MARTINA VULLO | Un fantasioso castello giocattolo dagli sfavillanti colori pastello domina il centro della scena, mentre ai suoi lati due brutte vecchie ingobbite, en travesti, si succhiano rozzamente le dita.
L’immagine di apertura dello spettacolo La Scortecata di Emma Dante, che il 23 Gennaio ha calcato le scene del teatro Laura Betti a Casalecchio di Reno, riassume in sé il grottesco gioco dei contrasti che domina lo spettacolo.
Liberamente tratta da una favola del classico Lo cunto de li cunti di Gianbattista Basile, la pièce narra la vicenda di due oramai appassite sorelle (Salvatore D’Onofrio e Carmine Maringola) che, estranee a bellezza e virtù, trascorrono il proprio tempo in una casa fatiscente, dove la monotonia delle giornate è ora spezzata dalle attenzioni di un re che, sedotto dalla voce di una delle due, la crede giovane e bella.
L’anziana donna, consigliata dalla sorella, concede allo spasimante di mostrare un solo dito e da questo momento ha inizio il ‘sarsizio’ (esercizio) delle vecchie che prendono a ‘sucare’ i mignoli, al fine di scegliere quello che appare più giovane.
Il linguaggio adottato è il barocco partenopeo di Basile, colorato dall’aggiunta di note scurrili che, con la complicità dell’enfasi propria alla recitazione en travesti, rafforza la comicità. Ma un sentimento del contrario di pirandelliana memoria aleggia sull’intero dramma.
Sembra di percepirla l’essenza della vecchiaia, con l’irrigidimento delle articolazioni a rendere le donne inflessibili come due tronchi, con la puzza del fiato emanata dalle bocche, i colori sbiaditi delle loro sottane e l’insofferenza delle protagoniste stesse verso la propria condizione.
Con espressività quasi macchiettistica danno vita a una narrazione che si trasforma in interpretazione, per poi tornare nuovamente alla forma originaria.
Basta un oggetto a far sì che un personaggio si trasformi in un altro: con un cordoncino in testa si può diventare re e con una bacchetta ci si trasforma in fata.
Piccole gag visive e momenti musicali napoletani, a fare da sintesi e intervallo, arricchiscono il tutto di una leggerezza che reca in sé la forza di un macigno.
La storia è fedele alla favola di Basile fino al punto in cui, proseguito il corteggiamento e giunta l’ora di mostrarsi al re, la vecchia simula pudicizia chiedendo di trascorrere al buio la notte d’amore, ma scoperta nel suo inganno, viene gettata dalla finestra e poi trasformata in fanciulla da una fata.
In questo momento di culminante pathos, la risata per la goffaggine della donna, lascia spazio alla tenerezza per la malinconia di un’anima che sogna una vita diversa e un po’ più colorata. Come il castello delle fiabe, le cui tonalità ritornano un’ultima volta nei costumi di scena, mentre la vecchia trasformata in fanciulla, danza sulle note del classico napoletano Reginella.
Ma l’atmosfera diviene sospesa e quella che appariva come una favola, si scopre essere un vaneggiamento. Se nella storia di Basile, a morire facendosi scorticare viva per apparire giovane, è l’altra sorella, invidiosa della sorte toccata alla prima, qui la frustrazione è tutta della sognante protagonista, avida di un mondo inesistente in cui si immagina diversa da ciò che è.
È in quest’ultimo breve passaggio che emerge tutta la forza di un teatro in grado di tessere un’atmosfera relativamente leggera, per poi stravolgerla senza preavviso per lo spettatore, che riscopre nei personaggi comici, dei cristi e in una favola grottesca, una tragedia immane.
All’interno dello spettacolo riconosciamo due diverse matrici: da un lato il filone di una narrazione che diviene ricerca sul dispositivo del “cunto” (molto vicina, per certi versi, alla ricerca del pugliese Paolo Panaro, che attraverso la voce e l’espressività, si fa interprete di antiche storie e il cui repertorio raccoglie, emblematicamente, anche una La favola di Zoza liberamente tratta da Lo cunto de li cunti), dall’altro lato si incrocia a questo primo filone una sapiente scrittura sui corpi degli attori, che fanno della fatica del gesto un aggiuntivo eloquente linguaggio, in grado di dare ulteriore potenza alla drammaturgia.
La Scortecata
Liberamente tratto da Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile
Testo e regia Emma Dante
con Salvatore D’Onofrio, Carmine Maringola
Elementi scenici e costumi Emma Dante
Luci Cristian Zucaro
Assistente di produzione Daniela Gusmano
Assistente alla regia Manuel Capraro
Produzione Festival di Spoleto 60, Teatro Biondo di Palermo
In collaborazione con Atto Unico, Compagnia Sud Costa Occidentale
Coordinamento e distribuzione Aldo Miguel Grompone
Teatro Laura Betti
23 Gennaio