DOMENICO COLOSI | Una patologica impreparazione al consumismo. Una famiglia come tante, felice o infelice al di là di incipit tolstojani, attraversa l’era del capitale sulla Zattera della Medusa della consanguineità: all’inconfondibile frusciare delle banconote si ripete il refrain dell’homo homini lupus, Wall Street ammanta della sua ombra il mondo intero.
Il giovane drammaturgo tedesco Philipp Löhle riversa in Bandierine al vento tutto il suo disgusto per la società dell’apparenza, con una vena di misantropia ad aleggiare sulle vicende di un nucleo familiare banalmente borghese, privo di un approccio esistenziale che vada oltre una molesta e grigia mediocrità quotidiana. Nel passaggio dalle freddure teutoniche all’agrodolce italiano, la compagnia trentina Evoè!Teatro valorizza citazioni ed ellissi drammaturgiche, esaltando il ritmo sulla riflessione, l’accumulo sull’ordine. Scelta strategica evidenziata dalla costruzione della scena firmata da Sandra Dekanic, una casa-deposito di oggetti senza tempo con degli alti e ingombranti paraventi semoventi a sezionare variamente il palcoscenico; in aggiunta anche sacchi neri per i cambi d’abito, simbolici copertoni per le scorribande on the road, uno schermo per un lynchiano tv noise, tavolini richiudibili in comode valigette. Ad agitare la trama padre (Silvio Barbiero), madre (l’ammaliante Clara Setti) e due figli (Marta Marchi e un Emanuele Cerra in versione Stewie dei Griffin) a fronteggiarsi continuamente nella curva sinusoidale delle fortune economiche, dalle vacanze estive vissute da reclusi in città ai fulmini della rivoluzione tecnologica: un’impotente disoccupazione incombe sul pater familias, trauma cui discendono, a cascata, ridicole corse all’oro e alla dignità in un feroce paragone con vicini e conoscenti. L’album di famiglia più volte evocato con il sapiente gioco di luci di Luca Brun è destinato a diventare selfie individualista: dai colori caldi della commedia al gelo della solitudine, mentre scorrono in sottofondo le varie confessioni dei quattro membri della famiglia.
In parte penalizzato dallo spazio ridotto della Sala Bausch dell’Elfo Puccini, lo spettacolo risulta spesso debitore in egual misura di un certo immaginario post-boom italiano (i film di Luciano Salce e Dino Risi, vaghe riflessioni bianciardiane) e della commedia tedesca contemporanea (Good Bye, Lenin! su tutti) con una soundtrack pop senza particolari intuizioni (tra gli altri AC/DC, Sister Sledge e Prince): i frequenti didascalismi sono compensati da una recitazione carismatica, la regia di Toni Cafiero gestisce nudi integrali e stacchetti comici con una bonomia di fondo che evita risvolti neri al disagio dei protagonisti.
In una affabulazione che fa quasi eco ad un apologo di Voltaire, ricorre lungo Bandierine al vento la triste sorte dell’isola di Nauru (Oceania), la più piccola repubblica al mondo: prima tranquillo luogo di pescatori, poi territorio conteso dalle più spietate compagnie europee avide del prezioso fosfato locale, oggi eden popolato da ricchi obesi finalmente proprietari del proprio destino minerario. Così il paradiso in terra: un meraviglioso cupio dissolvi.
Bandierine al vento
di Philipp Löhle
traduzione di Nadja Grasselli
regia Toni Cafiero
con Clara Setti, Silvio Barbiero, Marta Marchi, Emanuele Cerra
scene e costumi Sandra Dekanic
coreografia Maura Di Vietri
luci Luca Brun
produzione Evoè!Teatro
con il contributo di Fondazione Caritro, Provincia Autonoma di Trento, Comune di Rovereto – Assessorato alla Cultura e della Cassa Rurale di Rovereto e il sostegno di Echidna Cultura e Smart lab
Milano, Teatro Elfo Puccini (rassegna “Nuove storie”), 17 maggio 2018