RENZO FRANCABANDERA ed ESTER FORMATO | RF: È un gruppo interessante TeatrodiLina, il sodalizio che da anni unisce il regista e drammaturgo Francesco Lagi, l’attore Francesco Colella ed altri artisti/interpreti che nel tempo hanno abbracciato questo progetto, cresciuto negli anni, arrivando ad una circuitazione di livello nazionale. Le loro scritture hanno una cifra di naturalezza, che guarda con ironia e senso della contraddizione, ma anche con dolcezza, alla post-adolescenza nel tempo delle post-ideologie, del diventare adulti, dei riti di passaggio nel quotidiano.
EF: Uccelli migratori (ospitato a Milano al PimOff), ad esempio, è uno spettacolo che ruota intorno alla figura di Marta (Anna Bellato) e la sua bambina che tarda nel venire alla luce. In questo lasso temporale di attesa che si lascia volutamente inconcluso, prende vita la storia, articolata in più quadri (alternando spazio interno ed esterno) che si concretano in una sequenzialità dialogica ed interattiva fra i quattro personaggi. All’inizio Marta e suo fratello Guido (Mariano Pirrello) sembrano racchiudere un minuscolo microcosmo familiare, in realtà due solitudini congiunte dal loro legame di sangue, che la nascita di una bimba può rendere più forte.
RF: La loro è un’intimità che pare quasi coniugale per lungo tratto, finché non arriva nella tessitura degli avvenimenti l’elemento di rottura, l’incidente che causa poi la frantumazione di un equilibrio che si vuole volutamente equivoco (bella questa intuizione drammaturgica della quasi-coniugalità fraterna). Marta e Guido nel loro mondo intimo sembrano bastarsi, non cercano altro, attendono gli eventi seduti al tavolo, in una scena dai toni rossi in cui sono disposti una serie di lunghi e sottili drappi verticali di stoffa grezza color nocciola, una sorta di piccola foresta.
EF: Le luci nel complesso naturali, il tavolo rotondo con le due sedie al centro della scena ci predispongono ad una semplicità che si palesa anche nella narrazione; se l’incipit dello spettacolo sembra aver origine quasi ex nihilo, dai “toni bassi” , è poi l’ingresso di Walter all’interno di quel micromondo domestico a far partire la storia di Uccelli migratori. Avvertito un giorno prima della gravidanza e della relativa paternità, il personaggio interpretato da Francesco Colella viene rappresentato fra il malinconico e lo scontroso.
RF: Una svolta drammaturgica anche un po’ surreale, che porta con sè una carica tragicomica, legata sia alla apparizione improvvisa dell’uomo, che scopriremo sposato e che ha saputo dalla amante di una notte via SMS della gravidanza, e sia all’evidente contrasto caratteriale fra il tormentato e ansioso Walter e il più semplice e protettivo Guido. Marta con la sua pancia e la sua placida attesa inizierà a sentirsi stretta fra queste due persone che non sanno trovare un misura, e uscirà a fare due passi, nella pineta dietro casa. E’ qui che troverà il surreale personaggio dell’ornitologo a caccia del raro uccello che invece di seguire lo stormo nella migrazione che l’uomo stesso guidava, si è allontanato dal gruppo. E’ un esemplare femmina, quindi ancora più prezioso per la prosecuzione della specie. Fra lui e lei nascerà una strana intesa, attorno all’abilità di lui di saper comunicare con gli animali. Da questo momento in poi la vicenda perde per molti versi le caratteristiche della verosimiglianza per trasformarsi in un mondo di figure un po’ reali e un po’ sognate, da commedia che guarda al tono della leggerezza ma che sa di star varcando la linea della favola, dell’irreale.
EF: L’idea di fondo ci sembra genuina: quattro personaggi che, svuotati del loro senso individuale, cercano disperatamente un significato della loro vita in questa nascitura che tarda a venire alla luce. Partendo da questo punto, la compagnia Teatrodilina costruisce il suo spettacolo su un’andatura dialogica sospesa fra ironia e malinconia allargando la triangolazione dei personaggi Marta, il fratello Guido e Walter ad un quarto, figura sicuramente un po’ sopra le righe, lo strano ornitologo che comunica con gli uccelli, facendo venir fuori quello che sembra anche il punto debole del lavoro e cioè la maniera con la quale le singole figure determinino l’ingranaggio della narrazione.
Difatti l’incontro fra Marta e l’ornitologo appare forzato, nella misura in cui quest’ultimo non è in sostanziale relazione con il nucleo centrale della storia; infatti mentre Guido, docente di lettere frustrato e incapace di avere una vita a sé stante, vede nella bambina un ulteriore motivo affinché possa reggere il nido familiare condiviso con la sorella e placare la sua solitudine, così anche Walter realizza che l’inattesa paternità resagli da una donna conosciuta distrattamente una notte, può consentirgli una sorta di riscatto morale ed affettivo. Il giovane incrociato da Marta nella pineta, invece, dal mio punto di vista, resta privo di una reale integrazione nell’intera compagine del lavoro.
RF: Personalmente attribuisco a questa figura, invece, il ruolo di “decoder“: è l’unico cioè a sapersi sintonizzare su frequenze incomprensibili alla normale sensibilità maschile, anche a quella più vicina alla ragazza, come quella del fratello. Il suo saper trovare un alfabeto in grado di parlare con le creature atipiche pare per un certo tempo lasciar sperare che la sua innaturale abilità possa schiudere nella donna una sensibilità bloccata. Ma come la creatura uscita dallo stormo, così anche la donna preferisce la sua strada in solitaria. Certo, può anche apparire un po’ costruita, ma da questo punto di vista ha certamente un senso.
EF: Dal mio punto di vista viene da sospettare che il quarto personaggio alle prese con la comunicazione con i volatili, sia semplicemente funzionale alla scrittura ironica e assurda, suureale, che determina la sequenza dialogica, ma a fine spettacolo, quando il meccanismo narrativo ci mostra l’egoismo posseduto dai personaggi e ci conduce ad una maturazione in positivo della maternità, rimane l’impressione di una fragilità dei caratteri che impatta sulla regia, rischiando di consegnare al pubblico una storia piacevole sì, ma tenuta in piedi più che altro dall’ammiccante scrittura ironica, e non da una strutturazione coerente dei personaggi che invece rendono labile la complessiva drammaturgia di Uccelli Migratori.
RF: Qui c’è un punto su cui mi sento in accordo e uno su cui non mi sento d’accordo. Il disaccordo è sul quarto personaggio, assurdo ed esterno. Certo è posticcio come figura dal punto di vista della linearità drammaturgica secondo un principio di verosimiglianza, ma questa terzietà rispetto ai due uomini e il suo modo affascinante paiono per un certo tempo una terza via alla socializzazione delle emozioni di lei, tanto che quasi le ripartono le doglie, come se avesse trovato un individuo con cui fare nido. E lui stesso sembra quasi intenzionato a vivere la vicinanza in modo pieno, vivo. Per altro verso convengo che la meccanica dell’opera abbia un difetto di profondità.
Se il finale vuole dimostrare l’inadeguatezza degli uomini a cogliere l’essenza della femminilità nel suo momento più simbolico, certamente questa parte è un po’ risolta velocemente, lasciando via via per strada la freschezza della scrittura. In nessun modo tifoso dell’happy end, ho sentito la forza del testo via via scemare, quando è stato chiara ad un certo punto la traccia drammaturgica dell’autodeterminismo femminile, che invece che legare la donna ad uno dei tre caratteri umani, la avvicina di più all’animale, e alla sua scelta di solitudine. Le interpretazioni infatti soffrono questo momento cruciale. E mi spiego: parlavo proprio ad inizio pezzo della ricchezza del momento ambiguo fra fratello e sorella. Ecco, Uccelli migratori ha forza quando resta ambiguo e irrisolto, negli spazi in cui sembra, ma non è. Non appena il meccanismo trova una traccia, o la traccia, il lievito creativo di questo vaudeville del rito di passaggio frena la sua forza. E’ un tema caro a Lagi, quello dell’età dell’incompiutezza, che abbiamo visto anche in altre drammaturgie di TeatrodiLina, come Banane. Ed anche lì quel senso di mancati incontri, o di incontri avvenuti fra caratteri che non hanno avuto la forza di dirsi e darsi tutto quello che avrebbero potuto, esprime la sua maggior forza se non se ne introduce una traccia di senso. E questo vale ancor maggiormente in questo spettacolo, che ha ancor più la cifra del surreale.
UCCELLI MIGRATORI
drammaturgia e regia di Francesco Lagi
con Anna Bellato, Francesco Colella, Leonardo Maddalena, Mariano Pirrello
disegno suono Giuseppe D’Amato
scenografia Salvo Ingala
luci di Martin Palma
foto di Loris Zambelli
organizzazione Regina Piperno, Gianni Parrella
produzione Teatrodilina, Progetto Goldstein