FRANCESCA DI FAZIO | Il panorama del teatro di figura contemporaneo si sostanzia di una duplice natura, occupa simultaneamente i due termini di uno iato, abita sulle sponde di una sottile linea di confine che ospita da un lato le forme più tradizionali di questo genere teatrale, dall’altro le sue applicazioni più attuali e sempre più intrecciate alla scena contemporanea del teatro tout court. Anche la critica guarda ad esso con due sguardi differenti eppure simultanei: da un lato si intravede in esso ancora un “sottogenere” rivolto per lo più ad un pubblico infantile (il così detto “teatro ragazzi”), dall’altro, uno dei diversi linguaggi della scena attuale e più avanguardista.
Davanti a certi spettacoli, tuttavia, ogni compartimentazione, ogni tentativo di categorizzazione si rivela non altro che un vuoto esercizio di nomenclatura. È il caso, ad esempio, della compagnia tedesca (ma formata da membri di varia provenienza) Familie Flöz, nata più di vent’anni fa da un’idea di Hajo Schüler e Markus Michalowski, che insieme ad un gruppo di studenti di recitazione e mimo della Folkwang-Hochschule si è lanciata in un percorso di sperimentazione, divenendo nel tempo una compagnia di grande successo.
Fisicità umane e volti di cartapesta compongono il delicato universo della compagnia, i cui spettacoli, privi di parola, delineano in originali affreschi i contorni di umano e artificio. Cifra stilistica del loro lavoro artistico è infatti quella di mescolare in scena l’uso di maschere – grandi, espressive, grottesche e commoventi – a quello di una fisicità abile e scattante e di una capacità mimica strabiliante.
Nello spettacolo Teatro Delusio, andato in scena al Teatro Due di Parma, le scene si susseguono le une alle altre con ritmo serrato, sostenuto dai corpi degli attori, velocissimi nei cambi di costume. Il backstage di un teatro è il luogo ove si raccolgono diversi tipi umani le cui vite inesorabilmente si intrecciano in rapporti di attrazione e repulsione. In uno spazio che sta al confine tra realtà e finzione, dove ballerine divengono amanti di tecnici di palco e orchestrali si appisolano prima di entrare in scena, ogni figura è rappresentata nei suoi tratti più pateticamente umani, nelle tensioni sentimentali che mettono in moto ogni accadimento. Eppure tutto è presentato con la massima leggerezza, in una serie di piccoli ritratti che tratteggiano ogni cosa con ironia. Il silenzio non toglie capacità espressiva al linguaggio teatrale: ogni significato arriva al pubblico ed è a lui trasmesso dalla precisione mimica degli attori, grazie ai quali nessun gesto appare di troppo, o scontato. Per definire il carattere espressivo delle maschere che utilizzano, i Familie Flöz le chiamano mezzi “antelinguistici”.
Nella crescente commistione di linguaggi della scena contemporanea, sembra che il teatro di figura stia pian piano riuscendo a conquistare anche in Italia quello spazio del teatro tout court che sempre gli è stato concesso solo a singhiozzi, con riluttanza. Compagnie come Familie Flöz, ma anche vecchi maestri come Neville Tranter, o più giovani talenti come esempio Duda Paiva, che sarà presente in Italia fra l’altro con un suo workshop ad Aprile presso il teatro del Buratto a Milano, riescono ora ad abitarlo pienamente, proponendo un linguaggio proprio e riconoscibile ma al contempo capace di adattarsi all’esigenza di una tecnica mista, che permetta di spaziare dal teatro mimico a quello di figura, al teatro-immagine.
Nello sfaccettato mondo delle figure si può riscontrare una comune tendenza, una sorta di linguaggio contemporaneo condiviso: la sempre più diffusa interazione tra uomo e figura, la compresenza dei due sulla scena. Effigi e simulacri dell’umano, le figure, nella loro ieraticità, veicolano una potenzialità significante data dal loro valore segnico e sono spesso avvertite come potenti e fedeli espressioni della condizione umana, suoi specchi affatto riproducenti o imitanti ma invece concretamente espressivi. È esattamente quello che avviene attraverso l’uso delle maschere dei Familie Flöz, vere e proprie espressioni dell’umano.
Teatro Delusio
di Paco González, Björn Leese, Hajo Schüler e Michael Vogel
regia Michael Vogel
con Andrès Angulo, Dana Schmidt, Björn Leese, Johannes Stubenvoll, Daniel Matheus, Michael Vogel, Thomas van Ouwerkerk, Sebastian Kautz, Hajo Schüler
scene Michael Vogel
musica Dirk Schröder
maschere Hajo Schüler
costumi Eliseu R. Weide
luci Reinhard Hubert
produzione Familie Flöz, Arena Berlin e Theaterhaus Stuttgart
Bello : le forme ,i costumi e i gesti in teatro diventano parola e gioco ; magico fantastico….!