ANTONIO CRETELLA | La strumentalizzazione di tragedie pubbliche è una fase inevitabile del confronto politico: una volta metabolizzato, o meglio, mediaticamente fagocitato l’orrore, la sciagura entra a far parte del novero delle ripicche e dei discrediti per mettere in cattiva luce l’avversario. Ponte Morandi non fa eccezione, se non per l’accelerazione impressa al processo: il Governo del Cambiamento, mai stato molto rispettoso delle cortesie istituzionali e del fairplay politico, ha saltato a piedi uniti il momento di decompressione emotiva, puntando in maniera decisa allo sfruttamento della tragedia a fini propagandistici. D’altro canto la base del consenso del Governo del Cambiamento è l’agitamento viscerale delle masse, e l’indignazione è come lievito madre, pertanto ogni elemento che contribuisca a rinfrescare l’impasto di collera e cieco revanscismo, deve essere sfruttato nel miglior modo possibile. In tal senso, la tragedia diventa una manna dal cielo per il potere carismatico: offre un argomento nuovo a un esecutivo stagnante da mesi nell’allungamento del proprio brodo propagandistico; offre ai crociati del Cambiamento l’occasione di rinnovare le condanne al passato (i governi che ci hanno preceduto) e aprire nuove cacce alle streghe; offre in prospettiva un nuovo campo su cui operare il confronto tra italiani nelle tende e immigrati negli hotel, come ha fatto presagire il tempestivo tweet del vicepremier che voleva alleviare il dolore della tragedia rassicurando i suoi elettori che sì, la gente è morta sotto il ponte, ma non arriveranno nuovi migranti.
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