ELENA SCOLARI | Dirigere una compagnia teatrale in solitudine è difficile, codirigerla con altre due compagnie potrebbe arricchire il lavoro e alleggerire alcuni pesi? Provano a scoprirlo a Vicenza, dove La Piccionaia – nata nel 1975 e ora l’unico Centro di Produzione Teatrale in Veneto – ha di recente triplicato la propria direzione artistica allargandola a Babilonia Teatri e ai Fratelli Dalla Via, due tra le realtà più innovative sulle scene degli ultimi dieci anni.
Abbiamo parlato con Carlo Presotto (presidente Piccionaia), Enrico Castellani, Marta e Diego Dalla Via per capire meglio il loro progetto.
ph. Marco Carmignan
Come nasce l’idea di coinvolgere due soggetti teatrali come Babilonia e Fratelli Dalla Via nella direzione artistica de La Piccionaia?
Carlo Presotto: Partiamo col dire che il progetto si incentra sul teatro per le nuove generazioni. Il nostro rapporto con Babilonia nasce (dal punto di vista della produzione) con il Premio Scenario nel 2007, vinto da Babilonia con Made In Italy, nel 2009 poi io e Matteo Balbo saremo in scena nello spettacolo Special price diretto da Enrico e Valeria e Piccionaia produrrà il lavoro, si trattava di un percorso sui temi del cibo e dell’alimentazione legati anche all’ambiente. Continuiamo a lavorare con loro e alcuni anni dopo proseguiamo su questa via producendo Ho un lupo nella pancia, per il pubblico dei piccoli, su testo di Castellani e Raimondi.
Con i Fratelli Dalla Via condividiamo dal 2013 una collaborazione amministrativa e un progetto legato alle nuove generazioni e in particolare al mondo dei writer e dei rapper iniziato prima di ufficializzare questa “triade”. Con entrambi i gruppi, anche per vicinanza geografica, avevamo già un sostrato di momenti di studio e lavoro fatto insieme.
La volontà del nostro Centro è quella di rileggere – teatralmente – il rapporto tra contemporaneità e ragazzi, abbiamo quindi pensato che il prossimo triennio ministeriale 2018-20 potesse essere l’occasione per proporre a Babilonia e Dalla Via di entrare in squadra per elaborare un progetto comune.
Quali sono i punti concettuali centrali di questo progetto?
CP: Con questa trasformazione La Piccionaia scrive a chiare lettere la sua determinazione a non arroccarsi in difesa del patrimonio storico, ma, al contrario, la volontà di mettersi in discussione, di contaminarsi: in un parola, di superarsi. Non si tratta di un’operazione di facciata, ma di una scelta di senso e di contenuti. Un segno forte di apertura: verso il fuori, il mondo, i linguaggi contemporanei, le nuove generazioni.
Una delle idee principali è far lavorare bambini e genitori insieme, potrà stupire ma abbiamo notato che i bambini di questi anni sono molto preoccupati per i loro genitori, li vogliono aiutare, forse perché tensioni e ansie “adulte” sono diventate così evidenti da aver sviluppato nei figli un ruolo protettivo al contrario. Vogliamo quindi che questa rete a tre indaghi le paure dei bambini, vogliamo mettere il fuoco su di loro, porre domande e abitarle con loro per capire cosa temono oggi.
Tecnicamente come si organizzerà la collaborazione?
CP: Il nostro desiderio è creare un teatro che sia luogo in cui elaborare il reale, rispecchiarsi, incontrare l’altro; in cui sentirsi a casa ma avere anche la possibilità di mettersi in discussione; in cui far crescere bambini, ragazzi, giovani e adulti curiosi ed esigenti. Tutti e tre i gruppi lavoreranno in questa direzione, una divisione dei compiti è l’obiettivo cui tendere.
Riguardo ai cartelloni di ospitalità, per fare un esempio concreto, si tratterà di una direzione artistica a tutti gli effetti, le stagioni si comporranno sempre dopo incontri in cui si condivideranno le linee guida per la scelta dei titoli da ospitare. Babilonia e Fratelli Dalla Via continueranno anche i loro percorsi artistici autonomi, che possono portare linfa al lavoro condiviso con noi.
Marta Dalla Via: questa fase iniziale è una fase di conoscenza e ascolto reciproci perché stiamo incontrando tutte le figure all’interno della cooperativa La Piccionaia, dagli organizzatori agli amministrativi ai tecnici, stiamo dialogando con tutti i lavoratori, siamo agli inizi di un viaggio che deve coinvolgere tutte le individualità dei nostri tre soggetti per poi allargarsi a chiamare anche artisti da fuori coi quali investire sulla qualità del lavoro.
Diego Dalla Via: L’idea di Carlo Presotto è stata ovviamente prima discussa all’interno di Piccionaia e poi proposta a noi e Babilonia, per il momento stiamo cercando di segnare un perimetro che porti tutti i membri dell’organizzazione a diventare parte della realizzazione di un progetto. C’è una bella atmosfera di slancio.
Nel comunicato stampa usate l’espressione “visione condivisa di un teatro politico”, vorreste darcene la vostra accezione?
CP: per me significa essere politici nell’etica e nella responsabilità. Per lavorare con e per i ragazzi la prima è indispensabile e bisogna essere sempre coscienti della seconda.
MDV: Noi vogliamo incidere sul territorio, vogliamo fare la differenza in un luogo non facile come è la provincia veneta, aprendo l’arte al sociale. In questo è importantissimo il confronto con chi ha un’identità artistica forte e ben definita, come i nostri compagni di avventura. Cerchiamo di inserire il nostro segno in una visione a lungo termine.
Enrico Castellani: Secondo me il teatro che si può definire politico è il teatro che si occupa della polis, che pensa l’oggi, che si sporca le mani. Oggi il teatro non è vissuto come qualcosa che riguarda direttamente le persone, dobbiamo cambiare questa prospettiva. Il contesto provinciale è il terreno dove noi siamo nati, la provincia è un micromondo che può essere specchio di ciò che le sta intorno, a un livello macro.
DDV: Sì, sono d’accordo con Enrico quando dice che il teatro – in generale – dialoga poco con la società, è un piccolo feudo che poco si preoccupa di “rappresentare” le persone, per me l’unica accezione possibile è quindi che le arti intervengano nella piazza pubblica. Che cosa ti spinge a fare arte? Pensare al futuro, partendo quindi dall’oggi.
Politica e territorio sono quindi strettamente legati per tutti voi?
DDV: La piccola comunità della provincia è rassicurante, è un nido. La nostra estrazione geografica è quella di una periferia diffusa, che non ha consapevolezza di sé, il Veneto è fatto di tanti campanili che non si pensano come una grande area metropolitana, noi ci siamo chiesti se possiamo “disegnare” qualcosa che modifichi il nostro territorio.
EC: Il rapporto col territorio è imprescindibile perché è attraverso questo lavoro che si crea un tessuto che permette di entrare in contatto con quello che è ignoto, noi cerchiamo di raccontare il mondo partendo da ciò che conosciamo.
Se doveste indicare una prima azione caratterizzante del vostro progetto cosa direste?
DDV: la prima azione è mischiare le carte, contaminarsi nel lavoro, vorremmo trovare il modo di essere dove non siamo richiesti, irrompere in luoghi e spazi, irrompere anche simbolicamente, in luoghi come potrebbero essere le banche per esempio, vorremmo indagare se il teatro può parlare di questi argomenti, questo perché la gente sarebbe meglio sintonizzata su certi temi se il mezzo teatrale ne parlasse.
La nostra idea è che si possa parlare di tutto, noi vogliamo parlare della realtà, quindi qualunque tema prima o poi sarà incontrato dai ragazzi, collegandomi a ciò che diceva Carlo all’inizio, vogliamo che si crei una connessione tra la scena e la vita.
MDV: Per riprendere una parola usata prima da Diego, io sono convinta che il teatro non debba essere sempre un luogo “rassicurante”, ci piacerebbe far incontrare anche ai bambini la nuova drammaturgia, magari scuotendoli un po’, perché metterli davanti a qualcosa che non si aspettano riteniamo possa essere una via stimolante.
EC: Io sottolineerei anche il significato stesso dell’operazione, prima che cominci ad esplicitarsi nelle singole azioni, perché ci ha stupito – favorevolmente – questa apertura, ci è sembrato molto bello umanamente e poi un pungolo per provare a non occuparci soltanto del nostro specifico ma provare a immaginare con altri un progetto culturale per un territorio, immaginare un po’ di futuro in un tempo in cui siamo oberati e sfiduciati dalla burocrazia. L’unione è un movimento in controtendenza ma che crediamo sia necessario perché anche la nostra generazione artistica sia chiamata in causa ad occuparsi della collettività e perché le nuove generazioni siano coinvolte direttamente.
La squadra dei tre soggetti è formata da cinque persone che si confrontano e in questo è già emersa una grande ricchezza, anche nell’esposizione di punti di vista che non collimano.
L’obiettivo è arrivare a costruire un progetto di programmazione culturale per una città.
L’ha ribloggato su RIDONDANZE.