RENZO FRANCABANDERA ed ELENA SCOLARI | ES: La filosofia come salvezza. E come viatico. Sarà la filosofia e non la bellezza a salvare noi e il mondo? Lo spettacolo Socrate il sopravvissuto/come le foglie di Anagoor sembra suggerire questo, attraverso un lavoro che parte dal romanzo Il sopravvissuto di Antonio Scurati per raccontare come l’interrogarsi e l’insinuare il dubbio possano essere la chiave del vivere umano.

Un professore di storia e filosofia (Marco Menegoni) è alle prese con l’arduo compito di affrontare il programma scolastico ministeriale. Davanti ai banchi ancora vuoti ma con le spalle al pubblico, confessa in un microfono le sue insicurezze, le difficoltà di una Storia da insegnare cercando di non renderla un mero elenco di stragi, un catalogo di eccidi, numeri di morti che si sciorinano nei secoli dalle Termopili alla Seconda Guerra Mondiale.
Gli alunni entrano occupando uno alla volta il proprio banco, e in una lunga, lenta scena si adagiano addormentandosi, fino a scivolare sotto i banchi stessi. Uno a uno si rialzano e comincia un lavorìo di accatastamento di libri vecchi e rovinati, buttati dai ragazzi in un mucchio, sopra una loro compagna che vi si abbandona come su un covone del sapere, i libri si abbattono su lei con colpi che la scuotono.
Intanto altri studenti strizzano volumi intrisi d’acqua, cercando forse di rimediare all’annacquarsi odierno del ruolo della scuola, nel tentativo di ridare asciuttezza a quel cumulo di nozioni che si affastella negli anni di studio.

RF: Come in diversi precendenti lavori, pretesto letterario, indagine storica, arte scenica e cinematografica si fondono nel linguaggio di Anagoor, che dopo oltre dieci anni dai primi esiti, raggiunge un equilibrio compositivo che si situa fra riflessione filosofica e poetica scenica. Continuando nella ricerca che spesso ha favorito allestimenti collettivi e plurali, anche in questo caso il numero di presenze in scena è significativo, cosa che, come ci spiega Menegoni nella video intervista che correda questo nostro intervento e che abbiamo realizzato nei camerini del Piccolo Teatro Studio, trova ragione nella storia stessa del collettivo.

ES: Lo spettacolo intreccia con un montaggio ardito e originalissimo la trama del romanzo di Scurati (in cui l’alunno Vitaliano Caccia darà seri problemi al collegio docenti)  e il racconto delle ultime ore di vita del filosofo Socrate, prima di bere la cicuta, dopo essere stato processato con l’accusa di corrompere i giovani. Qui si passa a un’altra dimensione: in un video proiettato su grande schermo a fondo scena vediamo ricostruita un’Atene stilizzata, con attori in costumi greci e belle maschere che richiamano alla classicità (di Silvia Bragagnolo e Simone Derai). Il video è però muto e il dialogo serrato tra Socrate e il giovane Alcibiade (militare e politico ateniese), tratto dall’Alcibiade primo e con riferimenti al Fedone di Platone, è doppiato in diretta da Menegoni e da alcuni degli altri interpreti, fra sonorità e voci, in un rapporto con il prodotto filmico che ricorda le creazioni teatrali di Kathy Mitchell: 20 minuti in cui lo spettacolo prende il volo ed entra a capofitto nell’irresistibile logica di Socrate, che sì, stordiva l’interlocutore, ma guidandolo a un rigore stringente, a un ordine di pensiero consequenziale che emoziona, tanto è limpido, ferreo e ineccepibile. Un ascolto che tiene avvinghiati, grazie alla recitazione incalzante, come lo sono il tono e le parole. Una tensione retorica unica, una lezione di precisione che dovrebbero ascoltare (ma anche leggere) tutti i politici e tutti gli elettori. I cittadini, insomma.

Inizialmente ci si può chiedere se non sarebbe stato meglio che la scena del dialogo maieutico fosse recitata dal vivo, senza video, ma poi ci si risponde che la scelta è giusta e che il passaggio aggiunto crea un distacco tangibile tra passato e presente, tra l’antico ancora vivissimo e l’oggi un po’ più addormentato.

RF: Anche in Virgilio Brucia si creavano piani narrativi in cui la distanza temporale o concettuale veniva rinviata al rapporto col video. Lì addirittura il rapporto era rovesciato. Il tempo della antica Roma era quello portato in scena e la contemporaneità della scuola di oggi in un video. E in Lingua imperii il tempo degli eventi a ridosso del periodo nazista quelli nell’inserto filmico, mentre l’iperuranio filosofico era quello rappresentato dagli attori e dai performer, in una serie di andirivieni temporali che hanno però un comun denominatore logico e filosofico.

ES: Dopo la morte di Socrate a video, si torna infatti alla classe contemporanea, il maturando Vitaliano Caccia sparerà a morte a tutti i membri della commissione d’esame, in una scena che mantiene bene la tensione del brano dialogico. Risparmierà solo il professore di filosofia, in un interessante parallelismo/paradosso tra la morte del filosofo che è cardine dello spettacolo e l’insegnante filosofo sopravvissuto, proprio la filosofia lo salverà, perché è l’unico in grado di dare risposte alle domande di Vitaliano.
Ciò che ha portato Socrate alla morte sarà ciò che conserverà la vita al professore di oggi.
La filosofia insegna a guardare sempre le cose almeno da due punti di vista, è un continuo esercizio, non solo nella dialettica delle discussioni, ma anche nel procedere nella vita: chiedersi, interrogarsi, ricercare, tenere in ordine in pensieri, provare a capire.
I maestri dovrebbero guidare le menti giovani a problematizzare, a non abituarsi alle risposte facili. Se non fossero, ultimamente, costretti a difendersi dalla prepotenza che si fa vanto di ignorare la complessità e dalla maldestra volontà di sottomettere l’autorità, per un’effimera soddisfazione.

RF: Con Marco Menegoni abbiamo parlato di moltissime questioni che riguardano il linguaggio e la portata dei segni e delle riflessioni nelle opere di Anagoor. La video intervista che vi proponiamo qui di seguito di fatto attraversa tutto il tempo creativo del collettivo, da Tempesta ad oggi. Vi lasciamo alla parola dell’artista.

 

SOCRATE IL SOPRAVVISSUTO/come le foglie

di Simone Derai e Patrizia Vercesi
regia Simone Derai

dal romanzo Il Sopravvissuto di Antonio Scurati
con innesti liberamente ispirati a Platone e a Cees Nooteboom
con Marco Menegoni, Iohanna Benvegna, Marco Ciccullo, Matteo D’Amore, Piero Ramella, Margherita Sartor, Massimo Simonetto, Mariagioia Ubaldi, Francesca Scapinello/Viviana Callegari/Eliza Oanca
maschere Silvia Bragagnolo e Simone Derai
costumi Serena Bussolaro Simone Derai
musiche e sound design Mauro Martinuz

video Simone Derai e Giulio Favotto
con Domenico Santonicola (Socrate), Piero Ramella (Alcibiade), Francesco Berton, Marco Ciccullo, Saikou Fofana, Giovanni Genovese, Elvis Ljede, Jacopo Molinari, Piermaria Muraro, Massimo Simonetto
riprese aeree Tommy Ilai e Camilla Marcon
concept ed editing Simone Derai e Giulio Favotto
direzione della fotografia e post produzione Giulio Favotto / Otium
regia Simone Derai

produzione Anagoor
co-produzione Festival delle Colline Torinesi, Centrale Fies

progetto realizzato con il sostegno del bando ORA! Linguaggio contemporanei produzioni innovative della Compagnia di San Paolo

Premio Rete Critica 2016 – spettacolo dell’anno
Candidato come spettacolo dell’anno ai Premi UBU 2016
Premio della Critica 2016, Associazione Nazionale Critici del Teatro

Visto al Teatro Studio Melato 11 aprile 2018

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