ALESSANDRA PRATESI | Largo al factotum del teatro. Largo! Dello spettacolo La scuola delle mogli, presentato nel Giardino Ritrovato di Palazzo Venezia all’interno della programmazione dell’estate romana ArtCity 2018, il tuttofare è Arturo Cirillo. Nella doppia veste di attore e regista, Cirillo mette la sua verve al servizio di un classico di Molière, una verve graffiante e ipertrofica. La proposta si deve alle scelte di Sonia Martone, direttore del Museo di Palazzo Venezia, e di Anna Selvi, direttore dell’ufficio per il teatro e per la danza del Polo Museale del Lazio, in collaborazione con Davide Latella, responsabili della programmazione ArtCity. Tra conversazioni di architettura, concerti, spettacoli di teatro e di danza, è l’occasione per offrire a turisti e non i tesori della città in una cornice diversa, dove il patrimonio culturale di arti visive dialoga con il panorama contemporaneo delle arti performative.
Arnolfo (Arturo Cirillo) è un parvenu, si fa chiamare Signor del Ramo per darsi quel tono e quella posizione che i natali non gli avevano assicurato, ha disprezzo per i cornuti e nella massima considerazione la fedeltà coniugale (della donna verso il marito, ça va sans dire). Accoglie, così, non per caritatevole compassione ma per interesse personale, la richiesta di una povera contadina e ne prende in carico la figlia. La fa allevare in un convento, tutta ricami, preghiere e sottomissione, zero istruzione. Agnese (Valentina Picello) cresce ignara della sua condizione di cavia umana: l’esperimento consiste nel creare la moglie perfetta, culturalmente e socialmente inferiore al futuro marito cui dovrà ogni cosa. Il caso, però, interviene e conduce Orazio (Giacomo Vigentini), giovane di belle speranze, sotto la finestra di Agnese, fille mal gardée da due gretti servi-carcerieri dall’accento vagamente campano (Rosario Giglio e Marta Pizzigallo). Orazio è un incrocio improbabile tra Fedez, Michael Jackson e Lucignolo, che con serenate a suon di rap, con il fascino del bomber e del cappello da baseball con visiera al contrario, conquista il cuore ingenuo della ragazza; di certo non priva di fascino la sua prova attoriale, comunque, con punte di virtuosismo da parte di Vigentini nel passare dalla recitazione al canto, dai passi hip hop alla recitazione dell’innamorato appassionato. La commedia procede con i tipici e prevedibili equivoci del genere comico-borghese, l’agnizione finale fa il resto e fa convolare a nozze i giovani. Il lieto fine da manuale, stucchevole anzichenò, affretta la conclusione con sommo scontento del machiavellico e ormai fallito Arnolfo-del Ramo.
La recitazione appare forzatamente esagerata, la prosa risulta un fardello a tratti sovraccaricato e un ritmo spesso precipitato: è la natural conseguenza del voluto effetto caricaturale che estremizza i caratteri umani della commedia dell’arte e di Molière. Ecco spiegati lo strillato di Cirillo, la petulante Picello, lo stralunato Vigentini, la goffaggine grottesca di Pizzigallo e Giglio. Piccole tregue nei cambi di scena (a cura di Dario Gessati) accompagnati dagli stacchetti musicali (a cura di Francesco De Melis). Un cubo-casa di bambole è la casa di Agnese e tutta l’azione ruota – letteralmente – intorno ad essa, espediente non nuovo se si pensa al Barbiere di Siviglia del 2016 di David Livermore. La versione firmata Cirillo di Molière è figlia tanto della tradizione rossiniana filtrata da Beaumarchais quanto della comicità distopica dei nostri tempi. Non è un caso che Agnese vesta solo cinquanta sfumature di rosa (Rosina era il personaggio femminile del Barbiere di Siviglia); non è un caso che la proposta di matrimonio di Arnolfo sia seguita dalla consegna di una parrucca bionda in regalo (in La donna perfetta, film di Frank Oz con Nicole Kidman, immancabilmente bionde diventavano le mogli modello di una strampalata cittadina nel Connecticut). Che dire poi dell’invito a cena di Arnolfo a Crisaldo in perfetto stile La cena dei cretini di Francis Veber, condotta con la stessa complicità malandrina del Gatto e della Volpe? O ancora, della strizzatina d’occhi al Frankenstein Junior di Mel Brooks in quell’incalzare di «Lui là» che fa eco a «Lupo ululà, castello ululì»? Dal catalogo dei cornuti al massimario della moglie perfetta (che più onesta pare più d’oca è il suo cervello), Cirillo svela l’animo profondamente malinconico e disilluso di Molière sugli uomini e sulla società cui aggiunge un accento sulla rabbia aggressiva della piccineria meschina dei furbi.
La scuola delle mogli
Regia Arturo Cirillo
Traduzione da Molière Cesare Garboli
Interpreti Arturo Cirillo (Arnolfo, alias Signor Del Ramo), Valentina Picello (Agnese), Rosario Giglio (Crisaldo e il servo Alain), Marta Pizzigallo (la serva Georgette), Giacomo Vigentini (Orazio e un notaio)
Scene Dario Gessati
Costumi Gianluca Falaschi
Luci Camilla Piccioni
Musiche Francesco De Melis
Coproduzione MARCHE TEATRO, Teatro dell’Elfo, Teatro Stabile di Napoli
In collaborazione con Festival Teatrale di Borgio Verezzi 2018
Ph. Luca Del Pia
Visto nel Giardino Ritrovato di Palazzo Venezia (Roma)
all’interno della rassegna ArtCity 2018
24 luglio 2018