DAVIDE NICCOLINI | Il 3 marzo alle ore 21:00 e il 4 marzo alle ore 17:30 il teatro Era di Pontedera ha ospitato lo spettacolo I bei giorni di Aranjuez, opera scritta dall’austriaco Peter Handke, tra i più importanti drammaturghi contemporanei. L’intero spettacolo si svolge attorno al dialogo dei due protagonisti, interpretati da Giovanna Daddi e Dario Marconcini, che recitano insieme da oltre cinquant’anni e da altrettanto tempo sono una coppia nella vita.

Anche se essenziali, il fondale della scena e le luci riuscivano a creare un’atmosfera intima e raccolta. All’inizio uno sfondo rappresenta “La signora in giardino” di Monet: si ascoltano cinguettii e fruscii di foglie leggere in sottofondo, musiche che travolgono l’anima, che fanno subito pensare ad un contesto caldo ed estivo. Sopraggiunge il buio e entrano i due protagonisti, che siedono ad un tavolo posto obliquamente rispetto al pubblico. Sono in campagna, in un giardino evocato dalle descrizioni dei due signori: gli spettatori riescono a vedere chiaramente l’ambiente come se fosse veramente sul palcoscenico, ora gli alberi, ora i frutti e gli animaletti di cui possiamo udire i versi. Dietro di loro viene proiettata un’intensa luce gialla, ripresa dai quadri di Gauguin, che mette in forte controluce i protagonisti, di cui possiamo notare le differenti siluette: dolce, quella della donna, più marcata quella dell’uomo. Il tavolo posto al centro della scena non ha solo un significato denotativo, bensì lo possiamo connotare come distanziatore tra i due, che sembrano non volersi mai avvicinare troppo con il corpo. Su di esso delle mele, forse delle allegorie riferite ai frutti mitologici dell’Olimpo. Non conosciamo chi siano i due interlocutori, forse due amici, forse due amanti, o ancora degli sconosciuti.

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Ciò che è sicuro è che abbiano stipulato un patto; si porgono delle domande l’un l’altra alle quali devono rispondere in modo preciso e accurato, descrivendo minuziosamente i fatti raccontati. Queste descrizioni possono talvolta appesantire lo spettacolo rendendolo meno incalzante. Solitamente è l’uomo a porgere le domande e la donna risponde tentando di far riaffiorare vecchi ricordi di quando era giovane o esponendo propri pensieri sulla vita, sull’amore, sul genere maschile e quello femminile.

La recitazione della donna è sicuramente quantitativamente preponderante rispetto a quella dell’uomo, più taciturno. Quest’ultimo si immette nella conversazione parlando di cose semplici, dei suoi viaggi ad esempio: racconta di una volta, da giovane, quando andò ad Aranjuez, una cittadina spagnola che somigliava ad un grande parco e ospitava il castello reale. L’uomo ricorda la piccola cittadina spagnola come un luogo idilliaco e puro, che lo attraeva come adesso, in vecchiaia, lo attrae quel giardino fiorito nel quale è immerso.

Proprio ora i due signori devono lasciare quel luogo incantato, e il giorno successivo tornare in città; assistiamo forse al loro ultimo dialogo, all’ultimo momento di quiete prima di tornare alla vita di tutti i giorni.

L’uomo divaga ripetutamente e ammira il giardino, pensa ai bei giorni che sta trascorrendo, rimpiange il passato, è deluso e sconcertato per il futuro, è provato al pensiero di soggiornare ancora per poco in un luogo pieno di pace e bellezza come quello. Viene infastidito dai racconti della donna, dal linguaggio schietto che lei a volte usa, dal fatto che ha avuto molte esperienze con tanti uomini diversi: ma la gelosia non sembra essere di quell’uomo in particolare, è quella che da sempre gli uomini nutrono verso le donne. Lei continua diritta nei suoi racconti di quando era giovane, senza perdersi, perseverando nella narrazione: nutre ancora speranza, forse verso la ricerca dell’amore, della pienezza della vita.

L’autore forse cerca di racchiudere entro due involucri distinti il genere maschile e quello femminile. Probabile che i due signori siano stati caratterizzati a simboleggiare il prototipo del maschio e della femmina, visto che non hanno neppure un nome con il quale chiamarsi.

Un finale ricco di intensità corona la pacata conversazione: arrivano improvvisamente suoni forti, i tipici rumori cittadini. La donna continua a narrare come se fosse esterna a tutto ciò, e l’uomo viene colto da un’ira improvvisa. Giovanna e Dario, forse per il feeling coniugale oltre che teatrale, riescono a rendere lo spettacolo ricco di erotismo, di intese, di sguardi mancati e di silenzi raccontanti. Alla fine la donna si scopre una spalla e si scioglie i capelli, segno che né il tempo, né la vita, hanno fatto appassire il suo animo ancora brulicante di passione e in cerca di completezza.

 

Di Peter Handke
Con Dario Marconcini e Giovanna Daddi
Palcoscenico Riccardo Gargiulo e Maria Cristina Fresia
Luci Riccardo Gargiulo
Impianto sonoro Flavio Innocenti
Regia Dario Marconcini
Produzione Associazione Teatro Buti