LAURA BEVIONE | Diventa maggiorenne il festival Interplay che, dal 21 al 31 maggio, abiterà eterogenei spazi di Torino e della sua immediata cintura – il Castello di Rivoli, la Lavanderia a vapore di Collegno – con ben cento artisti, paradigmatici di quanto accade sulla scena – italiana e internazionale – della danza contemporanea.
Abbiamo dialogato con Natalia Casorati, infaticabile direttrice artistica della rassegna e presidente dell’Associazione Culturale Mosaico Danza, attiva fin dal 1994, allorché iniziò a farsi conoscere ai torinesi organizzando insolite rassegne di danza all’interno delle gallerie d’arte.
Interplay è arrivato alla sua XVIII edizione. Se dovessi definire la tua rassegna, utilizzerei i termini ostinazione e passione: credi che possano descriverla adeguatamente?
Sono due sostantivi che mi piacciono molto, perché questi diciotto anni sono stati caratterizzati proprio da ostinazione e passione. Passione per i giovani artisti che abbiamo ospitato e che abbiamo aiutato a crescere, organizzando fra i primi in Italia residenze di creazione e ospitando i lavori di tanti che poi si sono affermati, nel nostro paese e all’estero. Ostinazione perché per Interplay ogni anno faccio una scommessa con me stessa e i miei collaboratori: partecipare ai bandi, lavorare coordinandoci con la rete dei molti network internazionali di cui l’Associazione Mosaico e il festival fanno parte. Selezionare gli artisti e le compagnie è un lavoro gigantesco per una piccola realtà come la nostra.
Quali sono i leitmotiv dell’edizione 2018?
La qualità dei lavori è quella che determina le mie scelte. Il livello della danza è alto, gli spettacoli sono entusiasmanti e sempre di più mescolano media differenti: in questo senso credo che la coreografia contemporanea sia sempre più aperta alle contaminazioni con le altre discipline e che i giovani creatori guardino con curiosità e capacità a un mondo in cui il mescolarsi fra i generi è una nuova realtà.
Molti i giovani coreografi ospitati: qual è la situazione della danza contemporanea, in Italia e all’estero?
Il panorama della danza sia nazionale che internazionale è molto vivace, solo che all’estero le opportunità di ottenere sostegni alla produzione e alla circuitazione sono decisamente maggiori. Vedi Matteo Marfoglia, il giovane coreografo che ospitiamo in apertura di festival [con lo spettacolo Crossword]: ha scelto di vivere e lavorare in Gran Bretagna e ha già ottenuto dal governo un importante sostegno economico per i prossimi anni. In Italia le cose stanno lentamente cambiando, anche grazie a iniziative promosse da operatori attenti che tramite progetti di rete attivano iniziative a sostegno dei giovani coreografi. Penso alla rete Anticorpi XL. Così come l’importante riconoscimento ministeriale rispetto alle residenze coreografiche di danza, un cambiamento epocale.
Il cartellone comprende anche numerosi progetti, alcuni legati alla formazione: perché questa scelta?
Da sempre credo che il successo del festival passi necessariamente attraverso la formazione di un nuovo pubblico. In questo senso è ormai storica la nostra collaborazione con Krapp’s Last Post per il progetto YC4D Youngest Critics for Dance, che ha tracciato un nuovo percorso di formazione del pubblico e dei nuovi critici realizzato con i ragazzi delle scuole superiori. Per gli studenti del DAMS dell’Università degli Studi di Torino cresce e da quest’anno propone anche le Learning Sessions con un programma di lezioni di docenti professionisti del mondo della danza.
E, aggiungiamo noi, c’è anche un’inedita collaborazione con il Corso di laurea di fisioterapia/Scuola di Medicina dell’Università di Torino al fine di colmare l’assenza di letteratura scientifica riguardo le problematiche fisiche dei ballerini di danza contemporanea: forse perché, a differenza dei calciatori o dei ballerini classici, sovente non possono permettersi cure né tanto meno pause terapeutiche…