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MARCO BALDARI | Cesare Lievi il più “tedesco” per formazione dei nostri registi, porta in teatro uno spettacolo su Martin Lutero. L’occasione è il 500° anniversario della Riforma Protestante. Nel 1517 il monaco Agostiniano affisse sulla cattedrale di Witterberg le ormai famosissime 95 tesi contro il Papato romano. Motivo di questo gesto fu lo scandalo contro le indulgenze, vendute ormai a tutti per permettere alla Chiesa di far cassa.

Punto di partenza di Lievi per la scrittura di questo testo, sua è anche la drammaturgia, è la domanda di cosa sia rimasto, dopo quasi mezzo millennio, di un evento che ha cambiato la vita di tutti noi, segnando uno spartiacque per l’Europa e modificando radicalmente la nostra concezione di vivere e pensare l’esistenza.

Lo spettacolo proprio come affermato dal regista  “è un’opera su Lutero senza Lutero, un omaggio alle sue parole e a ciò che ci hanno lasciato”. Cosi in 12 ricordi scenici si traccia la storia del monaco tedesco e di quello che i suoi gesti hanno trasmesso a tutta la cultura Europa. L’opera di Cesare Lievi si inserisce nel percorso di Stagione Trittico delle religioni, un affondo nel complesso rapporto tra le fedi religiose e il mondo odierno, con uno sguardo alle radici della nostra civiltà

L’opera si dipana in due grandi blocchi narrativi.

Una “lezioncina” su Martin Lutero. Il pubblico accolto da un’enorme lavagna con tanto di gessetto e cancellino, si trova di fronte una compagnia teatrale, in realtà sono due, quattro italiani e quattro tedeschi, Hendrik Arnst, Valentina Bartolo, Bea Brocks, Paolo Garghentino, Irene Kugler, Gregor Kohlhofer, Graziano Piazza, Alvia Reale (il perché di questa scelta lo vedremo tra poco) che, ripercorrendo le tappe più importanti della vita del monaco, cerca il modo migliore per trovare una messa in scena convincente.

Le conseguenze del gesto dell’affissione delle 95 tesi. L’eterno conflitto tra vecchio e nuovo, tra padre e figlio. La continua messa in discussione di valori che venivano dati per certi. Il rapporto con la religione e il fanatismo. E la rottura più grande, la traduzione delle opere sacre. Fino a quel momento solo in latino, ma che con Lutero diverranno anche in tedesco, cambiando radicalmente l’approccio alla religione e scardinando i rapporti di potere e di egemonia sulla cristianità.

Tutti questi argomenti sono risolti da Lievi con una messa in scena semplice e lineare, alternando in maniera sapiente i vari temi scelti. Grazie anche alle scenografie di Maurizio Balò, la rappresentazione si trasforma continuamente tramite un sapiente uso dei vari sipari, fatti salire o scendere a seconda dell’utilizzo necessario: lo scenario passa, da una cena tra madre e figlio a funerale del padre appena concluso, dove tutto l’astio per un rapporto mai esistito esplode; a citazioni storiche sulla scomunica di Lutero; passando per la difficoltà delle due compagnie, (ricordate?) una tedesca e un’altra italiana di capirsi e mettersi d’accordo su come portare a termine lo spettacolo, la musica infatti è ridotta all’osso. Ciò che deve risuonare alto sono le parole immortali del monaco di Eusleben, recitate sia in italiano che in tedesco (fantastica trovata per rendere esplicito quanto il latino fosse limitante per la divulgazione della religione cristiana, ma quanto fosse utile per il mantenimento dello status quo a Roma). Fino a “cartoline oniriche” sull’evoluzione della specie umana. Dei flash metafisici sulla storia dell’uomo, dalla sua crescita  da scimmia a uomo, fino alla situazione attuale, la completa distruzione di ciò che ci è stato lasciato, compresa la cultura.

Uno spettacolo sicuramente ambizioso e si può immaginare non facile da approcciare anche per il regista, che cerca di rendere una storia estremamente complessa in maniera il più possibile accessibile, puntando su una messa in scena essenziale e sobria, e su una recitazione sempre contenuta e chiara. Gli attori limitano al massimo ogni eccesso con una prova estremamente controllata anche nei movimenti, ma senza risultare mai impacciati.

Il risultato finale è  comunque quello di un’opera che cerca di confrontarsi con molte questioni, forse troppe, e a volte ci si perde (colpa anche della forte presenza della lingua tedesca): tutto resta un po’ distante, creando poca empatia e coinvolgimento. L’omaggio a Martin Lutero è chiaro, ben posto in luce, non altrettanto si può dire delle implicazioni del suo gesto immenso, che a conti fatti emergono poco. Uno spettacolo sulla parola e di parola, ma che nella messa in scena rivela una serie di debolezze nello sviluppo analitico delle tesi sceniche, che non convince fino in fondo.

Il giorno di un Dio
 scritto e diretto da Cesare Lievi

Dramaturg Sylvia Brandl, Philine Kleeberg
Traduzione per la parte in tedesco Hinrich Schmidt-Henkel
Interpreti (in o. a.) Hendrik Arnst, Valentina Bartolo, Bea Brocks, Paolo Garghentino,Irene Kugler, Gregor Kohlhofer, Graziano Piazza, Alvia Reale
Musica e musica originale Mauro Montalbetti

Scene Maurizio Balò
Costumi Birgit Hutter

Disegno luci Cesare Agoni

Produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale, Emilia Romagna Teatro Fondazione, Stadttheater Klagenfurt

Teatro Argentina

2 COMMENTS

  1. Sinceramente è al tempo stesso una truffa (non si può propinare uno spettacolo in tedesco al pubblico traducendolo poco e male) e una delle più grandi bufale della storia, lento, sconclusionato, velleitario, inadatto e privo di sostanza. Una grandissima delusione, con il pubblico che lascia la sala senza applaudire, questi pronto a fischiare

  2. Ennesima vergogna di Calbi che, evidentemente, è presuntuoso e narciso e, quando sbaglia, rifiuta il confronto e non chiama i giornakisti per paura. E, inoltre, sperpero di soldi pubblici.

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