LAURA BEVIONE | «Ma il programma di sala diceva un’altra cosa!», questo il tenore di molti dei commenti rubati agli spettatori che, giovedì scorso, 26 ottobre, abbandonavano perplessi la sala della Lavanderia a Vapore di Collegno (To) dopo aver assistito alla prima dello spettacolo che la coreografa e danzatrice Annamaria Ajmone ha ideato e realizzato con Alberto Ricca – in arte Bienoise – apprezzato autore di musica elettronica.
Una perplessità che genera questioni non oziose riguardo le aspettative e la consapevolezza del pubblico, nonché l’atteggiamento e la predisposizione – di “spirito” ma altresì “culturale” – con cui esso sceglie di partecipare ed effettivamente partecipa a un evento spettacolare. Quanto sanno gli spettatori – aldilà dei fogli di sala che, tratti spesso dalle note di regia, molte volte annebbiano anziché illuminare lo sguardo – di quanto stanno per vedere? E poi – qualcuno potrebbe obiettare – è davvero importante che ne sappiano qualcosa?
L’artista, dal canto suo, deve cercare di andare incontro al pubblico, rendendo i propri lavori il più possibile immediatamente leggibili ovvero stimolarne il pensiero e le emozioni, magari irritandolo con musiche sincopate e ipnotiche reiterate ad libitum e luci troppo forti?
La questione, come dicevano, non è di poco conto e si inserisce nel dibattito – oggi quanto mai attuale – relativo alla “formazione” e all’”ampliamento” del pubblico teatrale. Una problematica discussa e concretamente affrontata con progetti di svariata natura, più o meno efficaci. Crediamo, nondimeno, che la riflessione al riguardo dovrebbe essere sempre formulata parallelamente a una meditazione sul ruolo dell’artista e sull’autonomia del percorso che egli sceglie di intraprendere.
Ovviamente si tratta di problematiche complesse, che qui ci limitiamo a suggerire, partendo proprio dal lavoro, certo “ostico”, di Ajmone-Ricca: cinquanta minuti di musica, variata eppure ipnotica e, per i non amanti – o i non avvezzi – alla musica elettronica di non agevole ascolto; un disegno luci – virato su tonalità acide ovvero sullo chiaroscuro e sulle penombre – raffinato e realmente “drammaturgico”; una scena spoglia, a eccezione di una cassa e di un mucchio di stracci colorati – evidentemente ispirato a Pistoletto – collocato su un lato del proscenio e in parte “spogliato” dall’interprete; una coreografia che sfrutta una sorta di protesi – un lungo braccio bianco che allunga a dismisura quello della danzatrice, sottraendole equilibrio e “simmetria” – per raccontare il percorso di auto-conoscenza e di esplorazione dell’altro da sé compiuto da un corpo.
Ajmone e Ricca realizzano con coerenza e rigore il proprio progetto artistico, chiaramente frutto di letture, studio e ricerca e sostenuto dalla volontà di indagare mondi e potenzialità personali, senza pensare troppo a come esso avrebbe potuto essere recepito e accolto dal pubblico. Una colpa quest’ultima? O la legittima rivendicazione dell’autonomia dell’artista?
È certo possibile dissentire nel giudizio sullo spettacolo di Ajmone/Ricca ma indiscusse sono la sincerità e la disciplina che lo sottendono. Un’altra è la domanda che sorge, ossia esiste una via di mezzo possibile fra miope autoreferenzialità e sfacciato ammiccamento? Ovvero, come si può far convivere la sacrosanta autonomia dell’artista con la necessità di “comprensione” – emozionale e razionale – degli spettatori, senza i quali, d’altronde, il primo non avrebbe ragione di proseguire il proprio lavoro?
TO BE BANNED FROM ROME, di Annamaria Ajmone e Alberto Ricca
Coreografia e danza di Annamaria Ajmone.
Musica live di Bienoise (Alberto Ricca)
Spazio e costumi di Jules Goldsmith.
Luci e direzione tecnica di Giulia Pastore.
Prod.: Torinodanza Festival, Cab 008, Club to Club Festival; in collaborazione con The Italian New Wave.