RENZO FRANCABANDERA | Cresciuta moltissimo negli anni, arriva nel 2018 alla 34° edizione il Festival Internazionale Bolzano Danza organizzato dalla Fondazione Haydn di Bolzano e Trento con il supporto di realtà pubbliche e private del territorio, in programma fino al 27 luglio, tra grandi nomi di fama mondiale e giovani artisti della scena nazionale e non solo.
La direzione artistica di Emanuele Masi ha sviluppato un’idea di arte coreutica molto ampia, declinata attraverso 35 rappresentazioni, di cui 6 in prima nazionale, 2 in prima assoluta e 4 coproduzioni su un universo del linguaggio che è sempre più ibrido, performativo, dove la lezione del passato convive con un presente che viene ogni volta distrutto e rielaborato attraverso una concettualizzazione del segno in alcuni casi (se ne è avuta prova la sera di apertura del festival con la performance di Maurizio Saiu), o un richiamo al linguaggio classico e alle sue precisioni, ma contaminato dal melting pot dell’oggi, come nel caso di uno dei maestri di questa edizione, Bill T. Jones, con due composizioni in cui classico, moderno e contemporaneo si fondono in modo originalissimo e potente.
Un festival immerso nel suo territorio, ospitato nelle sale del Teatro Comunale, ma anche al Museion – Museo di arte contemporanea di Bolzano, o in altri luoghi simbolici del centro urbano o nei parchi cittadini, oltre che al NOI Techpark, al Laimburg e all’altipiano del Renon che abbiamo raggiunto in funivia per raccogliere l’ulteriore capitolo della ricerca di Claudia Castellucci con l’eredità del ballo tradizionale nel nostro tempo.
Peraltro in questa edizione, come accade in molti grandi festival europei, il direttore artistico Emanuele Masi ha deciso di far affiancare al suo sguardo quello di un artista ospite, una pratica ormai molto diffusa e che nel caso di Bolzano ha caratterizzato tutta la programmazione degli eventi OUTDOOR, affidati appunto alla curatela di Michele Di Stefano, coreografo e guida del collettivo Mk, Leone d’Argento alla Biennale di Venezia 2014, e già conosciuto dal pubblico bolzanino per il progetto della Museion Media Façade nel 2014. A questa serie di appuntamenti è stato dato il nome di Vedute/Ansichten, con artisti al confine fra danza e performance, come Roberta Mosca e Canedicoda, Strasse, Maurizio Saiu, Fabrizio Favale e Claudia Castellucci, appunto.
Il Teatro Comunale ospiterà invece i grandi nomi della scena internazionale: dopo l’apertura affidata a Bill T. Jones, arriveranno a seguire nel programma grandi nomi italiani e stranieri, come Michael Clark, Ohad Naharin, Helena Waldmann, Eric Gauthier, Marco Goecke, Boris Charmatz, Virginie Brunelle, Roberto Zappalà, Alessandro Sciarroni, Michele Di Stefano, Lali Ayguadé e Dunja Jocic.
Torniamo ora sugli eventi del primo week end per un racconto di quanto accaduto.
Ad aprire le danze, è proprio il caso di dire, Bill T. Jones e la sua storica compagnia americana Arnie Zane, mai ospitata al Festival, e in tournée in Europa in questa estate con alcune coreografie storiche. Quelle presentate a Bolzano sono due capisaldi della poetica dell’artista coreografo, che fanno dialogare musica classica e danza contemporanea: sulle celebri partiture di Schubert e Mendelssohn (eseguite dai Solisti dell’Orchestra Haydn) il pubblico assiste a due progetti di spazializzazione del movimento danzato di grande suggestione e impatto: Story/ e D-Man in the Water.
Bill T. Jones è sicuramente fra i massimi esponenti della coreografia americana contemporanea, figura simbolica delle arti e della cultura nera, oltre che partecipe delle lotte per i diritti della comunità gay. Ammalatosi, anni addietro di AIDS, ha lavorato con una sensibilità particolare anche alla tematica della malattia e della morte, avendo peraltro perso per questa ragione uno dei suoi maggiori ballerini a fine anni Ottanta. Ed è proprio a Demian Acquavella che è dedicato il celebre D-Man in the Waters, capolavoro del 1989 ripreso nel 1998 e danzato anche da altri ensembles nel mondo. A D-Man è stata abbinata Story/, del 2013: due lavori presentati nell’ambito delle serate denominate Play and Play: An Evening of Movement and Music dove, di volta in volta, Jones inserisce e accoppia pezzi nati in relazione stretta con la partitura musicale.
Story/, è l’ultimo tassello della ricerca della compagnia su Indeterminacy di John Cage. L’azione scenica, che in teoria celebra la creazione aleatoria, una sorta di epifania di arte eventuale, trova in realtà almeno formalmente una scansione spaziale molto nitida nella suddivisione del palcoscenico in un grande rettangolo diviso in nove parti uguali. Nello spazio rettangolare a destra l’orchestra bolzanina in formazione di quartetto. Negli altri spazi agiscono i danzatori che compongono, come nel precedente lavoro Story/ Time, movimenti casuali, ispirati al Quartetto per archi n. 14 (La morte e la fanciulla) di Franz Schubert, un’idea su casualità, combinazione e improvvisazione che dialoga non a caso con la proposta solista di Roberta Mosca che sarebbe partita all’indomani e di cui diremo dopo. L’esito è di grandissima armonia, di dialogo, quella combinazione fra corpi maiuscoli e multietnici, diversità di ogni genere, rimandi al codice classico comune a tutta una scuola americana, che pur nelle gradi diversità comprende artisti come Jones, Alonso King e altri.
Di D-Man in the Waters è quasi superfluo parlare, trattandosi di un successo mondiale datato 1989, dedicato alla memoria del danzatore Demian Acquavella scomparso a soli 32 anni di AIDS, ripreso poi dopo un decennio e vincitore di un Bessie Award. Di quella storica versione riproponiamo in video sotto una registrazione storica: un pezzo che celebra la vita e la capacità dell’essere umano di reagire.
Le note dell’Ottetto per archi in mi bemolle maggiore Op. 20 di Felix Mendelssohn eseguito dalla formazione locale, questa volta giù dal palcoscenico e davanti alle prime file della platea.
Il successo di questo lavoro è in un’armonia di movimenti e di scelte cromatiche intonate ad un ambiente liquido, quasi sottomarino, che pur ormai portatore di un sapore coreografico a suo modo passato, visibilmente coerente al sistema di segni in voga trent’anni fa, mantiene una sua freschezza d’insieme che lo rende assolutamente degno di essere dentro una rassegna, come Bolzano Danza, la cui ambizione è proprio quella di tracciare in ogni edizione un pensiero sul linguaggio dell’arte coreutica in cui Storia e Presente dialogano in continuità.
Terminati i due spettacoli della compagnia americana, si è migrati in gran numero nel piccolo giardino hortus conclusus prossimo al teatro, dove il coreografo, danzatore e cantante sardo Maurizio Saiu ha proposto Flaming doors, rito collettivo in cui una serie di performer (probabilmente scelti in una attività laboratoriale) e l’artista stesso danno luogo ad un’indagine enigmistica e di senso sul tempo dell’oggi. La performance si inizia con una declamazione alfabetica dei giovani performer alle spalle di Saiu che quasi naufrago si poggia con il corpo esausto su una porta orizzontale.
Bussa Saiu, e la babele alle sue spalle si perde in sofisticati tautogrammi. Il tautogramma è una frase in cui tutte le parole iniziano con la stessa lettera. Così dopo aver declamato l’alfabeto, i performer leggono piccoli componimenti tautogrammatici sull’oggi, ciascuno con una lettera diversa dell’alfabeto stesso. Critiche sferzanti ad un tempo di porte che non si aprono, di inascoltate richieste di aprire. Andranno via i declamatori enigmisti, un ragazzo di origini verosimilmente africane accenna una danza di sapore hip hop metropolitano, la porta viene distrutta con un martello gigante e bruciata. Un primo rituale, di carattere verbale e poi pirico, che dà il via ad una serie di altre performance, quelle contenute nella selezione di Di Stefano, che almeno nel primo weekend hanno tutte un sapore molto legato alla complessità del rito oggi.
Verso la specie, lavoro di Claudia Castellucci per un gruppo di giovani interpreti della sua compagnia nata in seno a Mòra fondata a Cesena nel 2009 ( a sua volta figlia del progetto STOA del 2002), è una creazione che segue un filone di indagine della coreografa della Societas Raffaello Sanzio che affonda le sue radici indietro di quasi un decennio e che ha avuto alcune tappe significative ne La nuova Neanderthal del 2012 e in altre coreografie ispirate al ballo tradizionale, al ballo tondo, al rituale ancestrale che lega la danza alla forma sociale e all’elemento mistico che fa da ponte fra questi sistemi di espressione dell’umano nella sua dimensione collettiva.
E’ questo il motivo per cui queste creazioni hanno una particolare attenzione a costumi, che sono quasi sempre tuniche o rimandi ad abiti identici per tutti i partecipanti (in questo caso tuniche nere con cappucci quasi monacali a punta) e la musica in cui dal ritmo tribale si passa per la sonorità classica esplosa, fino addirittura alla techno trance in questo caso. Un’eredità che Stefano Bartolini raccoglie dallo storico compositore della Societas Scott Gibbons che ne la nuova Neanderthal si era addirittura ispirato a Le sacre du Printemps. E in questo caso la creazione coreografica, che rimanda ad evocazioni del simbolismo religioso (la processione, il movimento liturgico, la preghiera), che cerca di affrontare i temi sociali dell’affratellarsi e del dividersi in fazioni ideologiche, ma che riesce anche a passare da segni e gesti della tradizione agricolo-pastorale fino al movimento sintetico della musica techno underground. E’ in questi nessi diciamo antropologici la parte più ricca della creazione coreografica, che rimanda sempre alle origini della ricerca e trova elementi sintetici che collegano passato e presente, ancestrale e moderno. Non completamente organici alla narrazione invece alcuni inserti narrativi o micro epifanie di leggibilità drammaturgica che non riescono a tracciare dimensioni di senso aggiuntive rispetto all’operazione nel suo complesso.
Il tentativo di una lunga sinestesia ambientai-sonora è stato alla base dell’appuntamento performativo di Roberta Mosca, danzatrice con William Forsythe e coreografa indipendente, e del musicista e performer Canedicoda durata 24 ore esatte e andata in scena negli spazi del Museion, pregevole istituzione dedita alla contemporaneità delle arti in Bolzano, con riconoscimenti internazionali. L’idea è una performance non di resistenza fisica tout court, ma diremmo quasi di abbandono sinestesico, sciamanico ad un rituale immeresivo il cui tentativo, in un ambiente informale di cuscini per terra e piccoli lenzuoli per un’accoglienza prolungata, era quello di lasciarsi attraversare dalla musica cercando un dialogo gestuale con l’ambiente, il suono, l’inconsistenza delle presenze e delle assenze che in quel volgere del giorno si sono succedute.
La stanza un ambiente di luci tenui, costanti, una sorta di giorno-notte che ha permesso a chi ha seguitato a frequentare lo spazio, di assistere a movimenti dilatati, speranze, tentativo strenuo di ispirazione continua. Una fatica non indifferente per i due artisti, in dialogo fra di loro, in una creazione tanto spettacolare quanto ideologicamente opposta a tutto quello che è mercato e mercimonio dell’arte. In questo, l’esperienza di chi ha voluto condividere, per un tempo libero e soggettivamente scelto, la permanenza nello stesso ambiente dei performer, ha accettato questa modalità. Nulla costringeva. Si poteva entrare e uscire. L’arte è libera in ingresso e in via di fuga. E così lo stimolo per l’artista, arriva, attraversa e va, fino alla traccia successiva, in un legame ininterrotto in cui magari l’artista sarà anche rimasta sola per un certo tempo.
Solo per la notte si è deciso che chi entrava dopo una certa ora sarebbe rimasto fino al mattino. Una sorta di veglia per l’arte.
Concettualmente una sorta di sogno lucido, alla ricerca di stati, condizioni e limiti. Oltre la musica e il corpo nulla. Un librino artigianale, contenente le riflessioni, gli scritti, le email e gli sms che gli autori si sono scambiati nella fase preparatoria del progetto e dopo ogni messa in scena dell’evento, un vademecum di intenzioni e frammenti artistici dal sapore transavanguardistico, che come d’altronde il linguaggio proposto dalla Mosca, guarda ad uno stato di nomadismo culturale, di recupero quasi sensoriale dell’arte come stimolo all’esperienza, oltre il linguaggio astratto-concettuale delle neoavanguardie. Questo Musica per un giorno è un happening, un rito, uno spazio del sacro. Non tutto sarà stato ispiratissimo, magari; magari ci saranno state umane stanchezze, flessioni di energia fisica, ma l’operazione ha un tratto fondamentale. L’onestà. Il tentativo vero di farsi attraversare dallo Spirito della danza.
Story/
ARNIE ZANE COMPANY
Coreografia Bill T. Jones
JANET WONG
Direttore artistico associato
Interpreti della Compagnia
Vision Fraley Jr., Barrington Hinds, Shane Larson, I-Ling Liu
Penda N’diaye, Jenna Riegel, Christina Robson, Carlo Antonio Villanueva e Huiwang Zang
Musica Franz Schubert, Quartetto per archi n. 14 (La morte e la fanciulla)
Esecuzione Solisti dell’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento
Durata 40 minuti
D-Man in the Waters
Coreografia Bill T. Jones
Musica Felix Mendelssohn Bartholdy, Ottetto per archi in mi bemolle maggiore Op. 20
Esecuzione Solisti dell’Orchestra Haydn di Bolzano e Trento
Interpreti: Vision Fraley Jr., Barrington Hinds, Shane Larson, I-Ling Liu
Penda N’diaye, Jenna Riegel, Christina Robson, Carlo Antonio Villanueva e Huiwang Zang
Durata 40 minuti
Flaming doors
Ideazione e regia Maurizio Saiu
Durata 40 min
Verso la specie
SOCÌETAS – CLAUDIA CASTELLUCCI
Ballo della Scuola di movimento ritmico Mòra
Coreografia Claudia Castellucci
Insegnante coreografo Alessandro Bedosti
Musica Stefano Bartolini
Interpreti Sissj Bassani, Francesco Dell’Accio, Tommaso Granelli, René Ramos, Stefania Rovatti, Federica Scaringello
Durata 50 min
In collaborazione con Parkhotel Holzner e Cooperativa 19
Musica per un giorno
ROBERTA MOSCA – CANEDICODA
Performer Roberta Mosca, Canedicoda
Durata 24 ore