LAURA BEVIONE | Emma è un fantasma, un’entità che soltanto nel finale acquista carne e reale individualità ma, per le precedenti due ore e mezza abbondanti, non è che un ricordo, quasi un pretesto per la narrazione di vite al contrario assai concrete. A collegare le due parti di cui si compone l’ultimo spettacolo scritto, diretto e interpretato – insieme a un nutrito e affiatato cast – da Fausto Paravidino c’è una galleria d’arte, abitata dagli eccentrici personaggi – i volti coperti da maschere grottesche ovvero nascosti da occhiali da sole – che sono soliti frequentare questi luoghi in cui effimero ed eternità convivono. Una galleria d’arte londinese è il luogo dove la vita di Emma subisce una svolta e, di nuovo, una galleria d’arte è lo scenario scelto dalla protagonista per riapparire e, forse, cambiare ancora una volta la propria esistenza.

Nel mezzo c’è, appunto, l’accelerato racconto del matrimonio dei genitori di Emma, a partire dal loro primo incontro alle giostre, e della parallela storia d’amore degli amici Clara e Giorgio; ci sono i capricci, le paure e le rivendicazioni del fratello Marco e della sorella Giulia; c’è la fuga della madre prima della nascita di Emma e poi la difficoltosa infanzia della bambina, che non parla per quattro anni salvo poi farlo con eccessiva sincerità. Ci sono la mal repressa frustrazione intellettuale della madre, le delusioni politiche del padre – che non riesce proprio a digerire il compromesso storico -, gli squilibri amorosi all’interno della coppia Clara-Giorgio, l’ingerenza della chiesa cattolica e i pettegolezzi da paese.

01_DSC_0658_sve_paravidino_cambiale_foto Le Pera

Come in drammi precedenti – per esempio La malattia della famiglia M. – Paravidino è abile nel ritrarre le contraddizioni e le fragilità, le malattie che indeboliscono l’anima ma anche il buon senso e il sentimento genuino che abitano personaggi comuni, che potremmo essere noi stessi ovvero le nostre famiglie. Qui, nondimeno, la mano del drammaturgo si fa più lieve – che non vuol dire superficiale, anzi – lo sguardo sull’umanità – e su stesso – più indulgente e improntato a sincera pietas.

Una maturità che, shakespearianamente, coincide con la consapevolezza dei propri talenti ma, soprattutto, dei propri limiti, per cui, come dolorosamente deve apprendere nel finale Emma, è necessario comprendere di non poter aspirare alla perfezione, accettando la propria vulnerabile umanità e imparando a guardarsi senza auto-preconcetti allo specchio – o, come accade alla protagonista, in un ritratto.

Paravidino traduce tale consapevolezza in una regia pirotecnica, con il susseguirsi e anche l’accavallarsi di sipari ora naturalistici ora visionari, con esplosioni di puro divertimento teatrale, quale l’irresistibile sequenza su sottofondo di London calling dei Clash…

www.teatrostabiletorino.it; www.teatro-bolzano.it

Teatro Gobetti, Torino, 13 febbraio 2018

IL SENSO DELLA VITA DI EMMA

Testo e regia Fausto Paravidino

Scene Laura Benzi

Costumi Sandra Cardini

Luci Lorenzo Carlucci

Musiche originali Enrico Melozzi

Maschere Stefano Ciammitti

Interpreti Eva Cambiale, Fausto Paravidino, Marianna Folli, Jacopo Maria Bicocchi, Gianluca Bazzoli, Angelica Leo, Sara Rosa Losilla, Giuliano Comin, Veronika Lochmann, Emilia Piz, Maria Giulia Scarcella, Iris Fusetti, Giacomo Dossi.

Produzione Teatro Stabile di Bolzano; Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale