Volevo solo dire alla gente, in tutta onestà, guardate come vivete male, in che maniera noiosa”

MARCO BALDARI | È il 1899 quando il dramma di Anton Čechov va in scena per la prima volta a Mosca. Modellandolo sul tragicomico del quotidiano, lo scrittore affronta con estrema crudeltà il vivere umano. Come questo sia grigio e alienante, come ogni giorno ci avvicini di più alla morte. Quanto l’uomo nella sua essenza più intima sia privo di slanci, meschino e mediocre.

Zio Vanja è uno dei drammi più importanti di Čechov, in cui la sua poetica si esprime ai massimi livelli. La famiglia, l’arte, l’amore, la speranza, il fallimento. Cosa resta delle nostre ambizioni con il passare della vita? E’ questa la domanda messa al centro dell’opera.

Protagonisti della vicenda sono, come noto, Zio Vanja e sua nipote Sonja, che dopo la morte della sorella (madre) ereditano una tenuta. Con loro va a vivere per certo tempo il cognato, il professor Serebrjakov, vedevo della donna, accompagnato dalla sua seconda moglie, Elena. Unica amicizia della grigia esistenza di zio e nipote è il dottor Astrov, amato in segreto da Sonja. La vita di Vanja è trascorsa nell’amministrazione scrupolosa della tenuta, tra pochi slanci e il versamento dei redditi del possedimento al padre di Sonja, il professore. Questi considerato un genio, viene sopportato nella speranza che il suo lavoro nobiliti tutti, ma il tempo lo rivelerà per quello che è, un uomo mediocre e ingrato. Nulla però arriverà davvero a modificare le esistenze dei protagonisti, nemmeno un apparente slancio di ribellione di Vanja, che arriva a sparare al professore: solo un atto d’ira, messo alle spalle il quale, riprenderà la loro vita rassegnata e dimessa.

Nella rilettura di  Vinicio Marchioni, adattata da Letizia Russo, la vecchia tenuta diventa un teatro, la storia si sposta in Italia, in uno dei luoghi fortemente colpiti dagli ultimi terremoti. La scena si apre su un ambiente danneggiato nella struttura, in cui una spaccatura al centro del muro lascia intravedere un albero di ciliegio. I protagonisti si muovono in questo contesto, alternando lunghi monologhi e dialoghi intensi. Il tema è soprattutto quello del rimpianto: come poteva essere la vita e cosa invece è stata.

Così Zio Vanja (Vinicio Marchioni stesso)lamenta il suo spreco di tempo per una persona che non mostra un minimo di gratitudine, il dottor Astrov (Francesco Montanari) è stanco di dedicare la sua vita a malati e di “sotterrare persone”, il professor Serebrjakov (Lorenzo Gioelli) e la moglie Elena (Milena Mancini) si rifacciano il loro “amore”, la piccola Sonja (Nina Torresi) vive nella speranza di un affetto non corrisposto. Tutti si lamentano, ma nessuno fa niente. Restano immobili nella loro posizione, immutabili e sempre uguali.

La scenografia disegnata da Marta Crisolini Malatesta rispecchia questi stati d’animo. L’albero di ciliegio che troneggia al centro della scena sembrerebbe avere una forte simbologia (forse un richiamo anche all’altra opera di Čechov?), in realtà è solo un meccanismo scenico usato per mostrare lo scorrere del tempo. Quasi a scandire le stagioni e le emozioni dei protagonisti, l’albero appare prima fiorito, poi sempre più spoglio, esposto senza difesa alle intemperie invernali.  I costumi, riadattati alla lettura contemporanea data all’allestimento, non cambiano quasi mai. Sono capi poco ricercati, soprattutto quelli di Vanja, i personaggi sembrano voler essere indolenti anche in questo aspetto immodificabile. La musica è praticamente assente.

Le luci di Marco Palmieri provano a  sottolineare gli scambi più intensi, creando ombre scure e forti, rimandi espressionisti sui visi degli attori. Tutto però in una certa misura rimane non solo freddo e immobile, come il grande drammaturgo in fondo voleva, ma forse anche un po’ distante. Questo si riflette un po’ anche sulle prove attoriali, pur nel complesso equilibrate, che finiscono per soffrire di una mancanza profonda di direzione, vorremmo dire quasi ideologica rispetto alla rilettura, finendo per rivelarsi senza uno slancio profondo. I tanti, troppi monologhi cui la rilettura ascrive particolare enfasi,  sembrano scelti più che altro per esaltare il cast (i due protagonisti maschili, si ricorderà, erano tra i principali personaggi della serie televisiva Romanzo Criminale e parte del pubblico è probabilmente in sala anche per questo).

Nonostante questo, tuttavia, le parole dell’opera scorrono, ma non arrivano con la forza sperata. Se l’intento del regista era quello di comunicare il tema dell’incompiuto o dell’irrimediabilmente compromesso, il lavoro ha una sua logica, seppur macchinosa, ma rimane la sensazione che tant’altro manchi. Un’opera importante non ha sicuramente bisogno di molti artifici, e alla fine poca rilevanza finiscono per avere nell’equilibrio compositivo le digressioni sul contemporaneo, alcune di queste appena accennate, come il problema dei rifiuti tossici, o gli sbarchi degli immigrati (non azzarderemo nemmeno lontanamente il paragone con il film “Zio Vanja sulla 42esima strada” e alla regia di Louis Malle).

La lettura dell’operazione allora potrebbe partire proprio dalla scelta del titolo, UNO zio Vanja.

Uno, articolo indeterminativo, usato per indicare un elemento generico. A tratti tutto sembra tale in questa nuova versione. Accennato, appena sfiorato. L’intento di Marchioni di rileggere il classico è apprezzabile, ma non portato a fondo in modo dirompente con le opportune scelte registiche e finisce per sbilanciarsi su una pièce centrata troppo sull’attore, riducendo quella dialogicita’ di bassa intensità emotiva ma di fatto cruciale nel disegno dell’atmosfera del Maestro. Il risultato è oltre misura abituale. Zio Vanja se rimane una delle opere immortali della nostra storia teatrale contemporanea, è sicuramente per quella sua profondità autentica che si radica nell’ordinario, e che nell’opera vista all’Ambra Jovinelli, pur nel tentativo di trasposizione, non si raggiunge, lasciandoci col sentimento dell’occasione mancata.

 

Uno zio Vanjia

Presentato da KHORA.teatroFondazione Teatro Stabile della Toscana
Con Vinicio Marchioni e Francesco Montanari
E con Lorenzo Gioielli, Milena Mancini, Nina Torresi, Alessandra Costanzo, Andrea Caimmi, Nina Raia

Scene Marta Crisolini Malatesta

Costumi Milena Mancini, Concetta Iannelli

Luci Marco Palmieri

Regia Vinicio Marchioni

Adattamento di Letizia Russo