ANTONELLA D’ARCO | Una grotta, disseminata qua e là di recipienti di rame, due specchi rotti a fare da quinte, un grosso pentolone nel centro e una sagoma femminile, scura che a poco a poco s’illumina, è la scena disegnata da Luigi Ferrigno, entro la quale Giovanni Esposito ha diretto Il Baciamano, testo del drammaturgo Manlio Santanelli, andato in scena al Teatro Civico 14 di Caserta, lo scorso 24 e 25 marzo.

Come la sacerdotessa di Apollo nel suo antro, come le janare della tradizione popolare, la donna, soprannominata per l’appunto Janara, è intenta a compiere un rito, quello del pranzo. Si affacenda a pulire le verdure, e prega, da sola nell’intimità di quel basso napoletano di fine Settecento in cui è ambientata la vicenda.

La Storia della Repubblica napoletana del 1799 irrompe in quello spaccato quotidiano, in maniera insolita. Lo scontro tra i Lazzari e i Giacobini è mostrato tutto in quella sudicia dimora popolare, tra la donna e la prelibata pietanza che si appresta a cucinare: un uomo in carne ed ossa, un giacobino, fatto prigioniero dal marito di lei, durante gli scontri in città.

Cruda, verace, ferita, violenta è la scrittura di Santanelli e la lingua parlata da Janara, in scena Susy Del Giudice che restituisce tutta la verità del suo personaggio nella voce, avvizzita dal tempo e dalle fatiche di una vita misera, e nel corpo e nelle mani, protese verso la tensione dell’azione. Da contraltare Giulio Cancelli, figura galante di giacobino, sulla via del tramonto della sua vita di uomo e di libero pensatore. La Storia fa da cornice al racconto ben più particolare dell’incontro tra queste due esistenze. Un incontro-scontro tra un uomo e una donna, tra due classi sociali, tra chi ha la libertà e chi l’ha posseduta fino ad un attimo prima; un incontro che è confronto e che confonde questi due mondi, evidenziandone i limiti e le differenze, e li avvicina nel desiderio di entrambi di trovarsi in un luogo altro da dove sono stati condotti dalla vita.

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La drammaturgia costruisce il contrasto tra i due personaggi con ironia e potenza. Se l’aria, simbolo di libertà è un “alimento insostituibile” per il gentiluomo, è invece sintomo di un altro giorno di digiuno per Janara; se l’appellativo signora è sintomo di cortesia per il nobile giacobino, Janara gli risponde fieramente: «Io so’ lazzara e me ne vanto». Ma quella fierezza popolare scompare se pensa al marito ubriacone e manesco che le fa visita ogni sera e ai quattro figli nati da quell’uomo. È nella debolezza del sogno di Janara, quello di immaginarsi principessa, che s’insinua il forbito parlare del giacobino. Nella mente di lei si fa strada il pensiero di poter vivere la sua fantasia: sentirsi per un giorno una gran dama, scendere da una carrozza e ricevere il baciamano; rituale combattuto dalla sua gente, ma che per Janara, più che segno di emancipazione sociale, diventa voglia del cambiamento, riconquista della libertà persa da ragazza. E vuole riconquistare la sua libertà anche il giacobino, cambiare la condizione di prigioniero a cui è costretto, legato mani e piedi.

Distanti e pur vicini nel loro desiderio, i due personaggi si trovano a prendersi cura l’uno dell’altra. Così Janara, prima di esser trasformata in principessa da quel baciamano, accompagna la disperazione dell’uomo, destinato ad essere ucciso proprio da lei, con il racconto di un cunto di basiliana memoria. La storia di Ficuciello, che nella regia di Giovanni Esposito è affidata alla voce fuori campo dell’attrice, sulle video proiezioni curate da Davide Scognamiglio, proietta la narrazione in una dimensione onirica. Ficuciello, bambino storpio e rachitico, destinato alla morte appena nato, è capace invece di ribaltare la sua condizione e quella della madre, la sola che l’abbia amato per com’era, e di fare la sua fortuna.

È questo un altro elemento della scrittura che fa sperare nella realizzazione di uno scenario diverso dal lurido focolare entro il quale sono rinchiusi Janara e il Giacobino. Ma la favola di rivalsa, della quale è protagonista il ragazzetto dall’aspetto deforme, non appartiene alla realtà. Nella realtà, dominata dalla legge dell’ homo homini lupus, si prefigura invece solo un destino di morte, macchiato del rosso sangue di cui sono tinte le scodelle sparse sul pavimento della cucina di Janara.

Teatro Segreto

presenta


IL BACIAMANO


di
Manlio Santanelli
con
Susy Del Giudice e Giulio Cancelli
regia
Giovanni Esposito
aiuto regia
Felice Panico
costumi
Rossella Aprea
scene
Luigi Ferrigno
effetti video
Davide Scognamiglio
progetto luci
Nadia Baldi
collaborazione musicale
Elio Manzo