FABIO MASSIMO FRANCESCHELLI | Non c’è mistero più interessante e coinvolgente di quello che non si risolve. Partendo da questo assunto, il mistero si libera di quella sorta di “persecuzione” che gli riserva l’eziologia, l’insopprimibile volontà di spiegarlo, e assurge a oggetto di culto estetico, o feticcio sensoriale (il perturbante). Twin Peaks è stata probabilmente la prima serie che ha sfruttato questo principio. Lost, quattordici anni dopo, lo ha rilanciato, probabilmente con meno senso estetico della seminale serie di Lynch ma con maggior investimento emotivo.
Cito Twin Peaks e Lost perché mi sembrano evidenti fonti di ispirazione, o comunque di riferimento tematico, stilistico, estetico, per la serie tedesca Dark. In questo caso il mistero agisce (e si nutre) all’interno di contesti sociali e geografici che stimolano ancestrali inquietudini nei protagonisti (e quindi nel pubblico televisivo). Potrei parlare dell’individuo posto di fronte a due eccessi, eccesso di natura ed eccesso di cultura.
Il primo trova luogo nel bosco, o foresta, che circonda la sonnacchiosa cittadina di Winden e che priva il casuale passante delle sicurezze garantite dall’urbe. Il secondo sta nella presenza, altrettanto inquietante, di una enorme centrale nucleare a poca distanza dal paese. L’uomo nudo e inerme di fronte alla natura selvaggia, situazione questa pertinente al passato e che noi contemporanei raramente sperimentiamo; all’opposto, l’uomo nudo (nudità etica, l’uomo privo di Dio) di fronte all’esplicazione del proprio potere demiurgico, creativo e/o distruttivo, situazione invece di casa nel presente e sempre più nel futuro. Le due inquietudini, quindi, tirano chi in indietro e chi in avanti e questi movimenti dell’animo si reificano divenendo, nella fiction, vere e proprie fughe (rapimenti) nel passato e nel futuro. Il viaggio nel tempo, con i suoi paradossi e loop temporali, è quindi il centro di uno story concept ambizioso e che aspira ad una fortunata longevità.
Di Twin Peaks ha le atmosfere perturbanti, la cura maniacale, visionaria e pittorica, per la fotografia, la potenza della colona sonora. Di Lost ha il gioco narrativo del mistero rilanciato, rinnovato, sostituito, la cui temporanea e illusoria risoluzione ne causa invece l’accrescimento esponenziale, espediente di sceneggiatura moderno e intelligente ma alla lunga pericoloso perché rischia di saturare il livello di sopportazione del pubblico e perché troppa carne al fuoco non si sposa con una cottura omogenea sicché l’estetismo eccessivamente ricercato e fine a se stesso rende il senso della carne bruciata e il continuo sommergerci di misteri porta al disgusto che si prova per la carne cruda. Fuor di metafora, la serie è un vero compendio di “misteriologia”, dove rapiscono bambini, muoiono senza causa apparente greggi di ovini e stormi di uccelli, avvengono oscuri traffici di materiale radioattivo, dove la scienza di frontiera sfuma nell’ermetico, nel soprannaturale, nell’esoterismo di tradizione cristiana, e a braccetto affrontano con irridente spocchia i maldestri tentativi di risoluzione affidati a una detection classica che si fa carico di mostrare tutti i limiti dell’umana razionalità la quale non ha mai abbastanza assimilato il detto shakespeariano rivolto da Amleto a Orazio: “Ci sono più cose in cielo e in terra, di quante tu ne possa sognare nella tua filosofia”.
E Dark, infine, come già Twin Peaks, rispolvera lo sguardo sospettoso, mai del tutto sopito, della città nei confronti della provincia, dimensione spaziale che oggi ha ereditato le connotazioni “esotiche” – quindi strane, favolistiche, magiche, leggendarie – un tempo appannaggio, nell’immaginario occidentale, dell’Est e del Sud. Una serie che è stata molto apprezzata tra gli appassionati del genere, ma che il genere lo cavalca senza aggiungere nulla di particolarmente nuovo.
Dark (I Segreti di Winden)
serie televisiva DK distribuita da Netflix, anno 2017
Ideata da Baran bo Odar e Jantje Friese.
Prima stagione, 10 episodi.