, organizzatori/trici, giornalisti, fotografi, che in un clima rilassatamente professionale si ritrovano a chiaccherare nelle lunghe sere d’Ogliastra, sotto l’eclissi di una luna d’agosto.
Quasi Grazia | lettura scenica
di Marcello Fois
regia Veronica Cruciani
con Michela Murgia, Lia Careddu, Valentino Mannias, Marco Brinzi
produzione Sardegna Teatro
Cielo nero
di Francesco Niccolini e Pierpaolo Piludu
con Pierpaolo Piludu
voci bimbi registrate Luca Pisano e Ousseynou Seck
disegno luci Giovanni Schirru
sonorizzazione Matteo Sanna
organizzazione Barbara Mascia
regia Mauro Mou
produzione Cada Die Teatro