MARGHERITA SCALISE e RENZO FRANCABANDERA | MS: Lo spettacolo Il regno profondo. Perché sei qui? è la terza parte del ciclo Il regno profondo di Claudia Castellucci e ha debuttato lo scorso Novembre. Rispetto alle due parti precedenti, La vita delle vite e Dialogo degli schiavi, questo terzo atto si arricchisce della presenza in scena, insieme a Claudia, di Chiara Guidi, che qui guida anche la regia vocale.
RF: Parliamo di due delle fondatrici della Societas Raffaello Sanzio, una delle massime compagnie, un’istituzione direi, nella ricerca sulle arti sceniche in Italia. Da alcuni anni i fondatori sono impegnati per lo più in progetti individuali, che li hanno portati a ricercare nella direzione a ciascuno più consona per indole e passione: lo spazio e il movimento per Claudia Castellucci, la voce e il suono per la Guidi. Qui siamo in uno spazio di incontro.
Abbiamo visto il lavoro nella rassegna teatrale estiva Da vicino nessuno è normale, con la direzione artistica di Rosita Volandri, presso Olinda – ex Paolo Pini di Milano.
Un dialogo filosofico, un’operetta morale, uno spettacolo surreale. Questo allestimento è tutte e nessuna di queste cose, ma inizia (e ci lascia poi) con degli interrogativi.

Perché-sei-quiMS: Ancor prima di entrare in sala, il pubblico è interrogato dal titolo: Perché sei qui? L’ingresso in sala pone altre domande: al centro della scena un palco bianco, austero, con due microfoni ad altezze leggermente differenti e due sedie di legno, laterali. Nell’aria aleggia una nube di fumo, che rende solida la luce, quasi a pioggia, posizionata sopra al palco; un palco che potrebbe essere un podio, un altipiano imbiancato, un vecchio ring da boxe spogliato dalle corde. Sul fondo, un piccolo telo bianco da proiezioni. Perché sono qui? Qui dove? I quesiti non si sciolgono all’ingresso delle due attrici. Claudia Castellucci e Chiara Guidi entrano e si posizionano davanti ai rispettivi microfoni, enigmaticamente vestite con due austeri tailleur in tweed e calze scure, in mano due quadernetti neri. La lettura inizia, ed è subito chiaro che le domande saranno le grandi protagoniste della serata. Il testo, scritto da Claudia Castellucci, è un dialogo potentissimo con se stessi, con la parte più intima di sé, con quel “regno profondo” che sappiamo tutti abitare dentro di noi. Domande che sfidano Dio, che interrogano la libertà, la volontà, che mettono in discussione tutto, fino al proprio nome e al proprio desiderio di restare vive. Domande che conducono ad altre domande, senza mai approdare a risposte o certezze, anzi continuando a scavare e arrivando all’osso della sincerità. Le due donne si addentrano in questioni sempre più sottili, tentando risposte che non si reggono in piedi a lungo: sembrano due anziane ragazzine. Infatti solo chi ha serbato dentro di sé, crescendo, una curiosità insopprimibile può arrivare a porre domande tanto semplici con tanta onestà. Anche Kundera ne L’insostenibile leggerezza dell’essere teorizza che “Solo le domande più ingenue sono veramente serie. Sono domande per le quali non esiste risposta.”

RF: Il senso di questo testo, nella parte iniziale, è quello dell’invettiva dell’essere vivente contro il suo creatore, contro il determinismo nell’esistenza originata da un principio superiore onnisciente. Una sorta di: “Che mi hai creato a fare se poi non sono realmente libero di essere me stesso, se dentro di te tutto è noto, tutto esiste, tutto è già contemplato, predeterminato? Cosa esisto a fare?”
Singolare come in questa parte il tono vocale delle due interpreti, questione peraltro centrale della creazione, rimandi verso il mondo delle macchine, quasi che, prive della libertà di essere, finanche le forme viventi non possano che essere pensate che robot nelle mani di un’entità programmatrice ulteriore. Viene alla memoria il dialogo di Roy, androide protagonista di Blade Runner, con il suo creatore, il professor Tyrell, in cui la creatura chiede al suo creatore, di essere riprogrammato, di avere “più vita”.
Le due donne leggono una partitura vocale, sono cantrici di un coro di esistenti resistenti, che cercano ragione del loro essere in vita.

MS: La forma scelta per lo spettacolo è quella della lettura drammatica: Chiara Guidi dirige con colpi di mano decisi una monodìa ritmica, in cui la sua voce e quella di Claudia Castellucci si fondono e sprofondano. Gradualmente le due voci si distaccano, diventando una raffinatissima polifonia a due ed approdano solo alla fine a un dialogo vero e proprio. Inizialmente monotòna, la partitura viene attraversata da scariche alte e grevi, mentre la lingua si arricchisce di risonanze dialettali – un dialetto non riconducibile ad una regionalità specifica, ma più profondamente aggrappato nella pancia della cultura popolare italiana.

RF: Una polifonia che in realtà racconta il rapporto fra uomo e divinità, ma anche del rapporto fra le parti del sé, i dubbi dell’identità profonda che entra in dialogo con le parti che negli altri esseri viventi ci corrispondono. Persino in questo determinismo pessimistico, paiono dirci le due artiste, il risvolto filosoficamente più ricco è nel cercare quello che nelle altre creature viventi ci corrisponde, risuona, ci permette di abitare e dialogare. E’ l’unica forma che consente allo spirito di elevarci dalla banalizzazione semantica del mondo attorno.

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disegni realizzati dal vivo durante lo spettacolo da Renzo Francabandera

MS: Tanto il tenore di incertezza regna nel testo detto, quanto la certezza ìmpera nelle parole proiettate sul fondo, che prendono spazio in due momenti dello spettacolo. La luce scolpisce nomi di insegne di negozi e leggi statuarie (come “IO VEDO, IO LEGGO, IO CREDO”). La pubblicità tenta l’essere umano a una facile risoluzione delle proprie domande.

RF: Violente come un ipotetico banner pubblicitario dentro il testo di Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, le videoproiezioni  che interrompono la recita delle due, ci riportano dal piano del pensiero a quello dell’attualità, del povero oggi, provocando il brusco atterraggio dello sguardo sulla miseria delle parole che ci girano intorno. Forse anche uno stimolo su quanto la funzione visiva, per i fruitori di contenuti massmediali, sia impoverente rispetto all’ancestrale e ipnotica suggestione uditiva del coro tragico. Una sorta di ribellione della vocalità sulla supremazia dello sguardo.

MS: Il piano della dinamica presenta una contrapposizione: mentre le voci e il suono muovono l’aria con una continua vitalità, i corpi sono apparentemente fermi. I pochissimi movimenti comportano il loro sdraiarsi per terra durante le proiezioni e, alla fine, la discesa di Chiara Guidi dal palco per sedersi su una delle due sedie. In una breve sezione le due attrici ruotano su se stesse, spostate sul proprio asse da due porzioni di palco rotanti; questo è il momento dedicato alla affatto trascurabile domanda sul proprio nome. “Come chiami te stessa?” “Paola”, risponde Claudia, con uno scollamento evidente tra sé e un ipotetico qualsiasi Io che può farsi queste domande. La ripetizione in varie forme del quesito – mentre la risposta rimane sempre la stessa – crea un ritmo ironico per nulla scontato.

RF: Un coro tragico, dicevo prima, ma direi meglio tragicomico, perchè la creazione non abdica alla cifra di spingersi verso il parossismo del delirio a due. Anzi, se proprio una profondissima onestà sul teatro arriva da questo lavoro, mi pare sia proprio nello spazio dell’assurdo. Ad un certo punto riflettevo sulla circostanza che non avrei più potuto vedere rappresentate Le serve di Genet, o Beckett, Ionesco, Pinter, senza questa profondità, questo gioco di dentro e fuori, questa analisi profonda del verso della parola, della sua inclinazione nel senso denso di sé. Il regno profondo è quello della ricerca del significato oltre ogni significante. E il messaggio ci arriva con una lectio magistralis di tono certamente ironico, dove la forma quasi risucchia il senso delle parole.

MS: L’ironia fa parte di questo spettacolo. È un ingrediente inaspettato ma felicemente accolto dal pubblico, il quale si ritrova a ridere di una relazione che sottilmente e abilmente le due interpreti creano. L’ironia aiuta a osservare in maniera ancor più privilegiata la portata degli interrogativi che vengono posti, e a permettere ad ogni spettatore di lasciarsi toccare dalle domande e, forse, a provare ad avanzare nel suo intimo delle risposte. Perché sei qui? Per ricominciare dalle domande, rimanendo liberi di non trovare subito una risposta. La potenza delle presenze di Claudia Castellucci e Chiara Guidi riesce a far scendere ciascuno nel proprio regno profondo, e scuote le radici della nostra esistenza.

RF: In fondo, il tema è anche: Qui dove? A teatro o forse a questo mondo, in vita? E quindi la domanda potrebbe essere proprio sul perchè siamo qui inteso come perchè esistiamo.
Ma per sineddoche al contrario, allora, il duo ci sta anche ribadendo che il teatro è rappresentazione in miniatura della vita, sintesi dell’universo, e che quel ring è proprio lo spazio vitale che a ciascuno di noi è destinato. Finito il quale…”Ciao”, si scompare. Come loro a fine spettacolo: Ciao e via.

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IL REGNO PROFONDO. PERCHE’ SEI QUI?

scritto da Claudia Castellucci
regia vocale di Chiara Guidi
interpretato da Claudia Castellucci e Chiara Guidi
musiche Scott Gibbons, Giuseppe Ielasi
direttore tecnico Eugenio Resta
fonico Andrea Scardovi
organizzazione Elena De Pascale e Stefania Lora
produzione Societas

Da vicino nessuno è normale 2018

Olinda, ex Ospedale Psichiatrico Paolo Pini

19 giugno 2018