FILIPPA ILARDO | La politica in Sicilia fa sentire il proprio peso e cambia il corso delle cose, a volte interrompe dei processi significativi di crescita, lasciando orfani di speranze e progetti. Eppure, nonostante questa sovranità subita, la vita, anche quella teatrale, continua a inventarsi altri percorsi. Alfio Scuderi, ad esempio, lo avevamo lasciato direttore del Nuovo Montevergini, teatro da lui creato in una chiesa dismessa, nella Palermo di un vicino passato, vivacissima fucina di idee, talenti, gruppi, poetiche e progetti artistici, fortemente e meritoriamente orientato sul contemporaneo, gravemente e inspiegabilmente chiuso con l’avvicendarsi delle amministrazioni comunali. Lo ritroviamo adesso come il nuovo direttore delle Orestiadi di Gibellina, per il triennio 2018 – 2020. Per cominciare è inevitabile rigirare il coltello nella piaga e dire subito che la notizia giunge inaspettata: il triennio di programmazione, affidato a Claudio Collovà, che ha curato il festival dal 2010, sarebbe infatti concluso l’anno prossimo.
In attesa di accertare le cause di questa brusca rottura -che interrompe un percorso significativo di programmazione cui Collovà aveva dato inizio (ma ci riserviamo di parlarne in seguito)- ci concentriamo su questo nuovo corso che sta per iniziare. Cominciamo con l’interrogarci, insieme ad Alfio, su quale sia l’identità delle Orestiadi di Gibellina e come si è evoluta negli anni.
Quella delle Orestiadi, a partire dal suo ideatore Ludovico Corrao, è un’identità molto delineata e che si innesta su due assi principali: il Contemporaneo ed il Mediterraneo. Io stesso cercherò di muovermi su questi due assi, con il mio gusto e la mia cifra, naturalmente. Oggi il Contemporaneo in Sicilia soffre di spazi, di rassegne, di festival. La crisi economica e istituzionale della Regione ha spostato l’asse verso i numeri, cioè le istituzioni culturali hanno confuso l’economicità con il fare cassa, concentrandosi eccessivamente sul mercato. La contemporaneità, così come la classicità, sono segmenti che andrebbero invece protetti e sostenuti. Gibellina è il luogo per eccellenza del Contemporaneo, a partire dagli artisti che hanno ridisegnato quei luoghi. In Sicilia ci sono due poli fondamentali: il teatro classico, che fa capo a Siracusa, e la contemporaneità, di cui capitale indiscussa è Gibellina. Gibellina è, innanzi tutto, Ludovico Corrao, c’è un’identità inscindibile con il suo fondatore di cui bisogna tenere conto, in particolare dopo la sua morte. La sua idea era quella di violentare quei luoghi devastati dal terremoto, con l’arte contemporanea. Il terremoto aveva buttato giù la storia, l’arte doveva immaginare i contorni di un nuovo futuro, anche se architettonicamente l’idea ha avuto un forte contrasto con il tessuto urbano.
In effetti è come se l’assetto urbano ricostruito della nuova Gibellina desse l’idea del vuoto, un luogo astratto dove la vita non passa. Allo stesso modo si ha la sensazione che il Festival sia sganciato da questa città difficile, da questo luogo così diverso…
Se i luoghi non sono facili da raggiungere li devi riempire di contenuti, di idee, facendo conto della mancanza di risorse. Nel passato, con la direzione di Roberto Andò con cui ho sempre collaborato, il Festival è stato anche Bob Wilson, Thierry Salmon… Non sono più quei tempi e anche la poetica dei grandi eventi appare superata. È proprio per questo motivo che bisogna puntare tutto sull’identità: un’identità che deve essere forte, riconoscibile, definita. Il Nuovo Montevergini, con il suo Palermo Teatro Festival, ad esempio, una aveva una prospettiva molto orientata sulla nuova drammaturgia siciliana contemporanea, quando pochissimi ancora ne parlavano, si è dato molto spazio al teatro civile, parallelamente, si faceva musica dal vivo dando impulso alla formazione di gruppi multietnici.
Le Orestiadi torneranno quindi a produrre?
È prematuro poterlo affermare, questo sarà un Festival di ospitalità perché in questa categoria rientra anche rispetto ai rapporti con il Ministero e con la Regione. L’auspicio è quello di tornare, in futuro, a produrre. Un festival deve poter produrre qualcosa, senza coincidere necessariamente con uno spazio di produzione. Chiaramente l’unicità di un festival è determinata soprattutto da nuovi progetti. Quest’anno ricade la ricorrenza dei 50 anni dal terremoto. L’obiettivo è quello di immaginare degli eventi che nascano lì. Eventi di natura performativa che mettano insieme il teatro, la danza, la musica e le arti visive, che possano avere un forte appeal popolare. Io ho una visione della contemporaneità non di nicchia. Si possono immaginare percorsi intorno ai linguaggi del contemporaneo che incontrino il gusto del grande pubblico. Si tende a pensare che il contemporaneo sia difficile e per pochi. Io penso esattamente il contrario. Ma non è una cosa scontata. Si deve costruire.
Come si costruisce?
Stando attenti alla sensibilità del pubblico, ma anche orientandolo, portandolo in una direzione. Sono uno che dialoga con il pubblico e con gli artisti. Ci saranno certamente laboratori, si punterà molto sulla commistione dei linguaggi, ad esempio facendo convivere il teatro con quella musica e quei gruppi che richiamano molta attenzione. Se è vero che Gibellina ha una forte identità, è anche vero che non ha quasi niente vicino, si deve lavorare sull’unicità, sulla tipologia di teatro.
Del resto un festival è anche più di un cartellone, di una rassegna: bisogna saper creare un’atmosfera vivace, fatta anche di incontri. Un festival deve essere -per così dire- rockettaro, devi poterci vivere, abitare all’interno. Non andrò lì per fare un festival chiuso, la parola festival deriva proprio da festa, festa popolare per l’appunto.
Che trasformazione subirà la programmazione, sarà meno dilatata nel tempo? Sono previsti più eventi collaterali durante il giorno? Chi viene a Gibellina da fuori, viene esclusivamente per il festival, deve quindi poter vivere, calarsi dentro il mondo del teatro.
Sono previste tre sezioni che si svilupperanno nell’arco di tre weekend: Arte contemporanea, Mediterraneo, Teatro civile\narrazione. Sarà dato molto spazio alla drammaturgia siciliana in relazione ai giovani autori, istituendo un Premio di giovane drammaturgia siciliana, che fungerà da vero e proprio osservatorio. Verranno subito selezionati dei progetti, al vincitore spetterà un premio di produzione, con la possibilità di presentare a Gibellina un’anteprima e debuttare poi all’interno della Stagione del Biondo. È un progetto che sarà subito avviato e prevede la collaborazione con il Teatro Biondo e il Comune di Palermo.
Ci saranno altre collaborazioni?
Certamente, ci saranno diverse collaborazioni, a partire con il Teatro Biondo, per la presentazione a Gibellina di anteprime di debutti, spettacoli ancora non definiti, idee in divenire di un progetto creativo. Sarà opportuno collaborare anche con il produttore Marco Balsamo, tra i maggiori distributori di teatro in Italia. È da delineare ancora la collaborazione con Manifesta che si svolgerà a Palermo più o meno nello stesso periodo. Del resto la mia nomina è fresca di pochi giorni…
Idee, contenuti, collaborazioni, molta carne al fuoco: riuscirà davvero il nostro eroe a rilanciare il luogo simbolo della contemporaneità in Sicilia? Le sfide ci piacciono, e le novità -è inevitabile- creano sempre aspettative ed entusiasmo. Ma noi siamo qui per monitorare e lo faremo. Il resto ve lo racconteremo nelle successive puntate.