CHIARA PALUMBO | Una sorta di santone del quale si conosce soltanto questa fascinosa e respingente aura mitica, uno spettro agitato come emblema di tutto ciò che spaventa nell’alterità che incarna, oppure nient’altro che un nome che non evoca assolutamente nulla, del tutto sconosciuto. Tutto questo è Mario Mieli, su cui verte Abracadabra che Irene Serini porta in scena al Teatro Out Off.

FB_IMG_1524068207564Morto suicida ad appena trent’anni nel 1983, dopo di allora è stato da più parti del tutto rimosso, persino da quello stesso movimento LGBT (prima che prendesse questa denominazione, Mieli ne incarnava per molti versi tutte le espressioni) del quale è stato, in Italia, uno dei fondatori e – fuori di dubbio – dei leader carismatici.
Filosofo, attore, drammaturgo, ricchissimo, scrittore, travestito. Le definizioni per raccontarlo non si contano e non lo contengono, perchè probabilmente il solo aggettivo efficace sarebbe “esorbitante”. Mieli infatti scardina tutti i confini, – aumenta ad uno (non riduce) tutte le opposizioni, dimostrando con la propria vita – “il personale è politico” – che l’umano comprende tutto, e le sue manifestazioni si differenziano in funzione di costruzioni sociali, o “educastrazioni”.

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La sperimentazione delle possibilità prismatiche dell’umano non poteva che trovare sulla scena il proprio luogo ideale conducendolo ad essere attore – anche sullo stesso palco del teatro Out Off su cui quarant’anni dopo se ne fa memoria – di una recita che era però dichiarazione di verità, svelamento di un’altra, vera e propria, recita, quella a cui costringe la Norma eterossuale, monosessuale e borghese.
Un caleidoscopio di possibilità che – mediato dall’intervento del giornalista Maurizio Guagnetti, anche produttore dello spettacolo – non poteva che incontrare l’interesse di Irene Serini, che nel suo teatro, soprattutto d’autrice, ha rivelato le sue affinità con le figure provocatorie, liberanti, liminari (anche sui confini di genere).

Se infatti il tema è oggi oggetto di vasto interesse, la lettura che ne offre Irene Serini non è solo accurata e appassionata, ma è soprattutto nuova e sperimentale, persino rivoluzionaria. C’è, in questo, il più fedele e accurato ossequio alla figura di Mieli.

Anche Abracadabra, infatti, è uno spettacolo che esorbita tutti i confini. In primis quello della scena, che recupera il sapore antico e quasi sacrale della condivisione, cancellando la platea in favore di un cerchio che chiama al rifiuto di ogni linea retta, di ogni spigolatura. Tutto, in questo cerchio magico, è improvvisamente sfumato come i confini di genere, a partire dal corpo della stessa Serini che recupera tutta la sua androginia e si fa strumento libero, plastico, in una mai doma espressione fisica che chiede all’inteprete una notevole fatica e sperimenta, al contempo, tutte le prospettive possibili di sguardo. Anche prima di richiamarne la teorizzazione, la lezione di Mieli si incarna fin dallo stare in scena di Serini, nel fare performance in primo luogo fin dal proprio essere e mostrarsi, prima ancora di agire scenicamente.
Un altro confine, quello della scena, che non può che saltare. Serini decostruisce non solo il concetto di spettacolo teatrale ma anche quello di performance, in una costante interazione con il pubblico che si fa parte attiva di un continuo rovesciamento che dichiara l’entrata e l’uscita dalla finizione, dalla recita, che è sempre e non è mai. Così in Mieli, per il quale momento della vita e della scena coincidevano, vita e personaggio di sé non potevano essere scissi.

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Così Serini trova il modo più efficace e storicamente esatto per evocare Mieli, facendosi strumento di quella che appare quasi una seduta spiritica, e insieme il più personale, mettendo a frutto la propria originale e scrittura registica e un trascinante talento interptetativo per rovesciare ogni prospettiva per come la Norma da cui tutti siamo conidizionati ce l’ha insegnata.
Così anche il confine tra dritto e rovescio si annulla, tutto è insieme ancorato a terra e sospeso, persino la lettura delle scelte di messa in scena. Queste ultime, a loro volta, non hanno sempre bisogno di una spiegazione, perchè è sono mosse dalla stessa libertà che solo gl’incantesimi sanno offrire, procedendo “coerentemente con la follia, con quanto una volta svelato non si dimentica”.

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