MARGHERITA SCALISE |PAC continua a seguire gli spettacoli della Biennale 2018, nei giorni dal 30 al 1 agosto (a questo link la prima parte del reportage su questo periodo).  In questa sede approfondiamo invece due spettacoli: Jakob Von Gunten di Fabio Condemi e Mind the gap di Giuseppe Stellato.

Fabio Condemi (Ferrara, 1988) presenta in prima assoluta Jakob Von Gunten, grazie alla menzione speciale ricevuta nella scorsa edizione del Festival all’interno del bando Registi under 30. Lo spettacolo è tratto dall’omonimo romanzo/diario di Robert Walser del 1909, in cui il giovane Jakob racconta la sua vita all’interno dell’Istituto Benjamenta. Scopo dell’Istituto è insegnare agli allievi a servire, ad annullarsi; tra cronache della scuola e riflessioni critiche, Jakob impara a “diventare uno zero”. Nel testo realtà e fantasticherie tendono a fondersi; la vicinanza di Robert Walser ai circoli secessionisti austriaci (scriveva per la rivista Die Insel, fulcro della letteratura dell’area tedesca al sorgere del nuovo secolo) permette alla sua scrittura di raggiungere uno stile in cui la cronaca si scioglie fluidamente nell’onirico. Il diario di Jakob è privo di riferimenti temporali, ed attorno a lui si avvicendano i compagni e i due fondatori dell’Istituto, i fratelli Benjamenta.

Nella regia di Fabio Condemi il testo viene accorciato e in scena rimangono solo tre personaggi: Jakob Von Gunten (Gabriele Portoghese), il compagno Kraus (Xhulio Petushi) e la sig.na Lisa Benjamenta, l’istitutrice (Lavinia Carpentieri).

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Jakob Von Gunten, foto 2017

Come nel romanzo, si alternano scene della disciplina scolastica e monologhi di Jakob. Le sequenze degli “esercizi” a cui gli allievi sono sottoposti sono millimetriche; i personaggi sostengono con meticolosa cura reiterazioni di azioni assurde (tra le tante, mangiare imperturbabilmente mezzo limone nel minor tempo possibile, o marciare ritmicamente nei confini di un parallelepipedo gigante) sotto lo sguardo severo della sig.na Benjamenta. Man mano che lo spettacolo progredisce, gli squarci onirici di Jakob prendono sempre più spazio: la sig.na Benjamenta si spoglia e lo seduce, gli insegnanti della sua vecchia scuola appaiono addormentati (Jakob ne parla indicando alcuni pesci rossi in un’enorme acquario). La poesia delle scene di sogno è esteticamente perfetta: sembra di essere entrati in una sospensione surreale, con alcune immagini che richiamano Magritte. Sono numerosi i riferimenti all’arte visiva: dall’arte povera (con gli elementi naturali ripresi come archetipi: un secchio di terra fresca da baciare, i pesci vivi, l’acqua, le piume al posto della neve), al suprematismo (compaiono spesso elementi geometrici di colori primari) fino a richiami più accennati, come il ritratto di Walser ribaltato – ricorda le decostruzioni di George Baselitz, che richiedono di andare oltre il primo significato rappresentato. Senza dubbio la drammaturgia dell’immagine, a cura di Fabio Cherstich, permette di entrare nelle atmosfere di sospensione e mistero presenti nel romanzo.

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Jakob Von Gunten, da www.fabiocherstich.com

Alla ricerca formale dell’immagine si accompagna quella relativa alla qualità dei movimenti, che richiamano alla mente le danze di Gurdjeff o le strutture ritmiche di Claudia Castellucci. Ma è proprio questa continua precisione a permettere, con minuscoli spostamenti dalla struttura, l’esplosione dell’ironia: è così che la minima trasgressione alle regole permette un avvicinamento empatico a Jakob e un esito comico in diverse scene. Anche la cifra del grottesco è presente: in una scena particolarmente riuscita, i due allievi devono cantare un’operetta aspirando dell’elio da grossi cuscini, in un contrasto tra comicità e umiliazione. Le azioni che altrove sarebbero ritenute di servizio diventano qui le azioni principali: lo spostamento degli oggetti o la preparazione della scena successiva sono il fulcro di una dinamica in cui i personaggi imparano a servire. La direzione degli attori rimane su questa doppia linea di precisione formale e ironia, conferendo tridimensionalità e credibilità ai personaggi. Fabio Condemi riesce a scavare nella profondità del testo e a distillarne l’essenza, creando uno spettacolo semplice e perfetto. 

Dopo Oblò (2017), Giuseppe Stellato presenta alla Biennale in prima assoluta Mind the Gap che, come il lavoro precedente, sonda il limite tra performance e installazione. Stellato, scenografo presso stabilemobile compagnia Antonio Latella dal 2014, porta una riflessione sulla percezione della realtà attraverso i media. All’ingresso del pubblico, Domenico Riso, pittore e performer, prepara una pittura gialla mentre dalle casse si sentono annunci in diverse lingue delle stazioni ferroviarie (“allontanarsi dalla linea gialla”); alle sue spalle, un distributore automatico di merendine. Riso traccia la famosa linea gialla di confine, prende una bottiglietta dal distributore e si allontana dallo spazio scenico. Dopo qualche secondo, la macchinetta inizia ad erogare spontaneamente diversi oggetti: una scarpa da bambino, un passaporto, un dizionario italiano, sabbia, pomodori, noci… Infine il performer torna sul palco, elimina la riga gialla e si infila lui stesso nel distributore, sul cui vetro cola pittura gialla.

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Disegno per Mind the Gap, L’Arboreto

La macchinetta è un distributore automatico: ovvero genera e distribuisce automaticamente notizie, anche con una certa bellezza del movimento (tanto più che gli oggetti cadono a terra con un ritmo e una sequenza ricercati). La linea gialla crea la distanza grazie alla quale comunemente si evita che le persone si facciano male, crea una barriera di distacco, in questo caso emotivo. Assistiamo distaccati a una distribuzione calcolata di notizie; Stellato propone qui una riflessione sulla fruizione mediatica relativa alle migrazioni e agli sfruttamenti. L’informazione fuoriesce e viene osservata acriticamente. Anche nel caso in cui, alla fine, si riuscisse ad eliminare la linea gialla e a valicarla, comunque la vista sul mondo esterno non potrebbe diventare lucida: lo sguardo sarebbe ormai appannato dallo stesso distacco giallo.

La riflessione sui confini (e sulla loro eventuale esistenza) tra attore e performer, tema di questa 46. edizione del Festival, si arricchisce qui dell’incontro con l’installazione artistica, dove le azioni minime e indispensabili del performer diventano esclusivamente utili al funzionamento dell’opera d’arte.

JAKOB VON GUNTEN

da Jakob Von Gunten
di Robert Walser
traduzione di Emilio Castellani (Adelphi)
regia e drammaturgia Fabio Condemi
drammaturgia dell’immagine, scene e costumi  Fabio Cherstich
disegno luci Camilla Piccioni
con Gabriele Portoghese, Xhulio Petushi, Lavinia Carpentieri
realizzazione scene e attrezzi Falegnameria Scheggia – Modena
realizzazione costumi Anna Coluccia
produzione Fattore K.
in coproduzione con Accademia Silvio D’Amico
in collaborazione con AMAT – Associazione Marchigiana Attività Teatrali

visto al Teatro alle Tese il 31/07/2018

MIND THE GAP

ideazione e regia Giuseppe Stellato
collaboratore e performer Domenico Riso
collaborazione alla drammaturgia Linda Dalisi
suono Franco Visioli
luci Simone De Angelis
produzione Brunella Giolivo
management Michele Mele
produzione stabilemobile
in collaborazione con Olinda e L’Arboreto di Mondaino

visto presso il Foyer Tese il 1/08/2018