RENZO FRANCABANDERA | Arcangelo di Franco Ferrante e Michele Bia, interpretato dal primo con la regia del secondo, è uno di quei lavori di autobiografia romanzata in cui l’interprete-drammaturgo prende spunto da una vicenda personale per portare in scena tipicamente un ragionamento più ampio, che può di volta in volta riguardare la fragilità umana, i rapporti interpersonali, o magari un affresco sociale, come nel caso ad esempio nelle narrazioni di Celestini o della trilogia della provincia di Oscar de Summa.
Questa creazione, invece, sta un po’ più nella scia di opere come Primi passi sulla luna di Andrea Cosentino dove la genitorialita’ maschile, a volte un po’ “macha” e italiana, a volte un po’ imbranata e gradassa a-là Alberto Sordi, si scopre di colpo senza parole davanti alla paura di un problema di salute della progenie. Ma in Arcangelo la cifra è meno surreale, per diventare invece satirico-sociale, autocorrosiva e generazionale.
La costruzione dello spettacolo ha uno schema tipico, diremmo ad incastro, che la abilità sia comico-popolare che recitativo-drammatica di Ferrante abita con naturalezza, non essendoci in scena null’altro se non l’attore stesso, ed essendo persino l’intervento della cabina luci e musiche ridotta praticamente a poco più che nulla; una sorta di auto-farsa in cui l’over 40, guardando alla sua essenza profonda e davanti alle responsabilità della vita, scopre, in un puro meccanismo di agnizione indotta, quella cecità rispetto al sistema valoriale, o quella voglia di fuga da esso per un ritorno di infantilismo e paura della maturità che lo porterà poi ad una fuga vera e propria dal reale nei suoi momenti più tragici. Scorrono davanti agli occhi alcune visioni delle grandi graphic novels in cui il protagonista di trova pian piano assorbito dal nulla come in alcune tavole di Gipi.
È insomma la recita dell’attore il quale, dopo una parte iniziale da stand up comedy, in cui si ride della demenza social, del chattare online et similia, si porta il pubblico in tasca e poi lo fa piombare nella disperante vicenda familiare. Il tema della malattia del visus del bambino, diventa così a sua volta pretesto per affrontare una difficoltà ancor maggiore nell’adulto di guardare al suo tempo, al suo lavoro, alla sua dinamica di vita, rinchiuso in una sorta di incomunicabilità con l’esterno che come nel caso di moltissimi, cerca una sorta di immortalità o atemporalità giovanilistica nella proiezione social.
Il testo gioca così su continue deviazioni da quello che sembra di volta in volta essere il fuoco dell’indagine, in un inseguimento dell’uomo, che è poi l’attore che interpreta se stesso come personaggio ma in fondo come persona, nel tentativo di sfuggire persino alle parole. Ferrante in tuta nella recita, e dunque quasi intento ad una prova più che ad uno spettacolo vero e proprio, si allena a questa corsa da se stessi per tutto lo spettacolo.
La drammaturgia accompagna molto bene la recita (e viceversa) soprattutto nel raccontare l’uomo spaesato, il gigione flaneur di colpo incapace di ritrovare le coordinate della sua esistenza davanti alla vita che spariglia le carte. Qualche aggiustamento possibile nelle piccole parti di testo che fungono da collante fra gli ambienti narrativi, collegando la dinamica interna a quella esterna, dove viene cercato una sorta di parallelismo emotivo fra dentro e fuori l’animo umano, con zoom dal micro al macro in grandangolo. Parliamo di poche battute, che segnaliamo al Ferrante drammaturgo, su cui è possibile cercare un’uniformità stilistica totale, ma che non inficiano comunque in nessun modo la creazione complessiva, che risulta efficace da parte di un artista, Ferrante, indubbiamente capace di effettuare, nel giro di poche frasi, virate su stati emotivi tragicomici con potenza scenica e mestiere, con una regia, quella di Bia, che ne misura intenzioni e possibili eccessi, tenendo tutto dentro una misura assai tagliente.
ARCANGELO
Testo Michele Bia / Franco Ferrante
Con Franco Ferrante
Regia Michele Bia
Luci Roberto Colabufo / Ugo Maurino
Produzione: Teatroscalo
visto a Rigenera, Palo del Colle, il 19 maggio 2018