MARCO BALDARI | Una donna e un pianoforte. Parola e musica. Sono questi i due elementi che  costituiscono l’ultimo lavoro di Valentino Infuso, PFF. Piano, forte, forte (pronunciato onomatopeicamente con la f prolungata), con in scena Valentina Cidda al Teatro Lo Spazio di Roma.

Un ritorno in scena in realtà, questa volta però nella sua versione integrale. Uno spettacolo in tre atti, tre sonate, ma che compongono un assolo per corpo femminile e pianoforte.

Attraverso questa favola oscura, Infuso racconta la storia di una ragazza, passando per i suoi momenti cruciali. Ci sono allora la nascita, la scoperta del proprio corpo e la consapevolezza di se stessa. Una favola oscura, ironica e spietata perché questa donna non ha avuto una vita normale. Nata come tutti senza averlo scelto, si ritrova gettata nel mondo, e all’età di quattro anni subisce un abuso da parte dello zio. Questa violenza, come è scontato, segnerà per sempre la sua esistenza e il rapporto con gli altri, soprattutto con il genere maschile. La sua sarà una continua ricerca dell’amore, un viaggio che la porterà sempre di più verso l’oblio. Tra uomini violenti e amanti tutti uguali tra loro, la protagonista dello spettacolo non troverà pace neanche nella maternità. Forse l’unico barlume di speranza è il ritorno a quella inconsapevolezza che avvolge tutta la nostra esistenza, possibile solo nel momento della nostra venuta al mondo.

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Un testo denso di spunti, in cui lo spettatore si trova immerso da subito. Un racconto fatto di ombre evanescenti e suoni, tra memoria e fantasia. In cui è forte “il processo immaginativo emozionale”, per entrare in empatia con l’interprete.

La messa in scena è quella classica di un monologo, giocata sulla bravura dell’attrice, su trovate sceniche semplici ma convincenti e giochi di  luce ben architettati, a cui si aggiungono le musiche suonate dal vivo dalla Cidda.

Estremamente incisiva è la trovata del pianoforte come fulcro scenico. Tutto si muove intorno a questo unico elemento. Dalla nascita, passando per i primi appuntamenti, fino agli amplessi con gli uomini, con semplici spostamenti tutto viene restituito al pubblico con estrema efficacia. Luci ed ombre sono ben studiate, per creare atmosfere che restituiscano il sempre crescente malessere della protagonista. Anche i costumi sono pensati in questo senso, si passa infatti dal bianco, simbolo del candore, alle tonalità di nero, fino al rosso purpureo color sangue. Il suono del pianoforte è il filo teso del racconto, che lega tutta la drammaturgia.

La protagonista, Valentina Cidda è ben calata nella parte. Un ruolo non semplice: sembra infatti a volte di trovarsi davanti ad un performance di arte, ma questo sfasamento teatro-performance viene ben gestito. Il suo corpo diventa una tela fisica, su cui si dipingono i sentimenti provati e dove le parole escono come una cura per il suo disagio e il suo malessere.

Lo scritto di Infuso ci parla di esistenza,  di una vita difficile: l’essere umano posto davanti ai suoi demoni. In questo caso è una donna, ma gli argomenti sono universali. C’è il rapporto con l’eternità, l’incontro con l’altro, la sottomissione, il vuoto esistenziale riempito dal nulla contemporaneo.

Il tutto è restituito dalla regia, con un buona alternanza di parole, musica e movimento. Alcuni temi sono sicuramente inflazionati e sembra a volte di trovarsi davanti un déjà vu di spettacoli già visti. Non è facile esprimere una voce nuova quando si scelgono argomenti così “importanti”. Resta un’opera che dà il meglio di sé nelle scelte sceniche e nelle musiche composte e eseguite dalla protagonista, tutte molto affascinanti.

Uno spettacolo che non vuole suggerire vie d’uscita o soluzioni, ci mette davanti alla nuda realtà della vita, c’è poco da capire, non resta che aspettare “quel momento lì, pff, e tutto cambia”.

PFF (piano forte forte)

di Valentino Infuso

(testo e regia)

con Valentina Cidda

(musiche originali della medesima)