FRANCESCA GIULIANI |In occasione della residenza creativa che lo scorso settembre ha visto CollettivO CineticO al lavoro presso il Teatro Dimora L’Arboreto di Mondaino, abbiamo incontrato la coreografa e danzatrice Francesca Pennini che ci svela qualcosa di più su Benvenuto Umano il lavoro che chiude il progetto decennale C/o.
Mi parli del progetto C/o?
Il progetto C/o nasce dal concetto di Eterotopia ed è stato innescato dalla lettura di Utopie. Eterotopie di Michel Foucault. È una griglia, un formato performativo dilatato, frammentato e incontenibile. È una performance che dura 10 anni ma basata su un tempo discontinuo: è fatta di vuoti e porosità e ciascun frammento è un lavoro a sé, progetto nel progetto. È una sorta di matrioska in cui la ricerca procede per strati. Sotto a questo denominatore metodologico si sono sviluppati gran parte dei titoli del repertorio del CollettivO, ma non coincide con l’intera produzione. Ogni frammento, ovvero ogni spettacolo che fa parte di C/o, indaga una diversa eterotopia. A cambiare non è solo il tema ma anche l’ordine di pensiero con cui queste eterotopie vengono individuate. Per fare alcuni esempi: in EYE WAS EAR (2007) l’eterotopia di riferimento era lo spazio virtuale, le realtà virtuali e i social network, declinato nell’anatomia del corpo dell’avatar e sviluppanto in studi performativi realizzati proprio sul web. In *plek- (2012) si trattava invece del luogo del “tra”, lo spazio interno ad una piega, l’interstizio, l’intervallo tra lo spettatore e lo spettacolo, quella zona ombrosa in cui vive il senso (ottuso, per dirla alla Barthes) delle opere d’arte, quel senso che viene deformato quando la piega si divarica in una spiegazione. In XD scritture retiniche sull’oscenità dei denti (2010) lo spazio della scena e del fuori scena diventa paradigma di un gioco sulla visione del corpo e la sua trasformazione in immagine (spesso fumettistica) in una serrata ritmica per sguardi rapidi e polifocali. O ancora, nei 10 miniballetti (2015) si tratta dello spazio aereo, della mobilità dell’aria e dell’impossibilità di localizzare il movimento se non nel fluire del tempo: qui è il corpo che danza a farsi eterotopia, e sono le mie memorie di bambina messe in scena a diventare eterocronia. Benvenuto Umano chiude questo decennale tornando proprio al corpo e facendolo diventare collettore di luoghi e tempi altri, di distanze e immanenze.
Dalla rilettura della danza classica in Sylphidarium al circo contemporaneo in Benvenuto Umano: come nasce questo nuovo lavoro di CollettivO?
Lo sconfinamento nei generi e l’esplorazione di mondi altri fanno da sempre parte dei nostri interessi un po’ per curiosità e necessità di apprendimento, un po’ per la posizione da “abusivi” che ti costringe a non dare nulla per scontato. In Benvenuto Umano il circo è anzitutto un cerchio, figura fondamentale anche della pianta scenica stessa del circo tradizionale. In questo caso è proprio l’attrezzo della rue cyr a fare da fil rouge a tutto il lavoro. Questo oggetto antico eppure utilizzato nelle discipline circensi da pochi decenni è stato scelto per il suo valore simbolico e per la sua forma geometrica, per il suo essere rudimentale nella forma ma complicatissimo nell’uso, per la sua pesantezza metallica in grado di generare l’inerzia più leggera, infinita e a-gravitazionale. Quel cerchio diventa cornice vitruviana del corpo: lo anima, lo doma e al contempo ne è intrappolato. Quel cerchio è anche orbita cosmica in rappresentanza ai moti di rivoluzione e rotazione. Del circo in Benvenuto Umano non c’è la leggera meraviglia quanto il pericolo, la scura consapevolezza del rischio costante di morte, la necessità di mettere il corpo sul ciglio, in sospensione sul filo e la conseguente attenzione totale che fa essere ogni nervo, ogni muscolo, ogni moto elettrico presente e evidente. Qui il rapporto con l’altezza non è di spinta propulsiva verso altezze mirabolanti, ma di sospensione grave, di tensione trattenuta verso il suolo.
Quale relazione si instaura tra la partitura ritmico-gestuale e la partita sonora?
C’è una dichiarata playlist, che viene fatta riprodurre alla Siri del mio smartphone, dove i brani pre-esistenti sono legati alle tematiche per contenuti e per energie: dalla canzone che ha misteriosamente fatto da testamento a Leonard Cohen e che annuncia il mio stare bendata per tutta la durata della performance a Fever Ray che ripete “if I had a voice I could sing”. Progressivamente da questa modalità sonora più distaccata i suoni passano alla voce e al corpo di Stefano Sardi che costruisce in diretta i loop e gli strati vocali che vanno da percussioni su microfoni a contatto posizionati sul suo petto a vocalizzi sempre più elaborati, fino a tornare – questa volta con le viscere in mano – ad una canzone Gospel che segna l’atto finale che conclude quello che più che uno spettacolo è sembrato un rito sacrificale per alcuni, iniziatico per altri.
Come si intersecano nella scrittura coreografica il mistero dei mesi dei dipinti del salone di Ferrara e la medicina cinese?
Come due sorgenti di indizi, due mondi ricchissimi e complessi in cui tessere i collegamenti: è una sorta di esercizio di simbologia applicata. La medicina tradizionale cinese è stato il terreno di studio fisico per una metodologia che non coincide con lo spettacolo ma ha preso vita propria e che interpreta il movimento in base alla teoria cinese dei 5 elementi, una sorta di grafico Labaniano dello sforzo ripensato per esagrammi, i-ching. Questo metodo – che noi per ora chiamiamo “il pentagono” – è anche un sistema di improvvisazione e composizione coreografica. Ma nella medicina tradizionale cinese non c’è solo anatomia, c’è anche filosofia incorporata e un ricchissimo immaginario non binario di definizioni e mutamenti. Sono tantissimi i punti di tangenza con gli affreschi di Schifanoia tanto studiati da Aby Warburg. I corpi dei decani raffigurati nei vari mesi e le loro geometrie sono indizio dei contatti con l’oriente e sono mappe della volta celeste. Al contempo ci sono le divinità greche e la vita sociale e politica del presente cinquecentesco della corte estense in una compresenza spaziale e temporale che fa della trasversalità la linea guida. Tutto è contemporaneamente presente e questo tutto così complesso era la sfida impossibile che ci aveva attratti. Entrambi i mondi, da un lato quello iconologico (ma non solo), dall’altro quello anatomico (ma non solo) chiedono un patto con il corpo di chi li incontra che sia un paziente, uno spettatore, un danzatore o un medico: maneggiare un mistero. Non per forza arrendersi ad esso, non necessariamente risolvere l’arcano come fosse un’equazione – significherebbe rovinarlo – ma esplorarlo e incorporarlo. Questa modalità di fruizione che i due mondi chiamano (diagnostica, iconografica e a distanza – che sia per geografia o per annata) è diventata strutturale per l’invito alla visione che Benvenuto Umano fa allo spettatore. Un viaggio nei propri riferimenti, nei propri organi.
Per finire sullo spettatore, quale suggerimento dà CollettivO CineticO a chi entra in Benvenuto Umano?
Penso che per lo spettatore abituato alle performance cinetiche questo sia un progetto strano, da affrontare con un altro spirito. Se di norma venivano esposte tutte le regole del gioco e da lì si partiva per godersi la performance e la propria interpretazione, in questo caso il mistero fa parte del gioco. Ci sono tanti indizi e i riferimenti simbolici e interpretativi vengono predisposti in scena ma mai dichiarati. Non c’è informazione, non c’è comunicazione in questo senso. È un invito in un mondo viscerale, in un buio in cui ciò che appare sotto le palpebre è ciò che è, in cui la propria immaginazione ha tutta la legittimazione di una realtà che si fa invece imprendibile. Vorrei che non ci fosse la necessità di risolvere il nodo, di districare l’equazione impossibile di indizi. Vorrei che fosse il nodo stesso ad essere apprezzato nella sua tenuta insolubile, nella sua articolazione illeggibile.
BBENVENUTO UMANO
Concept, Regia, Coreografia Francesca Pennini
Drammaturgia, Operatore shiatsu, Angelo Pedroni
Interpreti performer e circensi della compagnia
Coproduzione CollettivO CineticO, Fondazione Teatro Comunale di Ferrara, Festival Città delle 100 Scale
In collaborazione con Emilia Romagna Teatro Fondazione, Centrale Fies – art work space, Progetto Corpi & Visioni – promosso da Comune di Correggio, con il sostegno di MiBACT e Regione Emilia-Romagna