RENZO FRANCABANDERA e ELENA SCOLARI | RF: Potremmo iniziare dicendo quanto indietro siamo in Italia sui diritti e sull’uguaglianza di genere. E certamente è così guardando ad altre nazioni, europee e non, che negli ultimi anni hanno fatto passi da gigante sui temi della civiltà e del diritto. Ma in Europa ce ne sono anche tantissime, dove, come in Italia, sulle questioni di cui parla Geppetto e Geppetto, ultimo lavoro di Tindaro Granata, in tournée dall’anno passato con grande successo di pubblico, su questi stessi temi si è in grave ritardo. E gli USA con la nuova presidenza stanno facendo incredibili retromarce (si pensi alla cancellazione di alcune parole dal vocabolario della sanità nazionale, come transgender, feto, ecc.)…
Insomma l’omofobia, il riconoscimento del genere, sono temi su cui l’umanità non riesce a fare inequivoci passi avanti senza rischi di ritorni nel buio. Figuriamoci sull’adozione o il riconoscimento alle famiglie omogenitoriali.

ES: Luca (Tindaro Granata) e Toni (Paolo Li Volsi) sono fidanzati da dieci anni, tutti e due vorrebbero un figlio – anche se con gradi di convinzione diversi – ma in Italia non sono permessi né l’adozione per coppie omosessuali né tantomeno il protocollo dell’utero in affitto (pessima espressione, sì, meglio “gestazione per altri” forse?), decidono così di andare in America per mettere in pratica ciò che in patria non è possibile fare. Entrambi daranno il proprio seme (ma solo uno sarà ovviamente il padre biologico del bambino) perché avvenga la fecondazione di un ovulo di una donna donatrice, quest’ultimo sarà poi impiantato nell’utero di una seconda donna, che porterà a termine la gravidanza e darà il figlioletto alla coppia. L’ho spiegato abbastanza chiaramente?

RF: Mi pare abbastanza intuitivo. Poi effettivamente dubbi etici e questioni complesse ce ne sono vari. Ricordiamo sullo stesso tema anche l’ultimo lavoro di Babilonia Teatri (Pedigree).

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ES: Certo che il faro su conquiste politiche, sociali, civili, anche molto importanti, si spegne veramente in fretta. A sentire parlare ora di stepchild adoption sembra una argomento già lontano, non ti è parso?
Io devo dirti che se un’emozione l’ho avuta, per Geppetto e Geppetto, è stato nel risentire le parole dell’on. Monica Cirinnà quando parlò in parlamento dopo l’approvazione della legge sulle unioni civili, di cui era relatrice, nel febbraio2016. Per altro il brano audio fatto sentire nello spettacolo è quello in cui cita le parole di Ettore Scola, peccato che non venga detto chi era “il grande uomo di libertà” cui si riferisce. Lo dico anche perché in sala c’erano tanti giovani, liceali che quasi certamente non lo conoscono, né sanno quanto questa legge sia anche una derivazione di instancabili e annose lotte di cittadini e intellettuali impegnati per la libertà della persona.

RF: L’oblio della storia, specialmente quella dei diritti, penso sia una colpa grave della deriva civile nella società liquida. Il crollo delle ideologie del ‘900 ha portato a un’idea di società che si fonda su pulsioni anarcoidi superficiali, dove la storia si dà per acquisita e la si conosce a malapena su Wikipedia.
Per molti versi anche la società descritta in questa drammaturgia sembra senza storia, se non quella che deriva dal microcosmo in cui i personaggi agiscono. Una scena di fatto vuota, un tavolo al centro, le vicende familiari pronte a prendersi tutto. La storia, i movimenti di massa sono voci registrate, dinamiche invisibili che di tanto in tanto intervallano le vicende private, ma restando esterne, per molti versi incomprensibili. Resta tutt’al più un confronto fra generazioni a testimoniare il tempo che passa.

ES: Per conto mio il personaggio più riuscito è quello della madre di Toni (Roberta Rosignoli), che incarna le perplessità comuni, i dubbi sui costumi che cambiano al passo di come stanno cambiando il mondo e il concetto di famiglia. Al contrario di tutti gli altri, la madre non ha nome, tutti portano una maglietta nera con il proprio nome in bianco tranne lei, che è definita solo “madre”. Come se tutto il suo essere fosse concentrato in questo ruolo. È una donna che fatica a fare proprie le istanze di un tempo che non è quello in cui lei si è formata ed è cresciuta, ma ha comunque accettato l’omosessualità del figlio e ha un ottimo rapporto col suo compagno. È la questione del volere un bambino che non le va giù. E quando il figlio Matteo (Angelo Di Genio) arriverà, lei interromperà i rapporti con i due e non vorrà vedere il nipote.
È però un peccato – e a mio parere anche un difetto drammaturgico – che la madre scompaia bruscamente per non rientrare più nella geometria dello spettacolo. Essendo il mezzo/persona che veicola dubbi e rigidità comuni a molti, eliminarla significa eliminare quello che rappresenta, a vantaggio di una voluta chiusura del cerchio, che ai miei occhi è risultata artificiale.

RF: La prima parte della vicenda, ovvero i dilemmi fra i due nella coppia prima dell’arrivo del figlio e i conflitti con la famiglia sono la parte della drammaturgia più interessante insieme al confronto fra l’adolescente rimasto orfano del suo genitore biologico e l’altro uomo della coppia, che rivendica il ruolo di padre che ha cresciuto il figlio, anche se non biologicamente suo. Il resto delle vicende cerca di puntellare, come dicevi, una serie di temi riguardanti la felicità e il senso della famiglia.

ES: Granata ha scritto un testo ricco, che cerca di non tralasciare nessun aspetto della questione, anzi tende a mettere anche troppi casi “esemplari”: la maestra – seppur progressista e di sinistra – che ancora dà il tema “Descrivi la tua famiglia” e nel sentire lo svolgimento di Matteo, non riesce a evitare di mostrare la sua estraneità involontaria di fronte a una situazione che considera comunque “anomala”; Toni si ammala e muore di cancro; l’amica di sempre Franca cresce da sola una figlia perché il suo fidanzato l’ha lasciata lascia quando la bimba aveva due anni (anche gli eterosessuali piangono); il figlio prende psicofarmaci “per dormire”; poi anche Luca si ammalerà e Matteo finirà lo spettacolo al suo capezzale, accusandolo blandamente di avergli creato un sacco di problemi ma alla fine dicendogli “Grazie”.

RF: “Grazie papà” se non ricordo male. Lo spettacolo cerca un finale – diciamo così – in cui tutto va a posto, o almeno sembra, ma la seconda parte ha diversi problemi drammaturgici che rendono meno leggibile l’intenzione di fondo del testo, anche se ovviamente il pubblico segue tutto e applaude contento. Ma qui stiamo ragionando in termini critici rispetto al linguaggio teatrale, ai suoi princìpi e al modo in cui questo testo e la sua declinazione scenica si pongono. E da questo punto di vista sia la drammaturgia sia la regia hanno a mio avviso alcune debolezze: lo scarto del bambino piccolo che fa la vocina mi pare onestamente inutile e una scelta tutto sommato infelice, come pure alcune figure della dinamica adolescenziale che restano incompiute e complicano la trama senza arricchirla. Troppe cose che dovrebbero andare poi tutte a posto in un mondo ideale dove il brutto a un certo punto finisce.

ES: Ecco, a me sembra che l’autore abbia voluto mettere tutto troppo in ordine.
Il figlio è anche più corpulento di entrambi i padri, la vocina stridula lo danneggia, teatralmente. E ancora dal punto di vista della scrittura e del fluire del racconto teatrale, la questione dell’amico che vuole andare in Russia e della ragazza figlia di Franca che mette pace tra le loro giovanili discussioni è del tutto accessoria.

RF: Diciamo che il postulato del teorema e l’enunciazione dei suoi principi corollari risultano più interessanti della dimostrazione, se mi si passa la metafora geometrica.
Questa, infatti, non mantiene la pulizia concettuale e logica che dovrebbe discendere e condurre il testo. Ci sono sicuramente buone idee, una bella ironia nella prima parte, il dramma del confronto generazionale. Questi temi sono messi a fuoco in forma opportuna. Sul resto sono meno convinto, pur consapevole della opportunità di un lavoro di questo genere e della sua portata divulgativa anche solo per l’emotività che può muovere.

GEPPETTO E GEPPETTO
scritto e diretto da Tindaro Granata
allestimento Margherita Baldoni
movimenti di scena Micaela Sapienza
con Alessia Bellotto, Angelo Di Genio, Tindaro Granata, Carlo Guasconi, Paolo Li Volsi, Lucia Rea, Roberta Rosignoli
luci e suoni Cristiano Cramerotti
coproduzione Teatro Stabile di Genova, Festival delle Colline Torinesi, Proxima Res
Premio Ubu 2016 – Novità o nuovo progetto drammaturgico
Angelo Di Genio Premio Nazionale della Critica 2016 come Miglior attore emergente.