ROBERTA ORLANDO | Un rullo di tamburi. Un sipario rosso ancora calato si fa presto sfondo di un coro di attori che intonano un prologo cantato, contestualizzando storicamente la scena. Sono i neodiplomati all’Accademia dei Filodrammatici, che il 5 ottobre hanno debuttato in prima nazionale con Tamburi nella Notte, diretti da Francesco Frongia su un adattamento scenico di Emanuele Aldrovandi, in scena al Teatro Filodrammatici fino al 15 ottobre. Un testo scritto da Brecht ai suoi esordi, negli anni del primo dopoguerra (la prima rappresentazione risale al 1922) e che valse all’autore il Premio Kleist. Una commedia famigliare dalla trama semplice e piuttosto consueta, ma ambientata nella realtà politico-sociale di quegli anni, in un concatenamento imprescindibile di eventi.
L’anno è il 1919. A gennaio la rivolta spartachista sta per insorgere a Berlino sotto la guida di Rosa Luxemburg, che impersonata da Ilaria Longo, propaga le sue ideologie anticapitalistiche, alimentando la fiamma dell’insurrezione popolare. Il sipario si fa di nuovo elemento scenografico: da uno spiraglio fa capolino la Luxemburg per il suo primo discorso, introdotta dai tipici cartelli didascalici del Teatro brechtiano, immersa in questo rosso che è il colore del comunismo, della “Bandiera” spartachista (Die Rote Fahne, da cui il nome della testata fondata dalla Lega).
In queste circostanze prende forma l’intreccio sentimentale (benché non sempre romantico), complementare a quello politico. Ne sono protagonisti i coniugi Balicke, due personaggi grotteschi, dal trucco marcato che ci rimanda vagamente ai film di Tim Burton (li interpretano Denise Brambillasca e un eclettico Eugenio Fea), che vogliono dare in sposa la figlia Anna (Irene Urciuoli) a un ricco borghese, dopo la presunta scomparsa del suo fidanzato, partito per la guerra quattro anni prima. Ma proprio in questa notte di agitazioni, il reduce Kragler (Edoardo Barbone) tornerà a reclamare la sua donna, scontrandosi col suo rifiuto sofferto e con quello invece più convinto e tendenzioso dei genitori.
Il salotto di casa Balicke occupa una sola metà dello spazio scenico, che si amplia quando la famiglia lascia le mura domestiche per trasferirsi in una taverna. Qui i piaceri carnali, l’alcol, il denaro, rappresentano ancor più visibilmente una fuga dai valori umani che sembrano essersi disgregati e dalla rivolta sociale che viene tenuta fuori, di cui sentiamo il rumore, la voce, la corsa inconsulta.
Il conflitto tra i due pretendenti di Anna è uno dei più fervidi della commedia, sostenuto da altri personaggi non direttamente coinvolti nella lite, ma che da buoni spettatori-attori, si schierano o fanno da moderatori, condividendo col pubblico diversi possibili punti di vista.
Fuori, nel frattempo, è in atto un conflitto ben più ampio: gli spartachisti avanzano e puntano all’occupazione del quartiere dei giornali. Il reduce Kragler dovrà scegliere se unirsi a loro o se continuare la sua lotta privata per riottenere Anna. Così quello che ha tutte le sembianze di un dubbio amletico induce Kragler a una crisi personale. Citando il testo: “Essere giovane e non essere rivoluzionario è una contraddizione biologica”. Ma dopo anni di guerra e di prigionia, dopo aver sacrificato parte della vita per degli ideali e avere sfiorato la morte, quegli ideali possono ancora essere un motore così potente? “Questo è il dilemma” del reduce, che Brecht risolve in un finale insolito da parte di un autore per cui l’appellativo “rivoluzionario” suona quasi come un eufemismo. Kragler rinuncia alla rivolta e a noi non resta che interrogarci sul motivo, senza poter ignorare il coinvolgimento romantico per la scelta e quello drammatico per l’esito di quella notte del 1919, che come sappiamo si concluse in un bagno di sangue.
Mentre tutto lo spettacolo si svolge in un equilibrio di ironia, comicità e trepidazione, gli ultimi dieci minuti sono una concentrazione di tensione: il ritmo si fa più agile, la scenografia (una ricostruzione di edifici e di pile di giornali) crolla, così come crollano tutti i personaggi in un finale secco, realistico, di grande effetto scenico.
La coesione del gruppo di attori e l’evidente lavoro di caratterizzazione dei personaggi aggiunge credibilità e freschezza alla pièce.
Tra suoni digitali che si alternano a melodie strumentali, non mancano temi musicali da cinematografia thriller per le scene di maggiore impatto.
L’accuratezza dei costumi e l’atmosfera ci riportano abilmente al secolo scorso. Eppure quanto riesce a essere attuale la riflessione sulla coscienza collettiva che questo testo ci propone? Una coscienza che è sempre più remota, ridotta per lo più a una rete multimediale capace di annebbiare anche quella individuale.
Forse dietro la scelta di questo testo (piacevolmente rinnovato da uno dei giovani drammaturghi più interessanti degli ultimi anni) si cela un consiglio da parte di Frongia: quello di sospendere i giudizi gratuiti e rincorrere il proprio bisogno di ribellione, di cambiamento, pur diverso che sia per ognuno di noi questo concetto.
Tamburi nella notte
di Bertolt Brecht
versione scenica di Emanuele Aldrovandi
regia di Francesco Frongia
con Luigi Aquilino, Edoardo Barbone, Denise Brambillasca, Gaia Carmagnani, Eugenio Fea, Ilaria Longo, Simone Previdi, Alessandro Savarese, Valentina Sichetti, Irene Urciuoli, Daniele Vagnozzi
scene e costumi Erika Carretta
disegno luci Fabrizio Visconti
realizzazione scene e costumi Laboratorio Paruta
produzione Accademia dei Filodrammatici