LAURA BEVIONE |Non sopravvive neppure una battuta del dramma di Cechov, eppure lo spettacolo che il trentaquattrenne regista Simon Stone – nato in Svizzera e trasferitosi poi in Inghilterra e in Australia – ha molto liberamente composto partendo da Tre sorelle riesce a traslare a latitudini contemporanee forme, umori, pensieri indubbiamente propri dell’autore russo.
Del dramma originale rimangono i nomi delle tre – Olga, Masha e Irina – così come altri tratti, non necessariamente secondari – e d’altronde la poetica di Cechov proprio sulle apparenti inezie si fonda. Ecco allora il pragmatismo dell’insegnante – e poi preside – Olga che, nondimeno, qui palesa una sicurezza meno fragile, frutto anche di una omosessualità vissuta discretamente ma consapevolmente – e pure con piena soddisfazione. C’è l’irrequietezza di Masha che riesce sì a diventare l’amante del suo Veršinin – qui ribattezzato Alex – e nondimeno non riuscirà ad affrancarlo dalla moglie, aspirante suicida. E poi la giovanile incostanza – e l’accidia – di Irina che, dove avere provato droghe e sballi vari, tenta la propria strada assistendo profughi ma senza vera empatia.
Stone immerge personaggi e situazioni nella contemporaneità, quella immediata dei riferimenti a Trump e alla Brexit, ma altresì quella di uno stile di vita nevrotico e impaziente, incapace di attendere la maturità di situazioni e sentimenti, scelte e riflessioni. Un presente dove certo la meta agognata non è più Mosca bensì Berlino o New York ovvero San Francisco, eppure persiste quell’ansia di cambiamento che, anziché tradursi in una reale messa in discussione della propria esistenza, si traduce nel vagheggiamento di “aldilà” soltanto immaginati, e sovente del tutto immaginari.
Ecco dunque che i personaggi – che occupano uno chalet in legno e ampie vetrate, una sontuosa scenografia che consente di seguirne i movimenti in perfetta sincronia – parlano incessantemente, bevono e fumano, cantano – in perfetto inglese, da Rihanna a David Bowie – si scontrano e si amano, senza che accada davvero nulla – o, a dir meglio, tutto succede fuori scena, come appunto nel dramma originale – se non quell’incessante frastornare con parole e azioni, pressoché casuali ovvero meccanicamente ordinarie, quel sentimento di non vivere davvero che attanaglia le creature cechoviane.
E, così, si scivola con inesorabile naturalità nella tragedia: non c’è pathos ma quasi gelida necessità in quel precipitare “scientifico” delle situazioni fino a quel colpo di pistola – ancora Cechov – che chiude il dramma.
Il medico-drammaturgo Anton Cechov e l’autore-regista Simon Stone condividono il medesimo interesse per quella discreta ma logorante disperazione che si cela dietro esistenze normali, dietro chiacchiere e barbecue, e, con la medesima, laica e sincera pietas, portano in scena creature che, a quella sofferenza, offrono risposte opposte e, in ogni caso, insoddisfacenti.
Ecco, allora, la fedeltà del tradimento di Stone, che, grazie anche ai suoi misurati e coinvolti interpreti, crea uno spettacolo potente, che costringe in qualche modo a riconoscere le proprie fragilità. Ma anche uno spettacolo in cui sensibilità e intelligenza, pensiero e maestria teatrale convivono armoniosamente, come non così frequentemente accade…
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LES TROIS SŒURS
Uno spettacolo di Simon Stone
Da Anton Cechov
Regia Simon Stone
Scene Lizzie Clachan
Costumi Mel Page
Musiche Stefan Gregory
Luci Cornelius Hunziker
Interpreti Jean-Baptiste Anoumon, Assaad Bouab, Éric Caravaca, Amira Casar, Servane Ducorps, Eloïse Mignon, Laurent Papot, Frédéric Pierrot, Céline Sallette, Assane Timbo
Produzione Odéon-Théâtre de l’Europe, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale