FRANCESCA DI FAZIO | Si è appena conclusa la 42^ edizione del Festival Internazionale dei Burattini “Arrivano dal Mare!”, tenutosi dal 26 settembre al 1 ottobre nei territori romagnoli compresi tra Ravenna, Gambettola, Longiano, Montiano e Gatteo. Organizzato con dedizione dal Teatro del Drago di Ravenna sotto la direzione di Roberta Colombo, a cui è stata consegnata l’eredità del festival dal suo storico direttore, Stefano Giunchi, “Arrivano dal mare!” ha ospitato 40 compagnie per un totale di 51 spettacoli, alcune mostre, un incontro tra le organizzazioni di teatro di figura e teatro ragazzi UNIMA e ASSITEJ e una due giorni di convegno.
Nelle giornate di venerdì 29 e sabato 30 si è infatti tenuto il convegno intitolato “Burattini con le ali”, curato da Stefano Giunchi, per instaurare un proficuo confronto fra le diverse realtà italiane che da diversi anni portano il teatro di figura all’interno di realtà complesse, negli ospedali e nei centri di riabilitazione, nei centri per disabili, nelle aule scolastiche, nelle carceri e nei centri di accoglienza per migranti. Diversi e molteplici sono stati gli interventi, in cui non sono mancati elaborati visivi, come il video creato dalla Compagnia della Fortezza al carcere di Volterra e la mostra fotografica di Sandro Capatti, “Altre figure dietro le sbarre”, un reportage dei laboratori di teatro nelle carceri d’Italia.
Annessi al convegno vi erano alcuni spettacoli realizzati dagli operatori insieme ai protagonisti di queste realtà complesse, come “La metamorfosi di Mr. Punch in Père Ubu”, spettacolo nato nelle celle del carcere di massima sicurezza di Parma, realizzato dai detenuti che partecipano al Laboratorio curato dalla cooperativa “Le Mani Parlanti”, o come l’emozionante “Superabile”, opera del Teatro La Ribalta-Kunst der Vielfalt (Accademia Arte della Diversità), unica vera compagnia integrata nella realtà italiana, con la regia di Antonio Viganò, a cui è stata consegnata una delle Sirene d’oro, lo storico premio del festival.
Le altre Sirene d’oro sono state consegnate, con scelta oculata, al burattinaio di origini argentine Horatio Peralta, alla nostra giovane Marta Cuscunà e alla direttrice del festival di Charleville-Mézières, Anne Françoise Cabanise.
Durante tutto il festival è stato proiettato il video realizzato da Mario Bianchi “Io di mestiere faccio il burattinaio” che, attraverso un dialogo con 14 burattinai, ha proposto un percorso all’interno di quest’arte, con interviste ad artisti dal Piemonte alla Sardegna. Nelle prime due giornate di apertura, a Ravenna, il festival ha ospitato artisti di provenienza internazionale quali gli inglesi String Theatre, Sofie Krog Teater dalla Danimarca e la Compagnie Pupella Nogues/Odradek UBU(S), oltre ai nostrani Teatro Gioco Vita, Atelier La Lucciola, Mattia Zecchi, All’Incirco… PAC è stato presente nelle ultime due giornate, e riportiamo di alcuni spettacoli:
Horacio Peralta nella metà degli anni ’70 partì dal suo paese di origine e sbarcò a Parigi, dove cominciò a fare spettacoli di burattini nelle strade e nei vagoni del métró. Nel 1978 a Parigi fondò la compagnia diffusa Bululu Théâtre (dall’antico termine spagnolo che nel Medioevo indicava un attore solitario che viaggiava di paese in paese con brevi rappresentazioni di cui interpretava tutti i personaggi), in cui ogni burattinaio portava in giro per gli arrondissement le proprie creazioni di teatro di burattini. Nello spettacolo presentato al Festival, “Il Burattinaio – El Titiritero”, Peralta ripercorre la sua storia personale e ripropone quei brevi spettacoli di leggera poesia che trasportava tra i cunicoli di Parigi. Due mani rivestite di bianchi guanti danno vita alla bellissima rappresentazione di uno scultore, reso da un burattino da dita che piano piano produce da un blocco di marmo – che altro non è se non l’altra mano chiusa a pugno – la perfetta rappresentazione di una mano aperta; due innamorati, Pierre e Maria, si corteggiano cercandosi e sfuggendosi in un gioco di danza senza parole; una vecchietta intrattiene il pubblico e si rifiuta di tornare nella scatola quando il burattinaio decide che il suo tempo è terminato, instaurando così un surreale dialogo col burattinaio, in cui quest’ultimo sembra talmente convinto della vita che abita il pupazzo da non accorgersi di essere egli colui che gli dona voce e movimento. Delicatezza e semplicità assolute, unite ad un’incredibile maestria nella manipolazione delle figure.
Marta Cuscunà porta sul palco del teatro comunale di Gambettola il suo “È bello vivere liberi!”, spettacolo che ha saputo tracciare una nuova via teatrale che mescola teatro di narrazione e teatro di figura e che le valse il premio Scenario Ustica nel 2009. È la storia della ragazzina Ondina, entrata a soli diciotto anni tra le fila dei partigiani ribelli al regime di Mussolini e all’invasione tedesca. Deportata poi come prigioniera politica ad Auschwitz, riuscì a non perdersi in quella voragine di dolore grazie a una sorta di dissociazione, di distacco da sé, elemento che ha portato la Cuscunà alla scelta di usare un puppet per rappresentare Ondina negli anni della detenzione. Lo spettacolo colpisce per la precisione, il ritmo scandito, la chiarezza d’intenzione. Ma soprattutto colpisce la determinazione di questa giovane attrice che porta sui palchi d’Italia storie di resistenze e di libertà, che comunica con occhi limpidi e un fresco linguaggio valori che la storia dovrebbe continuare a tramandare, che non teme di appendere sul palco la bandiera di Amnesty International recante la scritta “verità per Giulio Regeni”.
Gigio Brunello e Gyula Mòlnar sono stati presenti al festival con uno spettacolo da loro scritto e diretto ma portato sul palco dalla compagnia Alberto De Bastiani: “Il ritorno di Irene”. Questo testo, adattato da Brunello a partire da una sua favola, racchiude un nucleo di gentile poesia, descrive un mondo di delicati affetti che resistono nonostante il buio in tempo di guerra. Un piccolo paese di nome Paese una mattina del 1917 si sveglia senza i suoi abitanti. Sono spariti tutti, anche la famiglia della piccola Irene, di cui si doveva festeggiare il battesimo. Gli edifici, allarmati, decidono di andare in cerca dei propri inquilini e s’incamminano verso il monte lì vicino, da dove sperano di avere una migliore visuale. Ci sono tutti: la casa di Irene, la Chiesa e la Canonica, il Campanile e l’Osteria, la Scuola, la Farmacia, il Cinema Muto…e persino la Cuccia del cane Bobi, che fa da apripista al corteo. Lungo la strada si aggiungono anche la Tana della puzzola e il Nido della gazza ladra, rimasti anche loro senza abitanti. Le case resteranno in cima al monte per anni, decenni, in attesa, senza trovare i propri abitanti. Ma cent’anni dopo vedranno i loro nipoti fare ritorno. Portato in scena con maestria e leggerezza da Alberto De Bastiani, quest’ultimo lavoro di Brunello porta avanti la sua personalissima e originale ricerca di un teatro di figura che sappia avvalersi di una drammaturgia posata e sapiente, sempre in bilico tra realismo e magia (cfr.: video intervista di Francabandera a Brunello) e di un apparato scenico artigianale, semplice, che accompagni la genuinità delle storie narrate.