ESTER FORMATO | Stabat Mater  è una preghiera di origine medievale che fa riferimento alla permanenza di Maria di Nazareth ai piedi della croce del Cristo, titolo ricorrente in letteratura  e in arte,  topos metaforico di una condizione di sofferenza estrema che designa il lato profondamente umano dell’episodio evangelico. La Madre che sta ai piedi del figlio morente è parte fondante dell’iconografia e della stessa religione cristiana, ma è anche – in termini laici – simbolo di strenua maternità vissuta anche nella quasi innaturale situazione di vedere un figlio morire dinanzi ai propri occhi. È dunque l’immagine che si fa carico del più grande dei dolori e che vive potenzialmente in ogni madre.

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Antonio Tarantino pensa per il suo Stabat Mater, ad una meridionale cresciuta nei dintorni torinesi che alle dieci attende il suo ex amante Giovanni; contrariamente a Maria di Nazareth congiunta in quei momenti di dolore all’apostolo prediletto da Gesù, questa Maria si ritrova sola, senza Maddalena e senza lo stesso Giovanni che invece se ne è totalmente infischiato della sua gravidanza, continuando probabilmente a trattarla come una semplice prostituta in cambio di robe, di vestiti scadenti che neanche i Marocchini rivendono a poco prezzo. Insomma, il tempo di attesa di Giovanni è il tempo in cui una perfetta Maria Paiato incarna questa popolana, eccentrica nel suo modo di vestire come tante donne che abitano in qualche quartiere popolare delle nostre periferie; ancora bella, di quella bellezza non fine, ma prevalentemente generosa e grossolana al contempo, va avanti e indietro su una pedana circolare lignea, con la sua borsa. È infatti come un cerchio la partitura drammaturgica di Stabat Mater che diviene man mano polifonica per designare attraverso la sola voce di questo personaggio femminile, il relativo mondo sospeso fra efferata sessualità e un disperato anelito d’amore che si concretizza nel rapporto madre e figlio. Anche questa Maria, come le tante cui tocca lo stesso sventurato destino, incrocia nella sua esistenza un Giovanni, un Ponzio Pilato, una Maddalena… ci vengono in mente suggestioni testoriane, rivedendo nella dialettica sacro-profano dei tratti del drammaturgo lombardo. Tuttavia, Tarantino non porta la sua storia ad una tensione etica e morale tragica, così come accadeva in Testori nel quale s’incarnava una dicotomia angosciosa e provocatoria, ma riprende metaforicamente l’immaginario evangelico con una malinconia ironia che invece avvicina la sua Maria alla galleria tutta al femminile di Annibale Ruccello, specie nei suoi colorati tessuti e nella vivacità espressiva.

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La scrittura è forte, compatta e concentrica; riporta alla fine lo spettatore al punto  di partenza svelando la tragica motivazione dell’attesa. Trapunta di malaproprismi linguistici, commistioni dialettali, frasette ripetute a loop che conferiscono alla Maria tutta la sua popolana irriverenza, il testo si rivela – a distanza di più di vent’anni –  squisitamente teatrale, vivido nei suoi intenti, bilanciato fra ironia e tragicità.

Il regista Marini fa recitare Maria Paiato su una pedana circolare lievemente tesa in avanti; circolare come il monologo del personaggio che parte attendendo Giovanni e finisce ritrovandosi invano ed ancora ad aspettare; analogamente, anche la partitura drammatica assume lo stesso andamento, con frasi e ragionamenti che si ripetono ad oltranza mentre fluisce nel mezzo il racconto di una vita.

La circolarità di un’esistenza chiusa ed ostinata entro una realtà ai margini, tesa verso quel destino di immobilità (stabat) si riflette nella lingua, nella struttura della sintassi drammatica che ammicca da un lato ad una comicità irriverente, dall’altro ad una tragicità detonata ma palpabilissima attraverso l’idea dell’attesa cronometrata da un orologio al polso dalla stessa Maria, metaforicamente madonna dei poveri, una delle tante che si affastellano nella sterminata periferia delle nostre città e che trovano nella drammaturgia contemporanea ed ancor prima, un’intera ribalta a loro consacrata.

STABAT MATER
di Antonio Tarantino
con Maria Paiato
regia Giuseppe Marini
scene Alessandro Chiti
costumi Helga Williams
musiche originali Paolo Coletta
disegno luci Javier Delle Monache
produzione Società per Attori                                                                                                               foto di scena Federico Riva