FILIPPA ILARDO | Serve uno sguardo bastardo, in questa città e in questa terra bastarda, dove bastardi siamo tutti noi, lo siamo fuori e dentro, abitati come siamo da mille di noi che convivono in uno stesso condominio senza amministratore…

Siamo a Palermo e chi parla è Giovanni Lo Monaco, ibrido per eccellenza, maestro elementare e uomo di teatro, psicologo e drammaturgo-attore-regista, omosessuale dichiarato o, come ama definirsi, “finocchio” (perché le parole bisogna risemantizzarle, abbattendo anche la frontiera della connotazione che è solo pura convenzione), direttore del Festival del Teatro Bastardo, in scena dal 5 al 22 ottobre, e per questo lo intervistiamo.

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Il Festival, arrivato alla sua terza edizione, prevede un programma fitto e interessante, necessario, oseremmo dire, in una città capitale della cultura e, perché no, del teatro.

Si inizia con un focus dedicato a Saverio La Ruina, per continuare con presenze quali Roberto Latini, Licia Lanera delle Fibre Parallele e ancora Silvia Calderoni dei Motus, gruppo a cui è dedicata la mostra Hello Stranger a cura di Paola Nicita. La sezione EXTRA ospita tre spettacoli in lingua straniera in prima nazionale, mentre per la sezione CHILDREN, sarà presente Chiara Guidi, della Socìetas Raffaello Sanzio, mentre la sezione dedicata alla scena emergente ospiterà i Maniaci d’Amore, Giovanni Carta e Teatro dei Gordi.

(per il programma completo clicca  http://www.teatrobastardo.org/tb-2017/tb17-programma/)

Intervista si fa per dire, perché in realtà lui, il direttore, ha già in mente tutte le risposte e ci azzecca e mi risponde quasi prima che io riesca a formulare le domande. Mi rovescia la sua vita con una naturalezza che mi sorprende e mi parla di sé senza che io mi accorga che mi sta già parlando del festival.

Cominciamo a partire dal nome, una parolaccia che è rivendicazione, un insulto insomma che rivendica però il diritto di essere pronunciato, un’offesa che si auto-legittima, il Festival del Teatro Bastardo:

Il festival si chiama così perché vogliamo togliere agli altri le armi che ci possono fare male, vogliamo ribaltare il peso specifico delle parole, e abbattere i confini tra il positivo ed il negativo, il bianco ed il nero. Bastardo deriva direttamente da Queer, e infatti il festival nasce come una costola del Sicilia Queer filmfest (http://www.siciliaqueerfilmfest.it/sqff/ n.d.r.). Queer di per sé significa sbieco, bizzarro ed è una parola che porta in sé un lungo cammino di rivendicazioni. Anche se si tratta solo di un tentativo che va consolidato e a cui bisogna dare continuità, questo è un festival bastardo nel senso che non ha paura di contaminarsi, che se ne fotte, che tenta di parlare i linguaggi della provvisorietà della condizione umana. Nelle nostre scelte cerchiamo il Fattore Bastardo.

Cosa è di preciso il fattore Bastardo? Non ti riferisci solo ai contenuti, ma anche alle forme, alle poetiche, ai linguaggi?

È il fattore di chi ha una mentalità inclusiva, di chi si sente fluido, come fluida è la personalità di ogni essere umano. È l’ironia di chi sa guardare il paradosso della vita. Camus, ad esempio, nel saggio Il mito di Sisifo, ci racconta dello sforzo che dobbiamo fare per portare su il masso, mentre l’appagamento della fatica sta nel vederlo un istante sulla cima. Il teatro bastardo è un teatro di chi ha accettato il paradosso del vivere e lo rappresenta attraverso la forma teatrale. Spettacoli coraggiosi che parlano di aspetti della vita che si tende a marginalizzare, la morte, la vecchiaia, la malattia, o che affrontano i temi delle diversità, dell’immigrazione. Ci interessano nuove forme di comunicazione, dal teatro di narrazione alla performance che l’anno prossimo sarà molto più presente perché rappresenta un interessante spazio di ibridazione.

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Palermo: il teatro bastardo non poteva che nascere qui…

Palermo è il posto naturale per questo festival, è questa città che lo chiama, è l’aria che si respira. Questa è una città che produce imbastardimento, meticciato: Emma Dante, ad esempio, ha fatto di questo codice, della palermitudine, di questo essere meticci nell’anima, il suo fattore predominante. Questo festival nasce dal bisogno di trovare altri codici, parlare una lingua diversa che ridefinisca l’essere umano, non più uomo, donna, bianco, nero, ma con uno spettro cromatico pieno di sfumature.”

Questo è un festival nomade che invade la città? Uno dei pochi in una città capitale della cultura.

“E’ un Festival che muta, che dilaga in vari spazi ed in varie forme, ma, soprattutto, un festival che stabilisce connessioni: un riconoscimento istituzionale è arrivato da parte dell’Amministrazione Comunale e dal Teatro Biondo che lo ha adottato. Altro collegamento è stato creato con Latitudini-Rete Siciliana per la drammaturgia contemporanea che fa circuitare in Sicilia alcuni degli spettacoli. Dalla collaborazione con il Goethe-Institut e l’Institut Français nasce la sezione EXTRA che dà un respiro internazionale al festival, mentre, la sezione CHILDREN stabilisce un’importante collaborazione con il Museo internazionale delle Marionette Antonio Pasqualino.”

 Fare cultura è fare politica?

“Certamente, e questo festival vuole prendere una posizione politica. Parlare di marginalità in modo così ampio significa affrontare questioni forti per la nostra contemporaneità.

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Il nostro teatro mira a destabilizzare, vuole portare il pubblico a interrogarsi se ha visto o meno teatro, come quando davanti a qualcuno ci si chiede se sia omosessuale o no, magari è una persona e basta. Questo dovrebbe portare a partorire l’idea che non si può etichettare, dare ad ogni cosa una categoria. -L’arte rinnova i popoli e ne rivela la vita-. Così è scolpito sulla facciata del Teatro Massimo, noi vogliamo un’arte capace di seminare dubbi, di rivelare che ogni confine è labile e ogni cosa può trasformarsi nel proprio contrario.”

La caffetteria del Teatro Massimo, dove siamo seduti, si popola di gente, in questi giorni gli eventi culturali di Palermo si accavallano e riempiono tutti gli spazi. Tra poche ore inizierà anche il Festival del Teatro Bastardo e noi lo seguiremo.