ALICE CAPOZZA | Il coraggio dei vent’anni ci spinge ad occhi aperti verso l’avventura e la scoperta colmi di tenera incoscienza.
Il Teatro Nazionale della Toscana ha presentato nel giro di un mese due produzioni risultato delle scuole di formazione attoriale che ha istituito, L’Oltrarno con la direzione di Pierfrancesco Favino, e I Nuovi neodiplomati della Scuola per attori Orazio Costa a cui è affidata la gestione del Teatro Niccolini di Firenze: in scena due gruppi di giovani colmi del coraggio dei vent’anni.
È dai tempi de La Bottega di Gasmann e del Centro di Avviamento all’Espressione di Costa, protagonisti nel panorama culturale fiorentino degli anni Ottanta, che la città non offre una formazione nell’arte teatrale, costringendo molti giovani a cercare altrove, in città più grandi come Milano o Roma, ma anche solo culturalmente più dinamiche e aperte al contemporaneo, almeno per quanto riguarda il codice teatrale, come Genova, Torino o Bologna. La presenza di una formazione professionale accreditata nel panorama nazionale ed internazionale significa non solo dare un’opportunità alle giovani generazioni, ma anche dare nuovo impulso all’offerta culturale per tutti. Tant’è vero che negli stessi anni di Gasmann e Costa a Firenze pur con percorsi autonomi e molto diversi ci sono stati interessanti esperienze come Krypton a Scandicci, il Laboratorio Nove di Barbara Nativi a Sesto Fiorentino o l’avvio e lo sviluppo della realtà teatrale e culturale di Prato conservando tutt’oggi nel Teatro Metastasio e nel Centro per l’arte contemporanea Pecci un livello, un dinamismo e un’accoglienza invidiabili dalla nobile vicina.
È ancora troppo presto per capire se l’operazione del Teatro Nazionale, costituito dall’unione dello storico Teatro della Pergola e il Teatro Era, a cui si sono aggiunti gli spazi del Teatro Studio di Scandicci e il Teatro Niccolini di Firenze, avrà dato a questa antica città l’energia per rinnovarsi. Siamo adesso al termine del primo triennio che per adesso ha aggiunto poco alle caratteristiche già presenti delle realtà coinvolte, ma che avrebbe le potenzialità per diventare un centro culturale allargato e diffuso, capace di sperimentare, di colmare un vuoto presente da trent’anni e dare speranza e coraggio ai ventenni di oggi.
Ci accostiamo con questo auspicio alla messa in scena di due opere profondamente diverse: una lucidamente contemporanea, ambientata in un centro per l’impiego post moderno dove si aggirano disperati ventenni di un futuro prossimo, alla ricerca di uno straccio di speranza per portare avanti le proprie vite incomprese; l’altra un classico degli inganni tra madame, signorotti e preti della Firenze del Cinquecento rivisitato in una forma da commedia dark dove nessuno è innocente e tutto è concesso pur di ottenere sesso, soldi e potere.
Al Teatro Goldoni, a pochi passi da quella che fu la sede de La Bottega, i giovani allievi de L’Oltrarno Sara Bosi, Lorenzo Carcasci, Cecilia Casini, Giacomo Coen, Maria Costanza Dolce, Camille Dugay, Maziar Firouzi, Giulia Lanzilotto, Luca Massaro, Stefano Parrinello, Giovanni Toscano si sono cimentati in Il Mercato della Carne, testo scritto appositamente per loro da Bruno Fornasari, ispirato a Bassifondi di Gorkij, per la regia di Juan Carlos Martel Bayod.
Un’imponente cornice bianca in proscenio di un ufficio squallido e asettico arredato di otto sedie ospedaliere, i cestini della spazzatura differenziata al centro e sui lati due piante di un verde finto e un boccione distributore di acqua: una sala d’attesa di oggi e di domani dove si muovono disinvolti i giovani personaggi de Il Mercato della Carne, loro stessi carne da macello nell’ingranaggio di vite senza speranza, parcheggiati come clandestini in attesa di un colloquio che cambi loro la vita. “Ma quale vita?” si chiedono questi esseri umani sconfitti senza aver neanche combattuto. Un quadro realistico di poco più che ventenni altamente formati ma disoccupati, lasciati a marcire nella rabbia e nel livore per l’oggi, con gli occhi rivolti altrove a dei fantomatici cinesi che li salveranno con un posto di lavoro che però non arriva mai.
A smistare l’attesa un giovane come loro il Caporale e la sorella, poliziotta corrotta, che gestiscono un sistema di organizzazione di pagamenti illegali che ingannevolmente fa loro saltare la fila, tenendoli chiusi in questo limbo allucinato e spietato ad attendere il proprio disperato turno, a tentare inutili test attitudinali ironici ma drammaticamente reali. Vivono relazioni umane ciniche senza sentimento, si salutano ritualmente alzando il dito medio, in continue freddure di comicità crudele e parolacce un linguaggio colloquiale e basso che strappa anche amare risate nel pubblico. “Da anni l’umanità balla la stessa danza nel tentativo di essere felice” perfino un porno degli anni ottanta guardato sul cellulare dalla più giovane del gruppo è più emozionante della realtà circostante “c’erano più sentimento e più dramma in quegli anni”.
Un testo ambizioso estremamente contemporaneo, surreale e realistico allo stesso tempo, che dialoga con un vocabolario quotidiano e sporco con le vite degli attori, giovani loro stessi: una generazione appesa alla disperata attesa di un futuro migliore perdendo così di vista il proprio presente, che corre incontro al proprio destino da ferma, attaccata a cellulari, a chat e videocamere. “La generazione Z quella che ha finito tutte le altre lettere dell’alfabeto, compresa la S di speranza” alla ricerca dell’immortalità sui social, non più padroni di se stessi, avendo autorizzato l’upload delle proprie vite. Gli attori attraverso una recitazione spontanea nelle parole ma spinta nei sentimenti passano dal distacco asettico come il quadro che li accoglie a momenti di energia caricata non sostenuta dal contesto, senza un percorso emotivo logico, spiazzante per il pubblico.
La regia gioca su più piani, il palco, la sala dove gli attori scendono per alcune scene, le scale del proscenio, i video proiettati in diretta sullo schermo alle loro spalle, sottolineati dall’accompagnamento musicale dal vivo di Samuele Strufaldi al pianoforte, fino all’altrove, quei cinesi salvatori aldilà. Differenti piani non solo fisici ma anche filosofici del testo: “bisognerebbe sforzarsi di alzarsi da terra e tornare ad imparare dalle stelle” capaci ancora di raccogliere desideri espressi di umanità e di divinità, di finitezza e di eternità perchè ci vuole ottimismo, ultimo baluardo di salvezza della generazione Z.
Un testo difficile, filosofico e politico, intelligente, ironico, moderno, che mette in evidenza le doti ma anche l’inesperienza del gruppo di attori: caratterizzano con energia i personaggi affidandosi soprattutto alla espressività vocale del teatro di parola, con volume articolazione e dizione, mentre risultano meno efficaci nella dinamica dei corpi, spiccano nel canto armonico, nelle scene di ensamble utilizzate in suggestivi cambi scena e emozionanti fermi immagine cantati. You can be hereo sono eroi e sorgerà il sole Here comes the sun cantano e forse è possibile grazie anche al teatro luogo di interrogazione umana che suscita brividi negli spettatori nell’ultimo Hallelujah.
Al Teatro Niccolini I Nuovi Maddalena Amorini, Francesco Argirò, Beatrice Ceccherini, Davide Diamanti, Francesco Grossi, Filippo Lai, Athos Leonardi, Claudia Ludovica Marino, Laura Pinato, Nadia Saragoni, Sebastiano Spada, Filippo Stefani, Erica Trinchera, Lorenzo Volpe hanno dato vita a Mandragola di Niccolò Machiavelli diretti da Marco Baliani.
Pesanti e lunghe quinte nere preziosamente damascate di rosso accolgono tra gli scuri oggetti scenici, quattro panche due inginocchiatoi da chiesa e un confessionale, molti moltissimi attori, tutti I Nuovi, che sembrano ancora di più su un palco ridotto dalla maestosità delle tende ornamentali. Fedele all’intreccio originale della commedia di Machiavelli, si susseguono le astute trovate dal gusto boccaccesco di Callimaco e Ligurio ai danni dello sciocco e ricco Nicia per prendere possesso dell’amore della bella e casta Lucrezia, che poi così casta non è. Una favola dark, come l’ha definita il regista Baliani, resa tale anche plasticamente nelle scelte sceniche: luci piccole intralice o a pioggia, scene illuminate in controluce e alcuni passaggi solo da fari manovrati a mano dagli stessi attori sul palco; costumi dal grigio antracite al nero fosco; nessuna musica ad addolcire il tenebroso messaggio, solo brevi canti a cappella e il lamento di una viola suonata dal vivo.
I Nuovi si presentano divisi in due cast, ma tutti in scena, alternandosi nelle serate di replica nei personaggi e nel coro fisico e vocale che commenta, sottolinea, si muove in ensamble, talvolta confondendo e turbando i protagonisti, altre esaltando il senso o contraddicendo le parole pronunciate. Le scenografie umane che seguono il plot narrativo costituiscono la scelta registica più interessante e l’elemento recitativo in cui I Nuovi riescono meglio. La scena più incisiva vede avanzare dallo sfondo l’insieme degli attori in routine fisiche perfettamente sincrone a rendere il senso torbido delle intenzioni del frate Timoteo e la madre Sostrata di convincere Lucrezia a giacere con un altro uomo a lei sconosciuto pur di rimanere incinta e compiacere così il marito ponendo sulla sua testa un bel paio di corna. Mentre la subdola finalità si fa strada tra le violente parole dei personaggi ai danni della moralità della fanciulla, il coro invade la scena del loro vero proponimento nella nera fiaba, mostrando simbolicamente l’effetto del male attraverso i corpi marionette fino a credere sopportabile l’amoralità.
Di alto livello il lavoro sul corpo del gruppo di attori che risultano più credibili nelle scene corali organizzate secondo una griglia rigida e ben definita piuttosto che nelle emozioni dei singoli protagonisti della storia, cadendo a volte in facili cliché macchiettistici o nella ricerca di facili battute comiche dal ritmo cabarettistico non sempre sostenute dalla presenza scenica degli attori a cui sono affidate, o nel dramma non vissuto profondamente dei personaggi femminili di cui non arriva al pubblico il tormento interiore di venire meno alle proprie convinzioni. Riescono invece con efficacia le scene di insieme: strizza l’occhio al teatro di figura l’esilarante scena di inseguimento di Callimaco che nel fingersi il malcapitato amante di Lucrezia si prende le botte dei suoi predatori attraversando più volte il palco in un zig zag continuamente mutato dal coro che sposta le panche confondendo la visione della scena; forte e significativa la tavola imbandita finale dove tutti con lo sguardo perso nel vuoto delle proprie torbide coscienze lasciano che i bicchieri si rovescino uno ad uno nel quadro silenzioso di una corruzione morale a cui tutti ci siamo abituati e rassegnati.
Mandragola è un’antica commedia nera che non lascia spazio a illusioni, dove i protagonisti dell’intreccio non esitano a cedere all’immoralità pur di raggiungere i propri interessi tra violenza e soprusi al di là delle coscienze. Ne Il Mercato della Carne la moralità comune non esite e l’ottenere il proprio interesse è al di sopra di ogni cosa. Da un parte l’originale spregiudicatezza machiavelliana per cui il fine giustifica i mezzi, portata avanti da personaggi solo apparentemente ingenui ed onesti, dall’altra il gelido distacco di un disperante futuro in cui si barcamena la generazione Z che pur conoscendo la profondità del bene comune si trova costretta a venirne meno, anestetizzando le proprie menti con grosse dosi di Xanax. In entrambi i casi i giovani attori dialogano con l’oggi, indagano l’agire subdolo di chi è senza speranza, la morte delle coscienze là dove viene meno il coraggio e l’innocenza.
L’utopia non ha spazio nell’esperienza sembrano dirci questi giovani attori, eppure la loro carica vitale ci invade dal palco fino alla platea, al contrario di ciò che raccontano in scena avanzano verso l’avventura e la scoperta col coraggio dei ventenni, che muovono i propri passi nell’arte contro ogni ragionevolezza. E li seguono i maturi del Teatro della Toscana nell’Esperimento Niccolini chiedendo a questi giovani idealisti di essere artigiani di se stessi con “rigore, umiltà, integrità e sincerità” in un percorso creativo ma anche gestionale fatto di senso di gruppo, incidenti, fatiche, gioie, fallimenti e successi, così da diventare adulti ma senza perdere l’insostenibile tenerezza dell’essere giovani.
OLTRARNO | Scuola di Formazione del Mestiere dell’Attore
Il Mercato della Carne
di Bruno Fornasari
con Sara Bosi, Lorenzo Carcasci, Cecilia Casini, Giacomo Coen, Maria Costanza Dolce, Camille Dugay, Maziar Firouzi, Giulia Lanzilotto, Luca Massaro, Stefano Parrinello, Giovanni Toscano
musiche eseguite da Samuele Strufaldi
movimento Carlotta Bruni
canto Gabriele Foschi
preparazione vocale Susan Main e Alice Bologna
regia Juan Carlos Martel Bayod
produzione Fondazione Teatro della Toscana
Teatro Goldoni
Firenze
24/30 marzo 2018
I NUOVI | Giovane Teatro della Toscana
Mandragola
di Niccolò Machiavelli
con Maddalena Amorini, Francesco Argirò, Beatrice Ceccherini, Davide Diamanti, Francesco Grossi, Filippo Lai, Athos Leonardi, Claudia L. Marino, Laura Pinato, Nadia Saragoni, Sebastiano Spada, Filippo Stefani, Erica Trinchera, Lorenzo Volpe
scene e costumi Carlo Sala
assistente scene e costumi Roberta Monopoli
assistente regia Lorenzo Terenzi
direttore di scena Emiliano Gisolfi
light designer Loris Giancola
sarta Eleonora Sgherri
realizzazione scene Laboratorio di Costumi e Scene del Teatro della Pergola
realizzazione costumi Sartoria Mauro Torchio
regia Marco Baliani
produzione Fondazione Teatro della Toscana
foto prove Filippo Manzini
Teatro Niccolini
Firenze
11/22 aprile 2018