MATTEO BRIGHENTI | Corpi nudi danzano la nudità della musica. Un vortice di slanci, prese e rotolamenti. Ora Streghe di Macbeth ora Grazie della Primavera di Botticelli, Eleonora Chiocchini, Valentina Dal Mas, Claudia Rossi Valli, si donano a Franz Schubert per come sono, accogliendo su di sé carattere e sfumature del suo quartetto in re minore La morte e la fanciulla. Spogliate loro e spoglia anche la scena, fatti salvi il fumo, denso e persistente, e lo schermo sul fondo, da cui la morte parla e osserva la fanciulla.
La regia e coreografia di Michele Abbondanza e Antonella Bertoni sono l’eleganza, la forza e la compostezza di un continuo accompagnarsi e stringersi sul crinale oscuro dove la fine desidera un nuovo inizio che non c’è.
Nel 1817 Schubert compone il Lied La morte e la fanciulla sui versi del poeta Matthias Claudius. Nel 1824, a 27 anni, dedica alla “comune amica” dell’uomo l’omonimo quartetto (pubblicato postumo nel 1831). Il compositore esce da una grave malattia e capisce di essere più vicino alla morte di quanto non voglia accettare. Questa consapevolezza, aggiunta alla povertà in cui versa, conduce lui a una forte depressione e lo spartito verso l’irrazionale, l’ignoto e il trascendente.
Il Lied apre e chiude la partitura della Compagnia Abbondanza/Bertoni. Una figura di donna risale dal buio alla luce, nella sala ancora accesa del Teatro Cantiere Florida di Firenze. È una presenza che richiama silenzio e attira attenzione. Poi, ne arriva una seconda e una terza, a comporre una specie di Trinità in vesti di seta nera. Le braccia e gli scolli rilucono come fossero d’alabastro.
Nel rettangolo alle loro spalle compaiono la parola ‘Lied’ e brani del testo di Claudius. Si abbassano le luci in platea e sullo schermo è come sprofondare nell’acqua, si sentono rumori di catene, chiavistelli e un respirare violento. Nella sospensione temporale dell’oscurità il palco si inonda di fumo, mentre Chiocchini, Dal Mas, Rossi Valli, rientrano completamente nude.
I quattro movimenti, Allegro, Andante, Scherzo allegro molto, Presto, sono scanditi da scritte proiettate. Le danzatrici seguono la musica rigorosamente, fino all’evidenza dell’eccesso, un disegno lontano, ad esempio, dall’ammiccante contemporaneità de Gli Orbi. La natura del gesto è riconoscibile, pressoché familiare, ma non per questo è meno intensa. Anzi, sorprende proprio l’esaltazione limpida e rigorosa dei corpi.
Rinascimentali e frenetiche, le interpreti si offrono l’una all’altra: dove finisce un braccio sembra cominciarne un altro, e così per le gambe e ogni altra articolazione. Le tre per l’una e l’una per le tre. E, tutte insieme, per la liberazione comune.
Si sfregano nell’intimo, il seno, il pelo, sono femmine, lo rivendicano e soffrono. Si sorreggono come Madonne davanti alla Deposizione e la proiezione, specchio mobile dell’ultimo termine, le coglie nella stessa posizione a terra che sul palco. Successivamente, nel video si alzano in piedi e proseguono a ballare, quasi là ci fossero le loro anime e qui, davanti a noi, fossero invece rimasti i cadaveri.
Lo schermo è dunque l’occhio della morte, implacabile e solenne, mentre la danza è la purezza irrequieta della fanciulla. Siamo fatti di luce, quella del video e quella del palcoscenico, ed entrambe attraversano materialmente il fumo, l’inferno quotidiano che accentua e nasconde sfide e resistenze. Una coltre spessa che, in certi attimi ipnotici, sembra impossessarsi anche dei tratti di Eleonora Chiocchini, Valentina Dal Mas, Claudia Rossi Valli, facendole diventare della sua medesima consistenza. Si tratta di un lavoro di riscrittura dei contorni delle forme nello spazio (fisico e mentale) di grande impatto visivo ed emotivo.
Eppure, l’immagine registrata non è reale, è concreta solo nel momento della ripresa, dopo si ripete identica a se stessa, senza possibilità di mutamento. La coreografia lassù è una parvenza, si trova qui, ma non è esattamente in questo luogo, succede ora, ma non accade precisamente adesso.
Allora, la morte è altrettanto irreale, per dirla con la Lettera sulla felicità del filosofo Epicuro: “non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c’è lei e quando c’è lei non ci siamo più noi”.
Il passo de La morte e la fanciulla di Abbondanza/Bertoni è, in definitiva, la liberazione dalla paura, accogliendo che la vita, al pari della danza, è un balenare di momenti che appaiono e scompaiono. Il suo senso non è l’inizio o la fine, è proprio in questa continua trasformazione legata al presente.
Chiocchini, Dal Mas, Rossi Valli, sono di nuovo rannicchiate a terra. In video un montacarichi, in audio un tintinnio di chiavi, sono l’intera strada di incertezze e ombre che si sono scrollate di dosso con il ballo. Respirano profondamente pacificate e si rivestono.
Raccolte come sull’ebra per un picnic, si parlano finalmente libere, mentre il fumo si dirada e sale al cielo. Paiono quasi commentare e prendere le distanze dall’infinita condanna alla rassegnazione delle liriche di Matthias Claudius. Sotto gli occhi attenti di Michele Abbondanza che, seduto in prima fila, le ha seguite finora con piccoli cenni della testa. Soffrendo e gioendo con entrambe, sia la morte che la fanciulla.
LA MORTE E LA FANCIULLA
regia e coreografia Michele Abbondanza e Antonella Bertoni
con Eleonora Chiocchini, Valentina Dal Mas, Claudia Rossi Valli
musiche Franz Schubert: La Morte e la Fanciulla
titolo originale Der Tod Und Das Mädchen
luci Andrea Gentili
video Jump Cut
organizzazione Dalia Macii
amministrazione e ufficio stampa Francesca Leonelli
produzione Compagnia Abbondanza/Bertoni
con il sostegno di MiBACT Direzione Generale per lo Spettacolo dal Vivo, Provincia Autonoma Di Trento – Servizio Attività Culturali, Comune Di Rovereto – Assessorato Alla Cultura, Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto
si ringrazia Danio Manfredini, Tommaso Monza, Luca Fronza
Teatro Cantiere Florida
Firenze
Venerdì 16 febbraio 2018
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