EMILIO NIGRO | Un attore solo. In scena – un anfiteatro all’ aperto, senza nessuna parete – entrato dalle spalle di un fondale inesistente, che lascia lo sguardo libero di perdersi verso l’orizzonte scuro, dove si toccano cielo e mare. Giunto da lontano, come un avvistamento: la figura appena visibile, prima, di cui si distinguono a fatica i contorni – come arrivano gli eroi partiti per la guerra e aspettati dai cari ogni giorno guardando al di là delle cose visibili -. Portando con sé una storia, una storia crudele, tristemente non eccezionale, una storia di uomini e perversioni. Una storia di abusi, vera, accaduta in Calabria ma senza connotazione peculiare e locale. Succede ovunque: le attenzioni morbose di un prete e il suo compare a un paio di bambini ingenui come una bestemmia.

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L’attore è Angelo Colosimo, calabrese trapiantato a Bologna. Lo spazio scenico è l’anfiteatro di Ricadi, in località Torre Marrana, un luogo incantevole, ciò che resta della memoria di tempi antichi e fastosi, un posto, che è già spettacolo. Il contesto è Avvistamenti Teatrali festival, alla seconda edizione a riportare il teatro nelle dimensioni umane, emotive, d’arte e non artificio.

In tenuta sportiva, blu, e un numero sulle spalle che è già simbolo. L’unico accenno estetico, frugale, d’un andare di scena scandito da parole e figura, gesto e drammaturgia. Diversi i livelli di sovrapposizione al reale, a identificare scene e cambiamenti di registro. Sfumati i toni e le intenzioni: l’attore che rappresenta l’idea da condividere rendendola oggettiva e intellegibile. Sicuramente un compito facilitato dal tipo di struttura dello spettacolo: il codice della narrazione prevede l’immaginifico piuttosto che l’iconografico, la parola a intensificare, piuttosto che farsi decifrare.

Resoconti mostrati in azione, gli accadimenti svelati senza incedere terzo o strutturalismi propositivi: un dramma secco, lineare. Dove, per contrappunto, tecnicismi puramente narrativi, anche letterari, (quello che si definirebbe catalyst in altri contesti) in cui l’innesto teatrale si esplicita nell’utilizzo gestuale e mimico. Personaggi non ben definiti, a volersi incastrare con l’ineluttabilità di accadimenti privi di caratterizzazioni e quindi commenti di sorta, personaggi che arrivano per le loro deprecabili (e non solo) azioni. A caratterizzarsi divengono invece mentalità e ambienti. Realtà sottovuoto dove l’andare sociale e interiore risponde a dogmi prescritti. In cui il delitto è addirittura assolto dalla posizione sociale di chi crudelmente lo persevera. E gli abusi di un sacerdote, sono quelle vergogne da non spifferare con il rischio di essere tacciati d’infamia o tingersi di ignominia. E i bastardi la fanno franca. Sempre. In un sud meraviglioso ma ostaggio di retaggi primitivi. Socialità per cui l’apparenza ha uguale e maggiore potenza di cosa accade. E ad accadere, capita sia l’inenarrabile.

bestie rare

L’approdo veicolato dalla scena è fragile e intenso. Per cui ridere a denti stretti nella fase preparatoria al colpo di scena e al grumo tragico, e incantarsi per la prosa serrata e fendente. E indignarsi, anche, senza che ad essere provocata sia la violenza, per l’esito dell’inscenato.

Forse si dovrebbe raffinare, la dialettica, vicina di frequente ad un linguaggio semplicistico che leva al lirismo emotivo. Così come nell’insieme, meccanico e artistico, lo spettacolo risulta sporco. Ma di quell’imperfezione che lascia vedere le croste sulla pelle. I nei e le rughe d’una nudità, meglio delle scene confezionate, truccate e in cotillon, caratteristiche di buona parte del teatro visto in giro. Buono solo per far battere le ciglia ad un pubblico ammaestrato.

 

BESTIE RARE

Di e con Angelo Colosimo

Regia Roberto Turchetta

 

 

Visto a Ricadi (VV) il 9.8.’18 – Avvistamenti Teatrali Festival