ANTONELLA D’ARCO | “Son tutte belle le mamme del mondo […] Son le bellezze di un bene profondo / fatto di sogni, rinunce ed amor”. La melodia della canzone, Tutte le mamme, apre lo spettacolo diretto da Gerardo D’Andrea, in cartellone al Teatro Area Nord di Piscinola, periferia di Napoli, il 2 e 3 dicembre. Antonella Morea, muovendosi tra musica – Vittorio Cataldi alla fisarmonica e al violino e Ginetto Ferrara alla tromba – e parole, porta in scena Mamma, piccole tragedie minimali, testo di Annibale Ruccello, che debuttò poco prima della sua tragica ed improvvisa scomparsa nel settembre del 1986.

Se le canzoni, che separano e raccordano le quattro parti di cui è composto il monologo, delineano con i loro versi un vero e proprio inno alla tenerezza e umanità della madre, le parole dell’autore di Castellammare di Stabia raccontano un’altra umanità, quella ferina e indifferente che pure contempla la maternità; quella feroce e distratta che conduce a tante, quotidiane “piccole tragedie minimali”.

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Annibale Ruccello

L’intuizione della regia, nata dall’ esigenza di rappresentare Mamma nell’ ambito del Positano Teatro Festival, primo luogo dove è avvenuta la messinscena e di cui D’Andrea è direttore artistico, è stata quella di affidare proprio ad Antonella Morea le intenzioni e la poesia di Ruccello. Nella sensibilità dell’attrice si scorge il mondo della tradizione e della favola, da De Simone a Lo cunto de li cunti, e l’attenzione alla contemporaneità che immerge le sue solide radici nella linfa di un passato che ancora vivifica, come solo la drammaturgia di Annibale Ruccello sa fare.

Tre microstorie, Catarinella e il principe serpente, Miezoculillo e Il re dei piriti, costituiscono il primo affabulatorio segmento. Protagoniste sono le figlie, ingrate e disobbedienti, invidiose e superficiali, che, indirettamente, raccontano la maternità e si riflettono, in un gioco di specchi, nei successivi tre quadri. La fascinazione per il femminile, indagata in tutta la drammaturgia di Ruccello, in Mamma, piccole tragedie minimali costruisce un’impalcatura di ruoli che rimbalzano gli uni sugli altri.

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Antonella Morea

La Maria di Carmelo è “na povera Madonna”, convinta di essere tale, la Vergine Immacolata, che vive il raddoppiamento del suo status di madre, reale e irreale, e il contrasto violento con le suore, che abitano il manicomio in cui è rinchiusa, nel cui cuore dovrebbe albergare uno spirito caritatevole e disinteressato, quello di una mamma, in questo caso verso i malati e i disagiati, ma che invece è del tutto assente. La madre di Adriana in Mal di denti si confronta con una giovane e futura mamma, la figlia Adriana per l’appunto, rimasta incinta; e dallo scontro tra le due, che avrebbe dovuto essere un abbraccio in cui esprimere un rafforzato istinto materno, l’unico istinto che affiora è quello di odio e di morte. Da ultimo ne La telefonata, Maria e Nunzia appaiono entrambe madri distratte e insofferenti alla quotidianità della vita domestica nella quale si intuisce, dai nomi affibbiati ai figli – Deborah, Ursula, Morgan e Dieghito -, l’eco di sogni e ambizioni da audience televisiva.

La televisione, segno della modernità che irrompe nel quotidiano, della contemporaneità che s’impossessa della tradizione,  è portatrice malsana di abitudini che non ci appartengono, ma che a poco a poco ci conquistano, ed è  portatrice sana di tragedie di cui si fa megafono, come quella del Vermicino o del terremoto dell’ ’80; riferimenti questi che rendevano, trent’anni fa, Ruccello attuale e, ora, contemporaneo e sempre necessario. Anche  nella dimensione del semplice omaggio, entro cui si ascrive lo spettacolo di Gerardo D’Andrea, si esprime questa necessità, questo bisogno culturale. Senza trovate sceniche e senza ruffianeria nei personaggi agiti, Antonella Morea restituisce tutta la potenza della parola di Ruccello, finestra tra lo spettatore e l’autore stesso, dalla quale affacciarsi sulle molteplici possibilità di lettura e di pensiero sempre nuove e universali.

MAMMA, PICCOLE TRAGEDIE MINIMALI

di Annibale Ruccello

con Antonella Morea

e con Vittorio Cataldi (fisarmonica e violino); Ginetto Ferrara (tromba)

scene Carmine De Mizio

costumi Alessandra Gaudioso

regia Gerardo D’Andrea