ANTONELLA D’ARCO | Quattro figure di spalle, vestite di nero. Un taglio di luce in diagonale che le illumina appena. Due uomini e due donne. Avanza un uomo, poi l’altro, poi una delle donne. Siamo al funerale di Simone, una ragazza di venticinque anni che ha deciso di porre fine alla sua esistenza gettandosi dalla finestra del terzo piano del suo appartamento. Lo scopriamo dalle battute al vetriolo di quei tre, adesso posizionati di fronte alla platea, indirizzate alla povera vittima di se stessa.
Sono gli inquilini del palazzo dove abitava Simone, i suoi vicini di casa: C.C.B. (Marcello Manzella), un caustico giornalista con la mania per l’ordine e per il silenzio, la prostituta svampita (Valentina Elia), oggetto del desiderio di tutti i condomini dello stabile e il commissario (Gianluca Ariemma), che conduce una vita da cinico e menefreghista bohemien.
Il trio sputasentenze, schierato come un plotone d’esecuzione, la cui arma è la parola, è pronto a colpire di nuovo, su un’altra vittima: Corinne.
Effetto Werther della compagnia Dietro La Maschera, andato in scena all’Officina Teatro di Caserta, testo e regia di Gianluca Ariemma, è lo sviluppo del progetto che ha vinto una menzione speciale nell’edizione 2017 del Premio Nazionale Giovani Realtà del Teatro dell’Accademia Nico Pepe di Udine. Cast rinnovato, per l’eccezione del regista che è anche in scena, e aggiunta di personaggi hanno caratterizzato il nuovo allestimento.
Ai tre vicini si affiancano Corinne (Giulia Navarra) e Cobb (Ivan Graziano). Corinne abita in un appartamento di 40 m2, inospitale e buio, con il bagno esterno e con una sola finestra che affaccia sulla ferrovia. Osservare il passaggio dei treni è l’unico svago che si concede e che ben racchiude il suo stato emotivo: “La solitudine fa eco nelle carrozze deserte”. Cobb, scrittore in erba, è il candidato a diventare il suo perfetto coinquilino. Il loro incontro è circoscritto in uno spazio claustrofobico che la regia disegna con un recinto di luci al neon. Al centro un baule, il baule dei ricordi di Corinne. In esso, lei decide di nascondersi definitivamente: un colpo di pistola alla testa, sotto lo sguardo attonito di Cobb, il corpo di lei precipita in quei ricordi, per sempre.
Il rumore di quel colpo desta la curiosità dei vicini che piombano in casa, alternandosi. Nel vortice noir di parole urticanti, humor nero e doppi sensi che s’innesca, Cobb deve districarsi da quella realtà melliflua e allucinatoria, nella quale, a poco a poco, comincia a confondersi (o a riconoscersi?).
Si spoglia da se stesso per, forse, vestirsi, dei suoi veri panni. Indossa le pantofole di Corinne, ha il suo rossetto sulle labbra e il suo vestito. La trasformazione esteriore corrisponde alla conseguente immedesimazione e condivisione dei pensieri, delle paure e del disagio della giovane donna.
L’effetto Werther, l’effetto di emulazione di un suicidio alla notizia di un suicida, che aveva investito Corinne, dopo Simone, investe anche Cobb. Ma Corinne è Cobb. L’effetto Werther, allora, non è subìto dall’uomo, bensì da lui ripercorso a ritroso, attraverso le allucinazioni della sua mente. E non soltanto la visione di Corinne, che da morta rassicura Cobb con la frase “C’è il lieto fine per tutto”, è un’allucinazione, ma lo sono anche i vicini. Si muovono sul piano della realtà e della surrealtà. Sono personaggi con caratteristiche concrete, ma anche proiezioni di tutti gli agenti esterni e interni all’individuo che hanno innescato la reazione a catena mortifera. Paranoie, limitazioni di ogni sorta, repressione del desiderio sessuale segnano il percorso di Cobb sino al raggiungimento della consapevolezza della propria morte, della quale si trova a ragionare, lucidamente, con il commissario. Per il servitore dello Stato “il problema è –proprio– il lieto fine”, quella speranza di Corinne a cui lui contrappone “un nuovo inizio”.
Il riferimento della drammaturgia è L’inquilino del terzo piano, film di Roman Polanski del 1976, tratto da Le locataire chimérique di Roland Topor e Nodo alla gola (1948) di Alfred Hitchcock per il pretesto del baule e la suspense creata attorno a quell’oggetto. Un po’ macchinosa la scrittura per intuire i vari piani in cui si muovono i personaggi dalla mutevole natura, supportata però dal ritmo sostenuto dalla bravura degli attori. La regia di luci, buio e ombre, interruttore della mente di Corinne-Cobb, asseconda il flusso serrato dell’azione.
Se si assurge a segno il baule in quanto rivestito di fogli di giornali, allora le parole, le informazioni, certo tipo di comunicazione e di stampa diventano l’arma e la tomba che prima ferisce e poi accoglie l’uomo. In una video-intervista Topor afferma: «Non m’interessa la politica, ma di più il gioco del corpo e della testa dell’individuo, le sue visioni». Il gioco del corpo e della testa dell’individuo è al centro dello spettacolo, filtrato dalla generale, e troppo spesso semplicistica, opinione pubblica di cui i tre vicini sono la personificazione. Il loro chiacchiericcio accompagna il requiem eterno di Corinne. Loro sono, di nuovo, di fronte a noi; noi siamo, di nuovo, davanti a loro, nella stessa posizione della defunta. Resta da scegliere se essere potenziali suicidi sotto la valanga delle parole, se entrare a far parte del flusso di quella valanga o se abbandonare l’idea di “un lieto fine”, per accogliere “un nuovo inizio”.
EFFETTO WERTHER
scritto e diretto da Gianluca Ariemma
con Gianluca Ariemma, Valentina Elia, Ivan Graziano, Marcello Manzella, Giulia Navarra
assistente alla regia Marcello Manzella
regia video Luca Cuomo
effetti sonori Alessandro Calamo
impianto scenico Carmine Claudio Covino
costumi Mariangela Guastafierro
produzione Dietro La Maschera
[…] via L’Effetto Werther delle parole, in teatro — PAC magazine di arte e culture […]