TANIA BEDOGNI|”Trascinarti voglio laggiù, con me nella notte” canta Isotta al centro dell’opera in tre atti di Richard Wagner, Tristan und Isolde del 1859.
Tristano, sopravvissuto alle ferite di guerra grazie alle cure della principessa Isotta, ritorna da lei non per dar voce al proprio amore, bensì per condurla in sposa al Re di Cornovaglia a bordo della propria nave. Dall’iniziale scontro tra lei, che si è sentita tradita e lui, fedele al proprio Re, si approda al fatale riconoscimento di un amore proibito. Abbandonarsi alla passione amorosa costa la vita a Tristano, che sarà ferito a morte, mentre per Isotta significherà l’esilio. Quando lei riuscirà a raggiungerlo lui morirà tra le sue braccia. Isotta, invocando la morte d’amore porterà a compimento l’impossibile unione.
La notte quindi come luogo di un’intima passione, il giorno per le convezioni sociali. Wagner inserisce il funesto “accordo di Tristano” sin dal Preludio e, ripetendolo più volte, allude costantemente a ciò che accadrà solo nell’ultimo atto, mantenendo sospeso lo spettatore tra l’oscuro che si intuisce e la realtà che si osserva.
Saburo Teshigawara ideatore ed interprete di Tristan and Isolde, andato in scena in prima europea lo scorso 31 ottobre al Teatro Ariosto di Reggio Emilia, amplifica la dicotomia in cui sono intrappolati i due amanti attraverso l’utilizzo di luci in grado di scolpire la tensione tra le figure nello spazio. Insieme a Rihoko Sato della Compagnia Karas (creata e diretta dal coreografo dal 1985) vestiti di austeri abiti neri, lungo abito accollato per lei, soprabito e pantaloni per lui, incantano danzando con la luce: è questa che indica le direzioni e traccia i vincoli dove i corpi hanno il permesso di esistere.
Il palcoscenico è buio come la sala. Le prime note del Preludio strumentale wagneriano coincidono con l’emergere sfumato e rossastro di una figura maschile a terra: il busto eretto e lo sguardo diretto al centro della scena. Qui, dopo un impercettibile attimo di nero assoluto, avvolta in un cono di luce che proviene dall’alto, appare una figura femminile in piedi: le mani ed i volto sembrano galleggiare nello spazio.
Ancora buio, poi l’imprevedibile: quando la luce ritorna è arretrata di almeno due piani in profondità, e la figura maschile è lì, immobile, inverosimile.
Continua a stupire e confondere lo sguardo la rapidità delle molteplici apparizioni in punti distanti dello spazio di quelle che sono solo due figure capaci di cambiare colore (rosso, blu, piuttosto che un caldo giallo miele) a seconda dei fasci di luce che le colpiscono. Tristano e Isotta sono isolati ognuno con il suo modo di esistere. Linee morbide ed inesauribili come il ritmo del respiro per le braccia di lei, segmenti rigidi che tagliano lo spazio vicino al corpo rompendo traiettorie prevedibili con guizzi e sospensioni per lui.
Unico accenno scenografico al mare sono le grandi tende nere: percorrono le quinte laterali in tutta la loro profondità e ricadono con abbondante drappeggio da entrambi i lati del palco, offrendo una morbida curva d’onda alle luci blu cobalto che le colorano.
La musica prosegue con estratti del primo e secondo atto, primeggia il cantato. Tristano ed Isotta si dibattono come falene abbagliate dalle luce: prima lungo due corridoi luminosi che si incrociano perpendicolari, poi in tutto lo spazio bianco come in pieno giorno, per finire imprigionati in un cono di luce centrale.
Entrambi i disegni della braccia conosciuti nella prima parte, ora sono proiettati in tutta l’ampiezza del palco da veloci scivolamenti di gambe precise come compassi: mai un’incertezza pur nella rapidità degli spostamenti, mai un’esitazione nel recupero attorno al proprio asse. Isotta continua ad essere come una membrana che si dilata e si ritrae senza sosta nel saliscendi del canto struggente in lingua tedesca che riempie lo spazio. Tristano taglia la luce, la frammenta, con mani ed avambracci che si scompongono in angolazioni che appartengono a codici orientali: intarsi di danza butoh, arti marziali come ideogrammi dal segno raffinato.
Quando sono vicini lui trafigge gli spazi vuoti che lei lascia, lei avvolge le scie che lui traccia. Fino a quando lui non cade ferito, e la coppia di nuovo scompare.
Un istante di buio che indugia il tempo di un respiro strappa al pubblico un applauso a scena aperta che introduce il momento poeticamente più alto di tutto lo spettacolo: l’accordo di Tristano scandisce i passi fragili di un uomo che si spoglia del suo soprabito e lo ripone a terra con la cura che solo ad una persona amata si può riservare. Inginocchiato, immobile, Teshigawara è comunque capace di danzare un dolore muto che sa rendere indimenticabile.
Lo strazio che attraverserà il corpo di Rihoko Sato quando Isotta giungerà sul luogo di morte ha la stessa qualità fluida e in ascesa che ormai la contraddistingue, ma di un’intensità tale che si stenta a riconoscerla come una corpo dotato di scheletro: è un impasto di dolore e morte.
In questa coreografia che condensa nella durata di un’ora i tre atti wagneriani, i tempi delle azioni sono senza sbavature per un dialogo chiaro con l’opera a cui si ispira. L’artista è riuscito nel suo intento di una danza che sia “scultura d’aria” imprimendo, grazie a due straordinari interpreti, scie di movimento che perdurano oltre il buio, oltre la notte dei due sfortunati amanti.
TRISTAN AND ISOLDE (durata 1 ora)
Prima europea
Coreografia e disegno luci Saburo Teshigawara
Interpreti Rihoko Sato, Saburo Teshigawara
Musica Richard Wagner
Produzione KARAS