RENZO FRANCABANDERA | Per chiunque sia passato negli anni attraverso le proposte artistiche, i progetti, le dimore sabaude rivificate da pubblico e arte grazie a Teatro a Corte non potrà più farlo in questa maniera straordinaria: la storica rassegna di arte e spettacolo dal vivo che ha riconsegnato dieci anni fa dopo il restauro, la Reggia di Venaria (ma non solo) al grande pubblico, giusto per fare un nome emblematico nella memoria di tutti i cittadini piemontesi, infatti, dovrà chiudere i battenti. Ne ha dovuto prendere atto Beppe Navello, affiancato in questi ultimi anni alla direzione artistica dagli sguardi di Sylvie Scavacciuti e Mara Serina nella selezione.
Regione Piemonte e Comune di Torino hanno deciso di sospendere il sostegno a questa rassegna che ha fatto la storia del connubio fra arte, spettacolo dal vivo e patrimonio architettonico di pregio di questa fantastica terra, così abile a volte a nascondere i suoi gioielli.
Dopo le Olimpiadi invernali che sancirono la svolta nel rilancio internazionale dell’immagine della regione e del suo capoluogo, Teatro a Corte ha avuto indubitabilmente il merito di vivificare di anno in anno questa direzione, attraverso allestimenti di vocazione internazionale sia per gli artisti coinvolti che per le relazioni internazionali sviluppate (sempre presente la stampa estera, sempre attivi i gemellaggi artistici e la fecondità delle relazioni europee di primario standing).
Allora cosa sarà mancato? I numeri potrebbe venire in mente: sarà la solita rassegnetta teatrale off seguita da 30 appassionati… E invece a Venaria, nel week end scorso, per l’evento conclusivo, lo spettacolo della compagnia Deus ex Machina Galileo, un grande evento di circo e danza aerei, sono arrivate 5000 persone.
Parlare per uno spettacolo dal vivo di un numero così impressionante di spettatori, che non sia un concerto di una rockstar affermata, è un dato fantastico. Persone che erano in coda dalla mattina, che hanno visitato la reggia, la hanno ripresa nella propria dimensione non solo monumentale ma di patrimonio culturale soggettivo. Hanno visto artisti che danzavano con un mezzo pesante di strada e ragionavano sul rapporto uomo macchina fuori dalla reggia, altri ancora che indagavano sul risveglio del sentimento indentitario e animale nei giardini in una danza fra uomo e cavallo, e poi un grande spettacolo di circo aereo.
Non avrei conosciuto in questo decennio passato Pollenzo, e Agliè e l’oasi vicino Racconigi oltre che il castello, e tutte le dimore che in questi anni ho visitato insieme a centinaia, in diversi casi migliaia di persone, con grandissimo stupore e ammirazione, senza la proposta di Teatro a Corte. Perché è vero, sarà pure una rassegna con un suo costo importante, dovuto proprio al fatto di gestire eventi dentro luoghi di così grande fascino come le dimore sabaude, ma la sua cancellazione è un trauma.
Siamo evidentemente nell’epoca delle scelte dolorose, in cui il decisore pubblico è alle prese con budget ridotti all’osso: da un lato ci sono i servizi pubblici essenziali, e dall’altro manifestazioni culturali anche di grande respiro. Sorprende tuttavia come non sia stato possibile trovare una mediazione per salvare qualcosa di così specifico e peculiare.
Sì, perché di festival teatrali ce ne sono veramente tantissimi in tutta Italia, ma come Teatro a Corte nessuno. Nessuno in Italia.
Era veramente una peculiarità assoluta. Ci si sentiva parte della storia, e della storia dell’arte. Ci si sentiva parte dell’eredità culturale di un patrimonio e di un territorio.
Questo segno di penna che cancella è un gravissimo errore della politica,
Un atto di miopia grave, che elimina uno specifico di valore, pensando che basti mettere assieme un po’ di fritto misto a basso costo per sentirsi poi a posto con la coscienza. E qui si ricade proprio nella sindrome politica tutta italiana che preferisce sempre le sagre della salamella alla possibilità, con un ridotto budget aggiuntivo, di far assaggiare anche ad una platea ampia il gusto più complesso del piatto non comune.
Siamo al paradosso per cui mentre la ristorazione fa passi da gigante nel senso della divulgazione della cultura alimentare di più alto profilo, la salamella in qualche modo rientra dalla finestra, per cui lo specifico storico di un territorio perde una delle forme più intriganti di valorizzazione, creando un vuoto penoso di pensiero.
Pare passata la stagione del CAI, dell’attenzione all’heritage. Siamo in un nuovo periodo oscuro, dove sicuramente non è facile allocare budget importanti su manifestazioni culturali di grossa portata, specie se apparentemente gli artisti coinvolti non sono sempre del territorio, ma queste sono considerazioni di protezionismo intellettuale che hanno sempre fatto male all’arte e allo sviluppo del linguaggio perché è proprio dalla commistione e dalle conoscenze che nasce l’evoluzione del nuovo, si consolidano il senso delle comunità tanto nazionale che internazionale.
Insomma occorrerebbe a questo punto iniziare a scrivere tutte quelle cose per molti versi ovvie quando si parla di soppressione di momenti di eccellenza culturale. Questa cesura è una scelta terribile, che esecriamo.
Io e i miei figli abbiamo conosciuto parte notevolissima del patrimonio culturale piemontese grazie a Teatro a Corte, abbiamo deciso di tornare anche fuori dal festival ma sulle suggestioni che il festival aveva creato, di rivedere, fermarci a dormire, a mangiare, a fare turismo, ogni volta in forme diverse. E spinto altri a farlo con noi. Abbiamo visto musei, invitato altri a farlo. Cercato di trasmettere tutto questo ad altre generazioni attraverso l’insegnamento accademico proprio nel capoluogo. Cercato di creare comunità.
Si dice che Churchill abbia risposto a chi in tempo di guerra gli chiedeva di tagliare il budget alla cultura: “Per cosa stiamo combattendo allora?”
Ai miei studenti piemontesi, cui provo a trasmettere conoscenze sul patrimonio condiviso dei linguaggi dell’arte, raccomando di non presentarsi in sede d’esame senza un loro selfie davanti ad un’opera d’arte delle collezioni della GAM, o di Moncalieri, o di un’altra residenza sabauda. Perché conoscano.
Peccato questo ritenga di doverlo fare io, che sono nato a Bari, con i miei pochi mezzi e non il politico piemontese, nato in questa terra, con tutti i suoi…
Dolorosissimo vedere la fine di tutto questo.