ELENA SCOLARI | Wonderland Festival organizzato da Residenza I.Dra di Brescia, dall’anno scorso con sede nel bellissimo e centrale Palazzo Martinengo Colleoni è giunto alla nona edizione e ci esorta a dire la verità fin dal manifesto: Speak the truth! è il motto della manifestazione che ci porge una regina di cuori. Accettiamo volentieri la sfida, siamo qui per questo, del resto.
Dire la verità col teatro non è così facile. Ma quale verità, poi? Quella di chi? Può essere un gorgo epistemologico senza fine. Leggendo la presentazione del festival si ha infatti l’impressione che più che di verità si parli di “realtà”. Che potrebbe sembrare più circoscrivibile, se assumiamo che sia quella che ci circonda.
La scelta di alcuni dei titoli del festival si rifà piuttosto all’attualità: terrorismo, immigrazione, violenza domestica, guerra in Afghanistan. Possiamo quindi dire che la forma di verità teatrale cui I.Dra si riferisce è una volontà di affrontare i fatti, anche quelli scomodi, un esercizio artistico che si esplica nel provare a riflettere sul mondo, in teatro, usando il teatro come mezzo per l’analisi.
PAC ha partecipato alla prima giornata di Wonderland e visto tre spettacoli, sui quali ci soffermeremo, cercando anche di capire quante verità abbiamo riconosciuto.
Il cartellone si apre con Serissimo metodo di InBalìa/Michelangelo Dalisi, tratto da “Serissimo metodo Morg’hantieff” di Claudio Morganti.
Il “metodo” non è serio per niente, è ironico e fin satirico, direi, ma viene presentato con rigore quasi scientifico e fornisce trucchi e nozioni per distinguere ciò che è Teatro da ciò che è Spettacolo.
Dalisi e Giglio nei panni di Anton Morg’hantieff e Vassili Claudienko, nonno e nipote, espongono la loro teoria componendo una lezione fatta di esercizi pratici che coinvolgono il pubblico e altri eseguiti da loro stessi, a dimostrazione delle sottili ma sostanziali differenze tra i due “generi”. Naturalmente lo Spettacolo è attività rispettabile ma non sacra, più mercantile e priva della nobiltà artistica che invece il Teatro porta con sè. C’è humour in abbondanza e un sano distacco dalla retorica che a volte ammanta l’idea del teatro e l’idealità che gli si fa rivestire. In inglese si direbbe “witty”, per la vena di spirito arguto che lo sostiene.
Avevamo visto, con piacere, la presentazione di 20 minuti del lavoro di Dalisi (per non dire spettacolo!) all’edizione 2015 di Next, la porzione d’allora pareva un divertissement “ad usum operatorum”, pensata per un target molto circoscritto e quasi limitato a chi è del mestiere. La versione completa di Serissimo metodo si è invece aperta un po’ di più, risultando uno stimolo ad interrogarsi su alcuni luoghi comuni della scena valido anche per i non teatranti. Rimane però un po’ meccanico nel suo svilupparsi e la quantità di esercizi tratti dal manuale tende a soffocare quel filo di storia che pure esiste nel rapporto tra i due personaggi, finendo per cadere in ciò che sarebbe da evitare per non cascare nello “spettacolo”, appunto. Entrambi vagamente romanzeschi nella loro finta russità, i due alludono a una teatralità che lasciano ai margini.
Haze – studio per un monologo corale, creazione del gruppo Image Collective, si propone di mettere in scena un fatto di cronaca nera (vera) avvenuto in una cittadina statunitense dove si consuma un dramma familiare: un padre viene trovato morto, sparato, in casa e non è ben chiaro se ad ucciderlo sia stata la moglie o il figlio per difendere la madre, figlio scomparso contestualmente alla dipartita dell’uomo.
Ammettiamo però che prima di riuscire a districarci nella nebbia (metaforica e non) dell’intreccio abbiamo faticato non poco. La prima metà di spettacolo non è lineare, c’è dell’intenzione in questo, certo, ma la rarefazione eccessiva e l’onirismo così accentuato rischiano di diventare maniera. Quasi che gli autori fossero riottosi a rendere più intelligibile il racconto a vantaggio di una maggior inquietudine.
I singoli personaggi non sono mai in rapporto tra di loro, quasi sempre soli in scena, i dialoghi avvengono tramite voci fuori campo o in conversazioni di cui sentiamo solo uno degli interlocutori, sempre in differita, dunque.
Un modellino della città campeggia su un tavolo, nella semioscurità della scena. Una piccola cittadina, apparentemente modello, immediatamente riconoscibile come uno di quei luoghi dove tra le vie regolari, gli ordinati filari di alberi, le apple pie e i giardini ben pettinati si annidano infelicità, isterie, oscure insoddisfazioni che non portano mai niente di buono.
Sembra di guardare dentro la testa di uno dei protagonisti della storia: ancora confuso e sospeso tra il fare chiarezza e l’aumentare “la bruma” perché la verità non venga mai a galla. La verità se ne è volata via, in questo caso, come afferma la madre riguardo al bambino, che giura “di aver visto volare come un angelo” quando stava per buttarsi dalla finestra, dopo il ritrovamento del padre.
Lo spettacolo è definito come un “thriller metafisico”. Lo stile offuscato e i quadri non logicamente concatenati possono essere una via per indurre lo spettatore ad andare “al di là di ciò che è fisico”?
La cura estetica di luci, forme e colori è elemento da rilevare positivamente, ci portiamo però fuori uno strato di caligine che ci impedisce di cogliere limpidamente quali vogliono essere i punti tematici toccati da Haze tramite il mezzo teatrale.
Arriviamo al terzo spettacolo della giornata: Io sono. Solo. Amleto., ancora di InBalìa con Marco Cacciola, autore del progetto e coregista con Marco Di Stefano. Come dice Roberto Herlitzka (interprete del mirabile Ex Amleto), Amleto è l’unico personaggio teatrale che vive anche al di fuori della scena, perché i suoi dubbi e le sue passioni sono quelle di tutti noi, un Amleto ci accompagna sempre, gli possiamo parlare e ci possiamo specchiare in lui.
E’ così che il bel testo di Lorenzo Calza, Michelangelo Dalisi, Letizia Russo, intreccia stralci della tragedia a inserti originali, anche comici, ma sempre con un collegamento al testo shakespiriano, a volte un poco forzato ma mai ingiustificato.
Cacciola, con recitazione sfaccettata e sempre disinvolta, mostra un lato di ognuno dei personaggi principali della tragedia: la rabbia interrogante di Amleto, la debolezza di Ofelia, la tormentata superficialità di Gertrude, la saggezza del becchino, abbinando questi tratti a rimandi più contemporanei come le fatiche di un padre alle prese con una figlia adolescente e con le zip di giacchette di infanti che si inceppano. (Le zip non gli infanti).
Quando entriamo in sala la “rappresentazione” è già in corso, Cacciola avvicina una lunga asta con microfono ai passi degli spettatori, al loro chiacchiericcio prima di sedersi, allo scrocchiare delle carte di caramella, piccoli pezzi di verità tra scena e platea che compongono il quadro dell’evento teatrale e che hanno ragione di essere inseriti nel “pezzo” cui assistiamo.
C’è molto pensiero sulla morte, a partire dal sentiero di terra sparsa a terra dall’interprete per camminarci sopra a piedi nudi, come se si stesse costruendo il percorso che lo porterà alla fine ultima fin dall’inizio della sua esistenza. Niente male davvero.
Osserviamo che la bella operazione del testo rilucerebbe meglio (illuminando anche le idee registiche più brillanti) se si sforbiciassero qua è là i lunghi momenti di interazione col pubblico, divertenti sigaretta fumata e birretta bevuta insieme a un paio di spettatori ma potrebbero essere condensati come durata, così come troviamo un po’ posticcio e ideologico l’accenno al caso Giuliani.
Io sono. Solo. Amleto. è un esempio felice di come si possa lavorare su un super classico, in questo caso sul Classico per eccellenza, senza rimanerne servi ma facendone una manipolazione ragionata.
SERISSIMO METODO
tratto da “Serissimo Metodo Morg’hantieff” di Claudio Morganti
regia Michelangelo Dalisi
con Michelangelo Dalisi, Rosario Giglio
produzione Residenza IDRA/InBalìa
con il sostegno di NEXT, Regione Lombardia
HAZE
studio per un monologo corale
regia e realizzazione scenica collettiva Image Collective
IO SONO. SOLO. AMLETO.
progetto e interpretazione Marco Cacciola
regia e drammaturgia a cura di Marco Cacciola e Marco Di Stefano
con testi originali di Lorenzo Calza, Michelangelo Dalisi, Letizia Russo
produzione Residenza IDRA /InBalìa