ESTER FORMATO | La drammaturgia di Pinocchio firmata da Antonio Latella, in collaborazione con Linda Dalisi e Federico Bellini, si origina da una riflessione linguistica intorno all’opera di Collodi. Fu questo romanzo, insieme al libro Cuore, a consegnare al pubblico di giovani una codificazione della lingua italiana moderna e nel caso de Le avventure di Pinocchio secondo un principio di orizzontalità che permetteva, cioè, un rimpasto uniforme di forme alte e basse, difatti non sfuggirà allo spettatore gli echi danteschi per bocca del burattino toscano.

Così, questa riflessione diventa nella regia e nel testo dello spettacolo, intuizione in base alla quale il romanzo di Collodi si trasforma in nuova e inedita creazione espressiva e linguistica che il burattino Pinocchio mette in atto, come un incosciente regista teatrale; l’opportunità che il teatro offre di ricreare solo con l’uso della parola, luoghi e tempi infiniti e molteplici  dinanzi ai nostri occhi consente di guardare al burattino di legno come creatura “creata” e “creatrice” di un mondo che si oppone a quello in cui a causa di Geppetto si trova immerso.

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La parola di Pinocchio nasce con lui, si rende sofferente come la sua stessa “nascita”,  si fa materiale, fertile, magmatica e morbida e raccoglie simultaneamente tante possibilità di linguaggio per contrastare l’uniformità della lingua paterna. Tutto ciò viene tradotto in assito da una visibile dicotomia fra spazio interno della falegnameria e quello esterno formalizzato da un pannello dal quale Pinocchio esce per ritrovarsi immerso fuori. In sospensione un grande tronco troneggia a mezz’aria da una quinta laterale e trucioli cadono per buona parte di tutto lo spettacolo, segno di una dolorosa generazione che ha come conseguenza la separazione fra chi pretende di essere genitore e chi viene alla luce  con uguale sofferenza come da un grembo materno. Il burattino è sostanza vivificante e vivificatrice che, una volta sulla scena della vita umana, rompe immediatamente quel “cordone ombelicale” (concretizzatosi con un semitronco attaccato al suo torace) che lo tiene vincolato al suo “babbino”.

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Questo fuori è rappresentato immediatamente dal teatro dei burattini – episodio che sembra assumere un significato fondamentale nella rappresentazione latellana –  per il quale Pinocchio baratta il suo abbecedario, e declinato nell’ottica di una situazione servile a cui i tre saltimbanchi (Colombina, Arlecchino e Pulcinella) sono sottoposti da Mangiafuoco. È luogo dell’osceno e insieme del rispecchiamento, della presa di coscienza di sé ma anche suggestione metateatrale che plasma tutto lo spettacolo. In poche parole, il Pinocchio latelliano sembra raccogliere simultaneamente le caratteristiche di una maschera di una commedia dell’arte che fraziona la narrazione in più microazioni e le evoluzioni di un adolescente contemporaneo che con l’aggressività fiera e irrazionale delle proprie parole cerca di distruggere la lingua degli adulti. Ogni pulsione del personaggio provoca un’estensione spaziale indefinita che lo trascina in mondi improbabili, allontanandolo dalla figura paterna, in rocamboleschi mutamenti.

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Latella sembra quindi giocare sulla divaricazione psicologica, ma anche fisica, fra padre e figlio scavando in Collodi la presenza di un conflitto che ha come essenza quella dell’estraneità fra generazioni in cui manca, pessimisticamente, ogni sorta di agnizione.

C’è tuttavia qualcosa che non c’è rispetto alle precedenti visioni e regie di Antonio Latella; un senso di mancanza che forse nasce dal fatto che in Pinocchio pare assente quella profondità di analisi che diviene metodo destrutturante con il quale il regista stabiese ha spesso decostruito dal di dentro i testi di tradizione. Pensiamo ad esempio all’uso degli animali a grandezza d’uomo che, ad un tratto in Natale in casa Cupiello,quasi soffocano il corpo degli attori in scena o allo spettacolo C’è del pianto in queste lacrime; in Pinocchio ce n’è una traccia simile, i barbagianni che amplificano ancora di più la “stoltezza” del burattino; mentre nell’allestimento eduardiano la presenza è fortemente legata ad un’analisi poderosa sulla tradizione, in quest’ultimo caso la funzionalità di una serie di “stilemi” si arresta ad un’interpretazione dell’opera probabilmente già sdoganata, come anche l’acquisizione del linguaggio dell’adolescente contemporaneo di cui è vero che viene accolta la pulsione ribelle e distruttrice, ma che resta in superficie come un semplice innesto aggiuntivo delle combinazioni linguistiche pinocchiesche.

Viceversa ci sembra abbastanza rilevante la bifrontalità della questione genitoriale, espressa sia in Geppetto che ne la fata Turchina, accomunati da questa paternità e maternità obiettivamente surrogata, condizione che imprime ancor di più la loro estraneità allo sviluppo psicologico di Pinocchio e che ci rimanda un’eco quasi tragica del conflitto fra generazioni.

Il Pinocchio di Latella assume i connotati di una compagine vagamente metateatrale in cui il Geppetto e il burattino di legno  si contendono spesso il ruolo di artifex, creator che non è colui che “genera”, ma al contrario chi, generato con dolore, oppone al mondo già di per sé bugiardo un ostinato rovesciamento.

Probabilmente è su tale intuizione che ci saremmo aspettati un ragionamento più preponderante, in grado di varcare più a fondo le soglie dell’interpretazione e della visione. In compenso la potenza scenografica, l’atmosfera creata dalle luci, l’impressione trasognante della narrazione, data da una condizione quasi delirante di Geppetto che sembra “sognare” le avventure del suo burattino, la caratura attoriale di tutti gli interpreti, l’immersione chiaroscurale, quale tinta indefinita della mente di un adolescente, ma anche segno di un racconto erroneamente definito esclusivamente favolistico,  avvalorano del Pinocchio di Latella la forza visiva ed espressiva che emerge da Collodi.

PINOCCHIO

drammaturgia Antonio Latella, Federico Bellini, Linda Dalisi
regia Antonio Latella
scene Giuseppe Stellato, costumi Graziella Pepe
musiche Franco Visioli, luci Simone De Angelis
con Michele Andrei, Anna Coppola, Stefano Laguni, Christian La Rosa, Fabio Pasquini, Matteo Pennese, Marta Pizzigallo, Massimiliano Speziani
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa

foto di scena Brunella Giolivo

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