EMILIO NIGRO | Comporre la creazione per nuovi alfabeti coreutici. Serbare l’elemento originario (del linguaggio) e plasmarlo in estensioni dettate dalle mutazioni di tecnica, estetica, dalle rigenerazioni fra le pluralità dell’arte per riscrivere codici di aderenza contemporanea. L’evoluzione della danza. Di cui il dominio spaziale si amplia alla ricerca di nuovi dimensioni d’esplorazione e contatto. Esplorazioni visive, sonore, drammaturgiche. Il corpo, geografia di figurazioni plurime, in meccaniche e estetiche, non più mero (eppure sublime) veicolo di rigorosa grammatica articolare.
E riuscire perfino a raccontare delle storie. Inusuale per un campo, dove movimento, tecnica e artificio fisico determinano reciprocità di fruizione. Caratterizzandosi per una totalità espressiva nella privazione della parola, logos primario e fondamentale del drammatico.
La fresque del franco-albanese Angelin Preljocai, tra i grandi d’Europa, inscena una storia, una fiaba della tradizione Cinese (La pittura sul muro). Movimento puro in funzione del narrativo. Serbando della teatralità, elementi strutturali quali la divisione in quadri, la consequenzialità di scene (pur non immediata), la semiotica di suddivisioni spaziali e interpretativi a indicare con segni indefiniti. Ed è teatrale inoltre l’evidente cura della reazione pubblica. Non rimanere terzi, sul palco, a farsi ammirare. Non fare didattica. Non esporre un linguaggio per iniziazioni. Farsi ascoltare. Impegnando l’interlocutore nell’assimilazione di un nuovo linguaggio. Per poterne adoperare, non solo fruire. Parlarsi (parlare a se stessi), per un nuovo idioma tradotto simultaneamente.
E sulla scena la meraviglia del misterioso, in azioni curali ma frammentate in individuazioni – come un corpo smembrato in parti che rispondono d’uno stesso ritmo e d’una collettiva intenzione a significare mosse da un’unica pulsazione – in pareti velate, trasparenze, da eludere e illudere lo sguardo e determinarne gli ambienti, in sonorizzazioni che puntellano l’elogio dell’espressione corporea, nell’indipendenza tematica di quadri che rispondono a una compiutezza pura, nella quasi ossessiva e miracolosa leggiadria di corpi animati dal tecnicismo minuzioso e l’ebbrezza dello slancio, fa corrispondere in platea una osmotica insazietà di visione. Uno stato mentale continuamente stimolato. La bellezza, nelle atletiche dell’anima. Poesia visiva.
Per coreutiche composite da soluzioni ricercate nelle possibilità d’inventiva e di proiezione corporee. Incorniciate da elementi illuminotecnici e estetizzanti. Perché non ci si aspetta confezioni da portare a casa, ma si gode del piacere dell’esserci. Sentirsi appagati di un dovere di partecipazione. Emotiva, in questo caso.
Un rigoroso pastiche d’umano, visivo, sonoro, luci e scuri, passi a due, ensemble, drammatizzazioni e puro utilizzo di genere.
La visione, si traduce in un gioco tacito, silente e urlante, tra l’immaginifico stimolato nello spettatore e l’entusiasmo della pura rappresentazione attraverso il dualismo della fissità/movimento d’immagine. Per significanti a tratteggiare la dimensione d’ascolto in un onirico/favolistico dove nette sono le azioni reali di assoluto impianto meccanico. Del resto il balletto è vettore, per antonomasia, della relazione misteriosa tra realtà e rappresentato. In forme determinate ma dall’infinito potere persuasivo effetto dello sconfinamento interpretativo. Da moltiplicare gli approcci alla scena. I punti d’osservazione. E consolidare un’oggettività di comprensione nella non passività di contatto.
Un’opera d’arte.
La Fresque
Coreografia Angelin Preljocaj
Musica Nicolas Godin con la collaborazione di Vincent Taurelle per alcuni brani
Costumi Azzedine Alaïa
Scenografia Constance Guisset Studio
Luci Eric Soyer
Assistente, vice direttore artistico Youri Aharon Van den Bosch
Assistente ripetitrice Natalia Naidich
Coreologa Dany Lévêque
Visto al Teatro Grande di Brescia il 7.02.2018