LAURA NOVELLI | E’ in un vorticoso incastro di sacro e profano, carne e spiritualità, impudicizia e decoro, popolare e aulico che Enzo Moscato racconta Napoli nel suo Bordello di mare con città, un testo del 1987 (dunque collocabile poco dopo Ragazze sole con qualche esperienza e Occhi gettati e un anno prima del lirico Partitura) che Le vie dei festival ha proposto qualche giorno fa al Vascello di Roma in una messinscena diretta da Carlo Cerciello. Un testo scritto con la rabbia e il dolore provocati dalla tragica morte dell’amico Annibale Ruccello – la cui fotografia, nello spettacolo, campeggia al centro dell’impianto scenografico e al quale è dedicato pure l’intenso Compleanno – e destinato a segnare uno spartiacque decisivo nella produzione drammaturgica dell’autore partenopeo. La linearità della scrittura cede infatti qui ai sussulti di una visionarietà surreale, grottesca, volutamente eccessiva, dove sempre più emerge il gusto per quel barocco degradato sul quale Enrico Fiore ci ha regalato pagine memorabili nel prezioso volumetto Il rito, l’esilio, la peste (Ubulibri, 2002). Moscato è la peste. Con debito di riconoscenza da Artaud, della peste (metafora di dis-ordine e dis-armonia) egli mostra il contagio e l’espiazione. L’umano e il diabolico. Il legame con la vita e l’inevitabile parentela con la morte. Tanto più che Bordello di mare con città parla proprio di un luogo peccaminoso (dunque carnale, profano, promiscuo, interno al ventre stesso della città) che, dopo la legge Merlin del ’58, si trasforma in un luogo di culto: il santuario delle miracolose guarigioni dal male moderno (l’allusione all’AIDS è implicita) operate da donna Assunta Di Maio (Fulvia Carotenuto), ex prostituta assurta al ruolo di santa.
In questa casa abitata da presenze femminili che ambiguamente “recitano” la tragicommedia stessa della loro presunta trasformazione (nel cast Ivana Maione/Cleò, Imma Villa/Titina, Cristina Donadio/Madamina), si rilasciano interviste a giornalisti curiosi e arguti (l’ottimo Lino Musella) e si attende l’arrivo di un importante Cardinale (Lello Serao), mentre in realtà si prepara, tra irresponsabili intrighi e recriminazioni reciproche, il disumano sacrificio della giovane Bettina (Sefora Russo). Figlia dodicenne dell’austera Titina (la più “italiana” di queste popolane dalla lingua antica e musicale ma a tratti indecifrabile), Betti è l’angelo sacrificale che non a caso apre la pièce, mostrandosi in un prologo che anticipa le circostanze della sua morte e che inscena la sua dedizione sessuale all’alto prelato (il suo stesso omicida dunque) con teatralità estrema e quasi straziante. La povera ragazza, truccata con colori accesi e marcati, rappresenta l’ambivalenza di quel luogo, di quelle donne, e in definitiva di Napoli stessa. Tanto che la fine del suo breve incipit coincide con la caduta di quella parete intagliata di quadrati che, molto simile all’ambientazione di Scannasurice (Cerciello ne ha curato una bella regia due anni fa), indica un passaggio brusco ma virtuoso dai bassi popolari all’interno borghese e “rispettabile” della scena successiva.
Nel salone stuccato e marmoreo dove le donne – davvero tutte bravissime le interpreti, chiamate ad una partitura sovraesposta e viscerale – sfoggiano pustole sparite e resoconti miracolosi all’intraprendente cronista e dove qualche ribellione personale viene sedata a furia di minacce e speranze fuori dall’orinario, si avverte qualcosa di strano, qualcosa di tragico. Il mistero diventa esternazione. Il trascendente sa di teatro. Moscato/Cerciello, la cui regia intercetta con sensibile intelligenza la complessità del testo, preparano così la seconda parte del lavoro. Laddove il barocco esplode nei suoi eccessi. Laddove i contrasti stilistici e linguistici si trasformano in un canone. Laddove il cabaret si soprappone al misticismo. La sceneggiata allo show televisivo. Il dramma autentico sfuma nel più raggelante degli avanspettacoli. Senza dubbio questo secondo atto, dominato dal corpicino/cadavere della piccola Betti e dallo sguaiato pentimento del Cardinale/belva, mostra un decisivo cambio di registro.
L’autore vira verso una visionarietà trasbordante di elementi anti-realistici e il tutto può risultare eccessivo, troppo carico di segni e di segni controversi. La musica, ad esempio, è una presenza fondamentale che tuttavia “sembra” confliggere con l’angosciosa immagine di quella tomba bianca sulla quale cadrà, alla fine della rappresentazione, il quadro con il ritratto di Ruccello. Stavolta Assunta non può fare – realmente – alcun miracolo. Le canzoni non si sentono più. Il teatro è finito. La verità cerca la strada della parola concreta, della cronaca, dei fatti. Ma la morte è morte. La peste è peste. Nessuna consolazione è prevista. Mai.
Bordello di mare con città
di Enzo Moscato
regia Carlo Cerciello
con (in o.a.)
Sefora Russo Betti
Lino Musella il giornalista
Ivana Maione Cleò
Imma Villa Titina
Cristina Donadio Madamina
Fulvia Carotenuto Assunta
Lello Serao il Cardinale
scene Roberto Crea, costumi Alessandro Ciammarughi, suono Hubert Westkemper
musiche originali Paolo Coletta, luci Cesare Accetta
aiuto regia Walter Cerrotta, Aniello Mallardo, assistente scenografia Michele Gigi, assistente ai costumi Concetta Nappi
trucco Vincenzo Cucchiara, tecnico luci Stefano Stacchini, tecnico audio Francesco Fontanella
realizzazione scena Retroscena, realizzazione costumi Costumi d’Arte, foto di scena Andrea Falasconi
produzione Elledieffe, Teatro Elicantropo
Le vie dei Festival 2017 – Teatro Vascello
sabato 23 settembre ore 21.00 – domenica 24 settembre ore 18.00