RENZO FRANCABANDERA | Un anno e mezzo fa, quasi due, fui coinvolto nella pubblicazione di un testo inedito per il teatro di Antonio Tarantino, recente premio Ubu alla carriera, per i tipi della Cue Press. In quell’occasione mi fu chiesto di pensare ad una copertina e ad un’introduzione per quello scritto, la cui pubblicazione era stata fortemente voluta dall’editore e curata da Sandra De Falco, regista romana che ha poi messo in scena la drammaturgia.
Sul palco, il celebre compositore Giuseppe Verdi (Paolo Giovannucci), ormai affermato in Italia ed Europa, incontra a Napoli il suo librettista Salvatore Cammarano nel 1848. Il primo, ricco e sfacciato, preso da mille pensieri e coinvolto nel tumulto dei moti per l’unità d’Italia, il secondo povero in canna, in uno stato umano confuso e prono alle volontà dell’arte ma di fatto ai limiti della sopravvivenza. Prenderà in mano le redini della situazione la classica serva padrona (Giulia Valenti), che, facendo emergere abilmente i bisogni materiali dell’indigente scrittore, riuscirà ad ottenere da Verdi e dall’impresario del Regio di Napoli Flaùto (Carlo di Maio) quanto necessario a sopravvivere.
Il testo ha due piani di lettura, uno strutturale, ed uno emotivo esperienziale. Dal punto di vista strutturale si tratta di una composizione bipartita, con una prima parte più verbosa ed ermetica, in cui il due protagonisti, parlando di massimi sistemi, pian pianino si avvicinano, fra incomprensioni e giri di parole, al tema del bisogno materiale. La seconda parte è proprio purissimo distillato di quella commedia che proprio nella scuola napoletana di Scarpetta e coevi ebbe il suo massimo fulgore, in cui fra equivoci, arrivi a sorpresa e happy end, il pubblico va all’incontro con la piacevolezza dell’intrattenimento teatrale. Tarantino vuole far arrivare a questa conclusione con un sapore amarognolo.
E qui si innesta il piano emotivo-esperienziale, che vuole parlare, più o meno autobiograficamente che lo si possa considerare, dell’artista, di quanto l’arte dia e tolga, di quanto i bisogni della vecchiaia e del contingente economico siano indicibili, specie a chi è preso dal tumulto del fare.
In tale luce il nuovo Cammarano (Sebastiano Tringali, da poco al posto di Fabrizio Parenti nelle repliche a Teatro i) forse aggiunge la tematica anagrafica, oltre quella economica, alla lettura. Questa, per inciso, anche la chiave della copertina di cui si diceva, ispirata alla circostanza che Giuseppe Verdi fosse stato scelto per essere riprodotto sulla banconota più diffusa in circolazione in Italia prima dell’avvento dell’Euro, le Mille lire. Il sapore d’antàn unito alla commistione fra arte e vil denaro, furono d’ispirazione.
Quanto invece allo spettacolo, Sandra De Falco legge questa possibilità e aggiusta il tanto che basta il lavoro sugli attori, comunque interessante e vivace, per agire ulteriormente su un testo scivolosetto e pericoloso, che incorpora un’amarezza senile che si fa schermo della dignità dell’artista povero, ma che affida alla parola della domestica il vigore della verità.
Sotto questo aspetto, Giuseppe Verdi a Napoli è opera che ingloba uno sfondo cupo, che viene ben letto dalla scena povera ma evocativa di Roberto Crea, in contrasto con il verde sgargiante degli abiti del protagonista.
Ovviamente c’è anche la musica, con una drammaturgia musicale affidata ad Azio Corghi.
La parola di Tarantino è lontana da quella dello Stabat Mater che oltre trent’anni fa lo portò al Premio Riccione con la vicenda della ragazza-madre prostituta, che per una curiosa coincidenza è in scena proprio in questi giorni al Piccolo Teatro di Milano.
Ecco, in questo confronto a distanza fra i toni acri della scrittura dell’artista, può essere assai interessante paragonare quella scrittura della maturità con questa, della sua vecchiaia: l’asperità, da sempre cifra della sua penna, i modi, e quell’impossibilità a dire, che qui viene affidata alla fragilità del personaggio di Cammarano, contro quell’arte vigorosa e incapace di ascoltare, incarnata da Verdi.
Superata la difficoltà di penetrare all’inizio alcune cripticità testuali, la visione di Giuseppe Verdi a Napoli riserva, sia per l’onesta e corretta operazione registica che per le interpretazioni generose del cast, l’occasione di un confronto a suo modo irripetibile, per il pubblico di Milano in particolare, sulla scrittura del maestro alle prese con la scena in diverse fasi della sua vita.
GIUSEPPE VERDI A NAPOLI
Ultimo testo inedito di Antonio Tarantino
drammaturgia musicale Azio Corghi
con Carlo di Maio, Paolo Giovannucci, Sebastiano Tringali, Giulia Valenti
coreografie di Valentina Carpitella
scene e costumi Roberto Crea
direzione musicale Enrico Arias
sarto Marco Gioacchini PER H2OPERA
progetto visivo locandina Chiara Coccorese
regia Sandra De Falco
produzione Ass. Altre Conversazioni / Compagnia Mauri Sturno srl