TANIA BEDOGNI|Ancora uno sguardo dalla ventiquattresima edizione del Festival Crisalide di Forlì dove teatro, danza, musica e filosofia si sono avvicendate nel corso delle sei giornate di questa prima edizione settembrina (dall’1 al 10) attraverso sedici nomi del panorama nazionale e internazionale. Un confronto dai toni intimi a cura di Masque Teatro che proseguirà a novembre (dal 2 al 5) all’insegna della condivisione del proprio sole imprigionato (tema-immagine titolo del Festival), ovvero di ciò che “irradia, spinge e trascina oltre, per trovare una strada che conduca alla propria essenza”.
Così, a distanza di una settimana dall’appuntamento di apertura (Just Intonation/Masque Teatro), la serata di sabato 9 settembre ha proposto tre percorsi di indagine: la ricerca coreografica di Sonia Brunelli, la riflessione teorico-critica di Piersandra Di Matteo, il dialogo corpo-macchina di Eleonora Sedioli (Masque Teatro).
Presso il complesso La Fabbrica delle Candele il pubblico è accolto in una sala-studio con cuscini disseminati a terra. La scena occupa solo un terzo di questo spazio rettangolare dalle pareti bianche: due grandi casse acustiche, una per lato, una borraccia e un piccolo asciugamano. Sonia Brunelli, al centro, indossa un cappellino con visiera, maglietta e leggings neri, scarpe da ginnastica dipinte di giallo. Si respira aria di prove, di esercizio solitario. Ciò che ci viene presentato è infatti una dimostrazione di un lavoro in essere a partire da sei brani che compongono l’album Classics Vol. 1 del producer RP Boo, pioniere della forma musicale footwork.
Sotto la luce mai spenta dei neon, scorrono trentacinque minuti di tracce musicali dal ritmo sincopato, dove frasi vocali in loop perdono il loro significato linguistico per una resa puramente sonora. I piedi-evidenziatore diventano instancabili battiti sincroni, talvolta in levare. Il rapporto con il suolo è vario nella sua ciclicità: scivolamenti dell’avampiede, dei talloni, leve, sospensioni, in un articolazione di brevi linee di andata e ritorno dal centro verso i quattro lati.
Se la parte inferiore del corpo si trasforma in musica, quasi sfidandola, la parte superiore al contrario risulta contratta, totalmente assorbita nello studio che la affatica. Ne emerge un’immagine scissa, come a voler enfatizzare le due componenti di un processo creativo non ancora ricomposto per una fruizione compiuta.
E di cesura parla anche Piersandra Di Matteo al Teatro Félix Guattari. Con incisiva chiarezza espositiva scandaglia il proprio campo di analisi, la voce, a partire dal film The Big Swallow (1901) di James Williamson.
Nella muta durata di un minuto lo spettatore è inghiottito all’interno della bocca del protagonista, luogo viscerale che caratterizza in modo unico l’emissione sonora del singolo (impronta vocale) ancorandola all’identità. Tramite la parola, descrive Di Matteo, la persona occupa “la ribalta nel palcoscenico del dire”, fino a quando non ne viene privata come nella scelta potente che opera Kinkaleri in I AM THAT AM I (2009), spettacolo nel quale un’attrice ventriloqua è sola in uno spazio abitato da voci senza corpi. A dimostrazione di quanto questo scollamento possa risultare angoscioso per chi osserva, viene poi preso in esame Giudizio, possibilità, essere (2014), dove Romeo Castellucci colloca l’elemento-voce in piccoli altoparlanti sotto le vesti delle giovani interpreti rese mute dal gesto teatrale di amputazione della lingua. Secondo la studiosa, si tratta di una scelta drammaturgica capace di “recidere definitivamente il legame voce-corpo attoriale, consentendo alla stessa di occupare la ribalta” come rappresentato nella seconda parte dello spettacolo, dove gli altoparlanti rimangono in scena, sotto gli abiti abbandonati, senza gli involucri a cui sono biologicamente destinati. Ne risulta che il posto della voce non sia più nella bocca, ma nell’interstizio “tra corpo e linguaggio”, autonoma tanto da assumere le caratteristiche di parassita in grado di impossessarsi degli stessi uomini che dovrebbero contenerla come in The Infinite pleasures of the great unknown (2008), di Simon Vincenzi.
La serata si conclude sempre al Teatro Félix Guattari con quindici intensi minuti de Il Presente, di cui Eleonora Sedioli è autrice e interprete. La rigorosa attenzione al dettaglio rende le opere di Masque Teatro accadimenti perfetti. E dove prima si è assistito all’atto creativo come scissione nel corpo, ora si osserva un esempio di simbiosi tra questo e la macchina.
Piccole luci colorate evidenziano, nel buio della sala, un’affascinante architettura organica di cavi, pistoni pneumatici e leve. Una lastra di acciaio sospesa, dalla linea sinusoide, accoglie la Figura raccolta che, attraverso un lento dispiegamento, occupa tutta la lunghezza del profilo della lamiera: è misurato equilibro di linee che combaciano e aderiscono. Il ritmo segue il saliscendi del respiro, accentuato dal suono dell’aria che alimenta i pistoni, unica variazione sonora rispetto al monotono rumore di fondo che accompagna tutta la performance. Il metallo si tende e si flette al pari dei tendini e della pelle della Sedioli. Non c’è separazione fra materia vivente e materia inerte; è danza di ibrida armonia.
Sonia Brunelli/Rp Boo “Classics Vol.1 (35’)
Piersandra Di Matteo/The Big Swallow (45’)
Masque Teatro/Il Presente (15’)
di e con Eleonora Sedioli
macchine Lorenzo Bazzocchi
elettronica Matteo Gatti
produzione Masque Teatro