LAURA BEVIONE | È giunta alla quarta edizione la discussa rassegna “Il cielo su Torino”, ospitata nel cartellone del Teatro Stabile, promotore, insieme a TAP-Torino Arti Performative – che ha sostituito il Sistema Teatro Torino, cancellato lo scorso anno dalla nuova amministrazione cittadina -, di un bando rivolto ad artisti e compagnie torinesi che possono partecipare anche con spettacoli già proposti in altri contesti e dunque senza l’obbligo del fatidico “debutto”. Obiettivo del bando – e della rassegna – è quello di valorizzare, dando loro visibilità, le realtà cittadine «più interessanti», al fine anche di smentire quel luogo comune assai diffuso nella penisola secondo cui la scena torinese non brillerebbe certo per talento…
Mettendo, per ora, da parte la riflessione – benché tutt’altro che marginale – sulle modalità più efficaci per riconoscere, coltivare e sostenere concretamente il talento, che sappiamo non possono sicuramente esaurirsi nell’organizzazione di una rassegna, analizziamo gli spettacoli proposti in questa quarta edizione e proviamo a trarre un parziale bilancio.
Non abbiamo assistito al lavoro che ha aperto l’edizione 2018 de “Il cielo su Torino” – La donna che cammina sulle ferite dei suoi sogni, testo di Riccardo Liberati e Pietra Selva, anche regista di un allestimento, dedicato alla fotografa Letizia Battaglia, che aveva debuttato in forma di studio due anni fa al Festival delle Colline Torinesi. Uno spettacolo prodotto da una compagnia – Viartisti – nata nel lontano 1993 e dunque sicuramente non sconosciuta né “nuova” sulla scena cittadina.
Assai più illuminata ci è parsa la scelta di sostenere il debutto alla regia della giovane Alba Maria Porto, ex allieva della scuola per attori dello Stabile – così come i suoi tre eclettici e coinvolti interpreti – che ha scelto di cimentarsi con un testo tanto brillante e noto quanto, proprio per queste peculiarità, decisamente insidioso. Un progetto perseguito con testardaggine dalla siculo-torinese Alba, che non soltanto ha chiesto a Luca Scarlini una nuova traduzione del celebre Arte, ma è riuscita a convincere l’”ostica” Yasmina Reza a concederle i diritti per la messinscena. Due anni di lavoro per realizzare uno spettacolo che brilla per misura ed equilibrio, senza sbavature né forzature comiche ovvero facili sguaiatezze. Un ensemble di artisti – e di organizzatori – appena trentenni eppure disciplinati e rigorosi, capaci di tradurre entusiasmo e fiducia nella bontà del proprio progetto in serietà, consapevoli che soltanto unendo impegno e “disciplina” la passione può generare spettacoli di valore, che sappiano divertire e far pensare il pubblico. Ecco allora che questo nuovo allestimento di Art/Arte intrattiene con intelligenza coinvolgendo gli spettatori nei scintillanti dialoghi e monologhi dei tre protagonisti, le basi della cui amicizia sono messe in discussione dall’improvvido acquisto di un costoso quadro di un artista contemporaneo da parte di uno di loro…
Uno spettacolo brillante e sostanzialmente “classico”, mentre ricorre alle nuove tecnologie e a un complesso apparato multimediale Blatte, proposto da Parsec Teatro e ispirato all’omonima graphic novel di Alberto Ponticelli. Protagonista è Alex, un adolescente diventato un Hikikomori – ovvero un NEET – ossia uno di quegli adolescenti che non vanno più a scuola né cercano un lavoro ma trascorrono le proprie giornate chiusi in casa, nella confortevole solitudine della propria cameretta, negandosi l’interazione persino con i propri familiari. Una distanza siderale che, in scena, si esplicita nell’isolamento, nella parte alta di un’impalcatura scenografica scura, di Alex, ulteriormente separato dal proscenio da uno telo che funziona anche quale schermo per le numerose ed eterogenee proiezioni video. Sulla parte più esterna del palcoscenico, tre sgabelli, ognora spostati, vengono occupati dai familiari – madre, patrigno e sorellastra – ospiti di una trasmissione televisiva con la “missione” di illuminare la verità e insegnare agli spettatori a «educare il tempo» – così la metallica voce fuori campo della presentatrice, quasi un orwelliano Grande Fratello del XXI secolo. La nevrosi di Alex – che dialoga con le “blatte”/paranoie, che hanno lentamente preso possesso della sua stanza/mente – è effetto e, allo stesso tempo, causa di quelle dei propri familiari, ognuno imprigionato in uno stereotipo o un’ossessione – l‘edonismo del padre; il senso di colpa della madre; la sensualità maliziosa e allo stesso tempo inconsapevole della sorellastra. Malesseri esistenziali che si confondono e incastrano oscurando in parte la vicenda di Alex: qui la drammaturgia si fa farraginosa e lo spettatore fatica a seguire quanto accade sul palcoscenico. Peccato, perché lo spettacolo è un accurato – e per nulla velleitario – esperimento di fusione di linguaggi variegati e anche la tematica appare quanto mai attuale e densa di implicazioni. Non solo, gli interpreti offrono prove generose ed efficaci. Siamo dunque certi che, sciogliendo alcuni snodi drammaturgici, il lavoro guadagnerà chiarezza narrativa e forza espressiva.
Temiamo, invece, che necessiti un ripensamento assai più radicale Ognidìviensera, monologo creato e interpretato dalla ben poco convincente Carla Carucci. La vicenda di una sartina incapace di accettare la morte del promesso sposo si concreta in scena in costanti e vani spostamenti di tessuti, in ritornelli ognora ripetuti, nelle voci di vicini e parenti suggeriti da stoffe tramutate in pupazzi, nella comparsa di un manichino da cui fuoriescono altri tessuti, un armadio che contiene l’abito nuziale e gli oggetti del futuro sposo. E, alla fine, non si capisce bene come, l’inconsolabile sposina, che ogni giorno cuciva e poi scuciva il suo abito nuziale, sceglie di tornare a vivere, indossando un pareo floreale e scarpe coi tacchi… Drammaturgia inconsistente, assenza di ritmo e di una solida idea registica, fragile presenza scenica caratterizzano uno spettacolo cui non basta certo la magnificenza delle stoffe e la cura della scenografia per conquistare un senso e una necessità.
Maggiore padronanza del palcoscenico mostra, invece, Giulia Pont, interprete e coautrice di Effetti indesiderati anche gravi, narrazione che mescola stilemi propri della fantascienza e del racconto distopico declinandoli, però, in quei toni della – pur blanda – satira dei costumi attuali che qualificano il talento dell’attrice. Siamo nel 2218 e l’umanità, per difendersi dagli esiziali effetti collaterali delle emozioni, ha ideato vaccini contro di esse e, in particolare, contro l’amore. Il “ribelle” padre della protagonista, nondimeno, scelse di non vaccinare la figlia che, ora, è stata colpita dalla fatale freccia di Cupido e si è innamorata del fascinoso vicino di casa. L’avventura amorosa della giovane è alternata a sipari che richiamano – comicamente – le grandi storie d’amore narrate dalla letteratura – da Renzo e Lucia ad Arianna e Teseo, da Abelardo ed Eloisa a Achille e Patroclo – e a momenti in cui l’attrice si rivolge direttamente al pubblico, invitato a fare con lei un test tratto da una copia di Cioè miracolosamente sopravvissuta a due secoli di frigidità. Un moltiplicarsi di situazioni, contesti, implicazioni – c’è anche il metateatro con i reiterati riferimenti alla “quarta parete” – che affatica la narrazione e che rischia di trasformare in noia la brillante comicità di Pont. La dimensione del cabaret mal si piega alle esigenze drammaturgiche di uno spettacolo di un’ora e mezza, che richiede, al contrario, un respiro più ampio e coeso e che certo non può essere ottenuto dalleasemplice somma delle “trovate”. Peccato, poiché sono evidenti la dedizione e il talento di Giulia Pont – e del suo compagno in scena, Lorenzo De Iacovo, impegnato in molti ruoli – ma, purtroppo, il suo lavoro risulta indebolito dalla fragilità drammaturgica.
Di nuovo, dunque, riscontriamo debolezze nella drammaturgia: non è allora un caso che dei quattro spettacoli nel cartellone de Il cielo su Torino di cui abbiamo dato conto, soltanto quello costruito su un testo preesistente e decisamente solido – Arte – sia apparso pienamente convincente. La drammaturgia di uno spettacolo è struttura portante e imprescindibile e, forse, è su questo aspetto che bisognerebbe sostenere le realtà cittadine, magari immaginando “sedute” di riflessione e formazione sul tema con Fausto Paravidino, dal gennaio scorso “drammaturgo residente” del Teatro Stabile di Torino…
Teatro Gobetti, Torino, 12-25 marzo 2018
ARTE
Di Yasmina Reza
Traduzione Luca Scarlini
Regia Alba Maria Porto
Scene e costumi Lucia Giorgio
Luci Francesco Dell’Elba
Musiche originali Elio D’Alessandro
Progetto video Indyca
Interpreti Mauro Bernardi, Elio D’Alessandro, Christian La Rosa.
Progetto Alba Maria Porto, Annalisa Sacchi, Claretta Caroppo; in collaborazione con Il Mulino di Amleto, Tedacà, ERTi; partner The Others Art Fair, Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, Brevidistanze; realizzato con il contributo di Compagnia di San Paolo-Bando “ORA! Linguaggi contemporanei, produzioni innovative”
BLATTE
Drammaturgia Michelangelo Zeno
Regia Girolamo Lucania
Supervisione artistica e disegni originali Alberto Ponticelli
Habitat Andrea Gagliotta
Luci Alessandro Barbieri
Suono Pietro Malatesta
Musiche originali Daemon Tapes
Montaggio video e motion comics Alessandro Pisani
Produzione video Grey Ladder Productions, Haedwood Studios
Trucco ed effetti speciali Crisiplastica
Interpreti Stefano Accomo, Francesca Cassottana, Jacopo Crovella, Dalila Reas
Produzione Cubo Teatro/Il Cerchio di gesso; realizzato con il contributo di Compagnia di San Paolo-Bando “ORA! Linguaggi contemporanei, produzioni innovative”
OGNIDÌVIENSERA
Progetto, regia, costumi, interpretazione Carla Carucci
Drammaturgia Carla Carucci, Alice Umana
Luci e suono Luca Carbone
Produzione La Terra Galleggiante – Teatro Lavoro
EFFETTI INDESIDERATI ANCHE GRAVI
Testo di Corrado Trione, Giulia Pont
Scenografia Valentina Menegatti
Costumi Monica Cafiero
Luci Giorgio Tedesco
Musiche Francesco Vigna
Interpreti Giulia Pont, Lorenzo De Iacovo
Produzione Musa srls, in collaborazione con Teatro C’Art
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