ELENA SCOLARI | E stavolta gli attori non ci sono. Siamo noi. Siamo solo noi. Gli spettatori. Con un telecomando in mano, per votare. Sì perché Pendiente de voto (voto in sospeso, trad.) del catalano Roger Bernat è un piccolo parlamento. Comincia come una specie di assemblea che poi si trasforma in luogo di decisioni.
Su un grande schermo compaiono una quantità di domande alle quali il singolo spettatore è chiamato a rispondere con un Sì o con un No o scegliendo tra due opzioni. In 10 secondi. Ci si può astenere, questa è l’unica alternativa.
In base alle prime risposte vengono nominati due presidenti dell’assemblea, poi un servizio d’ordine, poi un esercito, poi una giuria.
Le prime domande hanno uno scopo, diciamo così “conoscitivo”: preferisci i Beatles o i Rolling Stones, Battiato o Amy Winehouse, Vasco o Guccini. (Qui i risultati della seduta del 16 febbraio a Milano).
Ci sono alcuni spettatori arrivati in ritardo che vorrebbero entrare: apriamo le porte? Sì, No.
Dicevamo: non ci sono attori ma c’è un regista. Il regista invisibile è “il sistema“. Il sistema decide le domande, decide in quanto tempo possiamo rispondere, decide che cosa ne consegue, commenta – per iscritto – le nostre risposte.
Man mano i quesiti diventano meno banali: pensi che ci debbano essere regole immutabili? Uccideresti? Ti senti europeo? Italiano? Lombardo? Milanese? Pensi che essere minoranza sia figo? È irresponsabile farti votare? Inframmezzate da versioni, anche live, di People have the power. Il cazzeggio non manca.
Finora è divertente ma già ci si chiede se tutta la serata passerà così.
Il meccanismo prevede poi che non ci sia più il voto singolo, si cambia di posto e si viene affiancati alla persona che ha votato in modo più simile al tuo, un solo telecomando varrà per la coppia e si devono decidere i voti insieme. Esercizio di condivisione e convincimento.
In una terza parte saremo divisi in quattro partiti, sempre in base alle risposte date: minoranza, maggioranza e due partiti “medi”, il Sistema sceglie un rappresentante per ogni partito, che sarà l’unico a poter votare, ma ora il voto è preceduto da un dibattito di un minuto e mezzo, discussione interna e poi un portavoce argomenta il voto del proprio partito.
Pensi che sia giusto far pagare agli uomini il 5,5% in più di tasse visto che i loro stipendi sono più alti? Sì, No.
Pensi sia corretto legalizzare consumo e commercio di droghe leggere e pesanti? Sì, No.
Pensi che si dovrebbe vietare la prostituzione e punire i clienti? Sì, No.
Il fatto è che siamo sempre tutti d’accordo. E non sorprende. Un piccolissimo gruppo di 70 persone che va a teatro, a Zona K, a vedere uno spettacolo strano di un regista catalano il sabato sera a Milano forma una comunità che prevedibilmente ha idee simili su molti argomenti. A parte qualche battuta divertente dovuta allo spirito dei parlamentari, non si litiga. Mancano all’appello fascisti, razzisti, proibizionisti, reazionari.
Ma dove si vuole andare a parare con tutto questo lavoro democratico che dura due ore e venti minuti? Possiamo provare a dare una duplice interpretazione. Da una parte, quella “di contenuto”, si vogliono evidenziare alcune contraddizioni: la mancanza di logica che spesso guida le nostre scelte e soprattutto la non consapevolezza delle conseguenze. Si mette in luce l’insensatezza di avere sempre e solo rifiuto o accettazione come opzioni, quindi la semplificazione obbligata e la derivante cancellazione del “problematizzare”, che inevitabilmente richiede tempo e ragionamento.
Quello che sembra democrazia non lo è veramente, perché vigono regole che in realtà sono imposte dal Sistema. Che è autoritario. Infatti ci viene chiesto se riteniamo che questo spettacolo si debba chiamare Pendiente de voto o La faccia amichevole del fascismo.
Questo aspetto della riflessione è interessante ma si ferma prima di essere veramente efficace: per dimostrare qualcosa di davvero provocatorio avrebbe dovuto portare noi votanti a un corto circuito che provasse l’inutilità delle nostre decisioni, il sistema avrebbe dovuto andare in crash per colpa nostra, invece anche il mandare tutto in vacca è guidato, fino a un finale piuttosto sciocco in cui il Sistema flirta con l’ultima votante chiedendole Mi ami, Ti eccita il potere? Insultami. Sì, mi piace, continua, Mi sono meritato un applauso e altre facezie. Fine della seduta.
Peccato.
Dal punto di vista teatrale siamo di fronte a un esperimento di forma partecipativa, alla ricerca di nuovi paradigmi per la scena, che rimane comunque strettamente legato alla “tesi” che Bernat porta avanti.
Il dispositivo scenico di Pendiente de voto nasce nel 2012, dopo l’operazione Domini public (del 2010) in cui lo spazio era un luogo aperto nel quale il pubblico, dopo domande “stile Pendiente” su quanto guadagnava, se aveva un lavoro stabile, casa, certezze (dando quindi uno spaccato socio-economico del mondo in cui viviamo), veniva chiamato ad azioni di carattere più performativo, una specie di gioco di identità in cui a ogni spettatore veniva assegnato un ruolo: prigioniero, polizia o personale della Croce Rossa. E a seconda del ruolo si dovevano eseguire alcuni “ordini” suggeriti in cuffia: sdraiarsi a terra, indossare una casacca di un certo colore, partecipare agli scontri sociali tra categorie, soccorrere i feriti. La platea era insomma l’anima dello spettacolo e si trovava a osservarsi nei panni di un “personaggio”, con l’effetto di messa in discussione dei propri pregiudizi e delle reazioni “giocate”. In Pendiente de voto questo aspetto è attenuato, ognuno rimane se stesso, investito della carica di pseudoparlamentare temporaneo, ma non si interpreta altri che noi.
Bernat afferma che si tratta di una commedia, che ha come scopo mostrare quanto si è ridicoli nel ricoprire un ruolo in scena, e come prendere posizione su questioni complesse in pochi secondi non sia una vera decisione, anzi: significa non decidere nulla. Questo perché il “copione” prevede che dalla libertà del voto singolo si arrivi a una sola persona (nominata Presidente) che crede di potersi esprimere ma scopre che il Sistema se ne frega delle sue risposte. Siamo stati tutti manipolati. Questa percezione è in realtà chiara fin dall’inizio: stiamo partecipando a un gioco del quale non abbiamo condiviso le regole.
Il drammaturgo di Bernat, Roberto Fratini afferma che
“In un certo senso la politica era vera solo ed esclusivamente quando i politici si preparavano come veri attori. E si è dimostrata falsa nel momento in cui, con la presunta verità e sincerità democratica del dramma come complice, i politici hanno iniziato a comportarsi come falsi spettatori e come attori dilettanti”.
Ora, tutti abbiamo disprezzato – prima o poi – il cosiddetto “teatrino della politica”, e nella mesta campagna elettorale di queste settimane l’impressione che i candidati recitino una parte con battute (spesso infelici) imparate a memoria per tirare l’applauso degli elettori è effettivamente giustificata, ma la tesi distruttiva dell’autore non mi conquista. Rimango convinta che il nostro voto un’utilità ce l’abbia, che scegliere tra le alternative che abbiamo ci identifichi e che l’opinione pubblica influenzi l’agenda politica.
L’assenza di dialettica col Sistema è più monarchica che democratica. E il re ce l’hanno in Spagna.
PENDIENTE DE VOTO
di Roger Bernat
Drammaturgia Roberto Fratini
Dati visuals Mar Canet
Dati dispositiviand software Jaume Nualart
Sound design Juan Cristobal Saavedra
Luci Ana Rovira
Assistente e direzione tecnica Txalo Toloza
Stagegraphic design Marie-Klara González
Effetti speciali Cube.bz.
Programming assistants Pablo Argüello, David Galligani e Chris Hager
Consulenti ai contenuti Oscar Abril Ascaso e Sonia Andolz
Producer Helena Febrés Fraylich
Ringraziamenti David Cauquill, Raquél Gomes, Marcela Prado e Magda Socias.
Coordinamento Helena Febres
Una coproduzione di Centro Dramático Nacional (Madrid), FundacióTeatre Lliure/Festival NEO and Elèctrica Produccions (Barcelona) with Manège de Reims-Scène Nationale/Reims Scènes d’Europe, Manège de Mons/CECN, TechnocITé in the Transdigital project supported by the european program Interreg IV.
Zona K Milano, sabato 16 febbraio 2018