MONICA VARRESE | Che cosa fa di una madre una buona madre? Lo psicanalista e psichiatra francese Jacques Lacan avrebbe forse citato Freud, che nella sua opera Progetto di una psicologia, restituisce un’immagine potente della maternità, incarnandola nel ruolo del “primo soccorritore” – colei che risponde alla domanda di aiuto – come accade nel film La madre di Torino di Gianni Bongioanni (1968), che partendo da un fatto di cronaca, racconta della forza feroce di una donna che per ore afferra le mani di suo figlio, a penzoloni nel vuoto dopo essere scivolato dal balcone di casa.
La scena di questo film è rimasta impressa anche nella mente dello psicanalista lacaniano Massimo Recalcati, che riprende nel saggio Le mani della madre. Desiderio, fantasmi ed eredità del materno, in cui analizza il ruolo della genitrice: per essere una buona madre è necessario continuare anche a essere donna e a non perdere il proprio ruolo sociale all’interno della collettività. Le madri che mettono da parte i propri interessi tendono anche a inglobare l’esistenza del figlio, come in una eterna gravidanza. Lacan le chiama “madri coccodrillo”, che con le loro fauci spalancate sono pronte a divorare il proprio frutto.
Il doppio volto della patologia della maternità è il tema di ZŁA MATKA/ LA CATTIVA MADRE, che ha segnato l’esordio alla regia di Karolina Porcari, in scena con Małgorzata Bogdanska, nell’ambito del percorso CUORE DI POLONIA, focus sulla femminilità rivolto alla multidisciplinarietà e alla cultura internazionale, promosso a Lecce da Cantieri teatrali Koreja con il sostegno dell’Istituto Polacco di Roma.
La scena è vuota, tutto a vista. In fondo alla scena solo un tavolo che raccoglie la strumentazione del musicista e qualche sedia. Il pubblico entra in sala e le attrici stabiliscono subito una relazione, la cercano, si riscaldano. Tutto è svelato, sono lì per raccontarci una storia, senza maschere né finzioni.
ZŁA MATKA nasce dalla mente di Karolina Porcari, mamma anche lei, che ha sentito la forte urgenza di analizzare la condizione della donna contemporanea, incapace nella dimensione della maternità di essere “qui ed ora”, una donna multitasking (figlia, amica, sorella, madre, moglie, amante). La Vergine Madre perde la sua aura: non c’è spazio per madri madonne ma urlatrici, che hanno perso il controllo della mente, e soprattutto del corpo.
Allora come dovrebbe essere la donna ideale, la Superdonna? La scrittura ironica di Krzysztof Szekalski, uomo senza figli, offre molti spunti leggeri e divertenti che dopo un’analisi più profonda, restituiscono la realtà amara dei nostri tempi: le donne vivono ancora oggi in una società fortemente maschilista, in cui “se hai le palle” puoi arrivare dove vuoi, anche se: «Superman non conosce la vita, Superdonna sì».
Le coreografie di Izabela Chlewińska, che accompagnano il lavoro attoriale conducendo alla giusta energia per entrare in battuta, restituiscono svariate immagini: dalla madre-sanguisuga che soffoca il figlio alla figlia-cardo che non riesce a recidere il cordone ombelicale. Nonostante la forte ironia presente nel testo, in ZŁA MATKA le donne sono goffe, frammentate, spezzate. Dalle danze seducenti della prima parte, il corpo cambia e diventa vittima di una mutazione, che incarna il doppio volto della patologia della maternità: da una parte il cannibalismo divorante, dall’altra la difficoltà di amare: «A volte ti odio ma poi passa», recita il monologo giocato da Małgorzata Bogdanska.
Nel saggio sopracitato Recalcati passa dalla definizione di “madre coccodrillo” di Lacan, psicopatologia della maternità del passato patriarcale, a quella di “madre narciso” che riflette la maternità moderna. Questa tipologia vive la dimensione della maternità come se fosse un handicap, anche sociale, al proprio essere donna, come accade a Charlotte nel film Sinfonia d’autunno di Ingmar Bergman o in Mommy di Xavier Dolan, in cui Diane affida il figlio problematico alla legge e dopo una serie di sacrifici che la costringono ad annullarsi in quanto donna, sul finale esplode e afferma di voler essere finalmente “vincente su tutta la linea”.
Il lavoro drammaturgico di Krzysztof Szekalski è ricco di rimandi e suggestioni, che trovano corpo in una scrittura tagliente, fatta di battute e risposte incastrate in un ritmo della parola “estranea” (lo spettacolo è in polacco con sovratitoli in italiano). Nonostante questo, che in un primo momento potrebbe risultare complicato ai più, la storia è di facile fruizione, proprio perché mediata dalle partiture fisiche e da un acting sempre centrato sul senso della parola da restituire a chi ascolta. Il lavoro drammaturgico è costituito da una ricerca approfondita, in cui si articolano le testimonianze di donne che hanno raccontato l’esperienza del divenire madre e quelle delle mamme blogger nella giungla del web. A queste, si incastrano i racconti della scrittrice inglese Rachel Cusk, A Life’s Work: on becoming a Mother (Puoi dire addio al sonno: cosa significa diventare madre) e Arlington Park. Dopo aver dato alla luce tre bambini, l’autrice prova a mettere a fuoco una riflessione su cosa comporti oggi il vissuto della maternità, un momento spesso idealizzato ma che nasconde anche “stanze buie”: responsabilità, paure, aspettative, in bilico tra il desiderio di indipendenza e il forte attaccamento alla creatura – lo definisce the mother kid (il bambino madre) – due entità legate da un cordone ombelicale che non si reciderà mai.
Il monologo di Karolina, tratto da Lettera a un bambino mai nato di Oriana Fallaci è l’unica parte del lavoro giocata in italiano, in cui prendono corpo i timori connessi alla responsabilità di dare alla luce un bambino (maschio o femmina), costringendolo a vivere in una società-formicaio/ingranaggio:
“Mi son sempre posta l’atroce domanda: e se nascere non ti piacesse? E se un giorno tu me lo rimproverassi gridando “Chi ti ha chiesto di mettermi al mondo, perché mi ci hai messo, perché?”. La vita è una tale fatica, bambino. È una guerra che si ripete ogni giorno, e i suoi momenti di gioia sono parentesi brevi che si pagano un prezzo crudele.”
Quest’opera rivoluzionaria, pubblicata nel 1975, affronta temi che anticipano notevolmente la generazione in cui la Fallaci viveva: la maternità di una donna che lavora, non sposata e impegnata in una relazione instabile, le rinunce, i sacrifici, le responsabilità, le paure, l’aborto. Il rimando è chiarissimo: la Polonia ha una delle legislazioni sull’aborto più restrittive d’ Europa. Il parlamento ha recentemente respinto una proposta di legge che avrebbe portato una minima liberalizzazione al diritto di aborto e ha rimandato in commissione un’altra proposta che impone nuove restrizioni, come ad esempio in caso di malformazione del feto. La forza del lavoro sta proprio nel trattare temi così vasti, facendosi scudo di una leggerezza che diventa un macigno passo dopo passo.
Le musiche di Daniel Pigoński, in scena dall’inizio e armato delle sue apparecchiature synth, contribuiscono armonicamente ai cambi e alla restituzione delle sensazioni, che passano da atmosfere sonore più trascinanti ed elettroniche a tappeti sonori più ovattati, che si articolano nella ricerca di un suono attutito, come quello delle pulsazioni del cuore.
Scivolando nel finale, Karolina rompe la quarta parete e racconta la sua storia, una matassa intricata di cui lei è una dei fili. Ulteriori riflessioni nel senso della leggibilità scenica possono essere fatte sui monologhi, trasferendo il proprio vissuto all’interno del materiale drammaturgico senza togliere completamente il velo della finzione, per lasciare allo spettatore qualche domanda aperta su cui riflettere, una volta tornato a casa. Anche uno studio più approfondito del disegno luci, consentirebbe di spostare i vari focus e creare atmosfere, che al momento risultano ibride: è questo un ambito su cui è possibile qualche ulteriore pensiero di integrazione delle tecniche.
La valenza interdisciplinare delle tematiche che ruotano attorno a ZŁA MATKA, hanno portato ad una successiva collaborazione dei Koreja con SIPNEI (Società italiana di Psico-Neuro-Endocrino-Immunologia) in collaborazione con il reparto di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale “San Giuseppe da Copertino”, che ha fortemente sostenuto l’idea di intraprendere “in Utero”,un percorso che avvicini le gestanti e le famiglie all’arte, al fine di migliorare lo scambio emozionale fra madre e feto. Uno studio condotto dalla Dottoressa Arianna Dell’Anna e condiviso nell’incontro post spettacolo, analizza il ruolo cruciale dell’ambiente sulla formazione del feto, che a sua volta interagisce con il corpo della madre, modificando il suo asse genetico. Fu nel 1986 che l’epidemiologo David Barker ipotizzò la teoria dell’origine fetale di alcune patologie, derivanti da un cattivo stato di nutrizione della madre che induce delle modifiche endocrino-metaboliche nel nascituro. Un esempio emblematico è il caso dei figli nati da madri in gestazione durante “l’inverno di fame” nell’Olanda della seconda guerra mondiale: nei bambini nati in quel periodo si è riscontrato un notevole aumento dell’incidenza di patologie cardiovascolari e psichiatriche.
Sulla base di questo, altri studi sono stati condotti prendendo in esame l’ambiente, al fine di comprendere il suo ruolo nella formazione del feto: uno studio condotto sui bambini di Sarajevo trasferiti dagli orfanotrofi, ha dimostrato una maggiore evoluzione del senso della vista nei bambini privati dell’accudimento materno, al contrario degli altri, nei quali il rapporto madre-figlio ha migliorato la sensibilità tattile, ristabilendo l’equilibrio tra i due emisferi encefalici.
Dunque chi sta bene in gravidanza protegge i propri figli, e un modo per stare bene è anche andare a teatro, come hanno fatto le gestanti presenti in sala, per le quali è stata anche prevista una riduzione. Questo è uno spettacolo che diventa progetto sociale, mettendo in discussione la realtà e esplorando temi che sono validi ovunque, in Polonia così come in Italia.
«My body, my choice», uno slogan così semplice eppure così potente.
ZŁA MATKA/ LA CATTIVA MADRE
Ideazione e regia di Karolina Porcari
Con Karolina Porcari e Małgorzata Bogdanska
Testi di Krzysztof Szekalski
Musiche di Daniel Pigoński
Coreografie di Izabela Chlewińska
Realizzato con il sostegno dell’Istituto Italiano di Cultura di Varsavia
Cantieri Teatrali Koreja, Lecce
4 maggio 2018