LAURA BEVIONE | Oramai pare essere diventato uno sport, divertente (!) e non troppo faticoso: criticare le scelte delle direttrici artistiche – accadrebbe lo stesso se fossero uomini, mah… – del festival di Santarcangelo, accusandole di sperperare denaro pubblico per spettacoli definiti osceni e offensivi della presunta morale pubblica.
Qualche anno fa fu Silvia Bottiroli a essere attaccata, oggi lo sono Eva Neklyaeva e Lisa Gilardino, oggetto dell’ira di esponenti del centrodestra di Santarcangelo e provincia – amplificata dalla stampa locale e sfociata in un esposto in procura – per avere commissionato e ospitato la performance Multitud, realizzata dall’artista uruguaiana Tamara Cubas con una settantina di ragazzi – tutti rigorosamente maggiorenni – della cittadina romagnola.
Come segnalato sul catalogo del festival e ribadito dalle stesse direttrici prima dell’inizio della performance – messa in scena nelle prime tre serate del festival in diversi luoghi pubblici – essa avrebbe contenuto scene di nudo. Ecco dunque il motivo dello scandalo: la nudità – parziale ovvero integrale – dei performer – alcuni, in realtà, hanno continuato a indossare i propri abiti a segnalare la libertà concessa dal’artista. Nudità esposta non nel chiuso di un teatro ma all’aperto, visibile a chiunque, famigliole comprese…
La pretestuosità dell’accusa è evidente: il corpo nudo è oggetto dell’arte fin dalla notte dei tempi e il carattere più o meno pornografico ovvero scandaloso della sua esposizione dipende tanto dall’intenzionalità dell’artista quanto dalla limpidezza dello sguardo dello spettatore.
Venerdì scorso, nella centrale piazza Ganganelli, assistendo senza preconcetti né malizia alla performance di Tamara Cubas, abbiamo visto giovani che, per ottanta minuti, incarnavano le complesse dinamiche che governano la coesistenza degli esseri umani in una comunità: avvicinamento e presa di distanza, contatto fisico aggressivo ovvero affettuoso, scoperta dell’altro e messa in discussione del proprio sé. E, in questo contesto, l’atto dello spogliarsi diviene naturale gesto di accostamento all’altro ma anche testimonianza di una piena accettazione del proprio io, anima e corpo finalmente uniti e non contrapposti: è osceno tutto ciò? O, forse, il vero problema nasce dal fatto che, come qualsiasi opera d’arte definibile tale, costringe lo spettatore a confrontarsi con le proprie fragilità e i propri pensieri preconcetti?
Gli attacchi a Multitud ne confermano, paradossalmente, la validità artistica e mostrano la povertà di argomento di chi attacca un festival che, fra l’altro, fa del rapporto vitale con il territorio uno dei suoi punti di forza. Lo testimonia il successo di Chroma Keys, la performance site specific con la quale i Motus hanno mostrato un’insospettata vena intelligentemente ludica, coinvolgendo un’entusiasta piazza Ganganelli nella propria personalissima rilettura di classici del cinema.
E, se non bastassero gli applausi per i Motus, citiamo la concentrata attenzione per la performance Unravelling Vein dell’artista bolognese Sissi che, allo Sferisterio, oggettivizza il complesso sistema di grotte e cunicoli che percorre il sottosuolo di Santarcangelo in una matassa colorata che avvolge attorno al proprio corpo e poi dipana a creare percorsi fluidi e armonici.
O, ancora, la commozione dei genitori dei bambini coinvolti dall’artista greca Panagiota Kallimani nel progetto Arrêt sur image: seduti ai banchi in un’aula della scuola Pascucci i giovanissimi interpreti – dai sette ai tredici anni – sperimentano la forza della lentezza, modalità lontana dalla frenesia dell’infanzia e della pre-adolescenza. Nella semi-oscurità, concentrati e coinvolti, i bambini eseguono brevi movimenti, spostano di lato il banco, si alzano sulla sedia, irrompono in una danza sfrenata per poi bloccarsi e recuperare la calma iniziale. Un esperimento sulle proprie capacità di mantenere e vivere la quiete che tanto insegna anche agli spettatori adulti.
Un invito alla riflessione meditata che, purtroppo, non è stato accolto dai soliti contestatori del festival di Santarcangelo, accusato di oscenità ma anche di essere politicamente schierato. Critica quest’ultima che, in verità, è riconoscimento di un punto di forza della rassegna, ovvero quello di proporsi come osservatorio privilegiato di quanto avviene nella realtà contemporanea, riflettendola e cercando di interpretarla.
Quest’anno tema del festival è Cuore in gola, ovvero la paura, quella di guardarsi allo specchio e di riconoscersi fragili. Meglio allora rimettere la testa sottoterra e gridare all’onnipresente scandalo…
Santarcangelo di Romagna (RM), spazi vari, 6-7 luglio 2018
MULTITUD
coreografia Tamara Cubas
luci Leticia Skrycky, Sebastian Alies
musica Francisco Lapetina
interpreti un gruppo di 70 partecipanti del territorio
produzione Perro Rabioso
CHROMA KEYS
di Enrico Casagrande, Daniela Nicolò, Silvia Calderoni
tecnica e video design Paride Donatelli, Andrea Gallo, Alessio Spirli
produzione Motus, Santarcangelo Festival
UNRAVELLING VEIN
Ideazione e interpretazione Sissi
ARRÊT SUR L’IMAGE
ideazione e coreografia Panagiota Kallimani
produzione Florence Francisco, in coproduzione con Santarcangelo Festival