ILENA AMBROSIO | Tommaso, disoccupato dopo la chiusura della fabbrica per la quale lavorava, accetta, in preda allo sconforto e alla disperazione, l’abominevole proposta del suo ex datore di lavoro: abbandonare la propria vita per sottoporsi a un intervento chirurgico che cancelli la sua identità e lo trasformi proprio nel sosia dell’industriale, terrorizzato dagli attacchi criminali nei suoi confronti e deciso a ritirarsi a vita privata. Questo il nucleo drammaturgia di Il viso di un altro del greco Jannis Papazoglou andato in scena al Nuovo Teatro Sanità – per la sezione Circle – nella traduzione di Giorgia Karvunaki e con la regia di Gianni Spezzano.
Accanto al protagonista Ana, il chirurgo plastico – pure ingaggiata con il ricatto – a guidare anche la sua trasformazione interiore. Ma il piano prende una via imprevista: il sosia si ribella e, sedotto dal potere, convince la donna a essere sua complice nell’uccisione di “Lui”… Eppure la cancellazione dell’identità non può essere completa, i fantasmi del passato, il ricordo della moglie Jenny, lo tormentano, si sovrappongono al suo io attuale e, in un delirio distopico, lo spingono all’omicidio della sua stessa “creatrice” lasciandolo solo e in preda – anche lui – al terrore.
Necessaria questa sinossi per comprendere il tenore del lavoro. Un testo che, come dichiara Papazoglou – durante un incontro con i giovani partecipanti a Professione Teatro, laboratori organizzati dal Nuovo Teatro Sanità –, ha sullo sfondo la crisi economica in Grecia, che nasce dalla tragica immagine di una classe media ridotta alla povertà, privata della propria casa, costretta a rovistare tra i rifiuti. Da qui il tentativo di indagare come il singolo agisca in situazioni di crisi, come un sistema economico ammalorato possa indurlo a decisioni estreme; ancora, come il capitalismo costringa all’omologazione, alla rinuncia a se stessi.
Un lavoro politico, dunque, e insieme fortemente esistenziale.
Il regista Gianni Spezzano muovendosi tra ironia e straniamento rilegge il testo in modo assai personale.
Una scena, composta da pochi oggetti d’arredo – un tavolo e una poltrona: claustrofobica stanza sartriana – ha come punto focale un cornice centrale, in primis uno specchio – oggetto di restituzione dell’identità per eccellenza – che, però diventa, di volta in volta, porta, finestra sbarrata, scorcio sull’ambiente esterno. Sempre presente, poi, un microfono; da lì Ana impartisce ordini a Tommaso su come muoversi e parlare – evidente il richiamo agli annunci ai dipendenti in fabbrica – così come un terzo personaggio – assente nel testo originale – passa loro le battute durante il training di immedesimazione nell’altro: una commedia della quale la dottoressa è, insieme, artefice e regista, in una dimensione meta-teatrale che è ulteriore rimando allo sdoppiamento dell’io cui è soggetto il protagonista.
Uno sdoppiamento che si manifesta in gran parte tramite la voce. La messa in scena pare sostenere l’idea che dove il corpo – modificato chirurgicamente, plasmato negli atteggiamenti – può ingannare, la voce, invece, svela la vera identità dei personaggi. Naturale e spontaneo nel suo vero io, Tommaso diventa un mafioso dalla marcata cadenza siciliana quando recita la parte dell’altro – notevole, nonostante una prima fase di lentezza, l’interpretazione di Marcello Manzella –; allo stesso modo la rigida e simil-computerizzata voce della dottoressa/regista si fa tremante e incerta nei racconti del suo passato, della carriera distrutta, dell’amore non ricambiato per l’imprenditore – adeguatamente affettata Giulia Iole Visaggi nel restituire una personalità il più delle volte costruita.
A sottolineare le “trasformazioni di identità” così come i cambi di scena, una selezione di brani musicali estremamente varia: funky con balletto di gruppo per la prima comparsa dell’imprenditore/gangster, jazz per gli incontri con Ana, struggente assolo di violino per ricordo di Jenny – d’effetto la danza del protagonista con la parrucca che gli ricorda la donna –, hip hop durante gli omicidi.
Espedienti di stampo brechtiano volti, evidentemente, a creare nello spettatore quel distacco necessario a cogliere l’humus politico-sociale sottostante la vicenda. Un fondo palesato, comunque, dall’aggiunta del già citato terzo personaggio che apre la pièce da guerrigliero – «La rivoluzione è un atto di violenza», annuncia – la attraversa come presenza costante al servizio dei due protagonisti e la chiude, in un finale aggiunto da Spezzano, portando in scena un telo con una “A” di anarchia, sparando allo stesso Tommaso e sentenziando: «Abbasso il potere!».
Lo sfondo drammatico e tematicamente attualissimo – nonché drammaturgicamente fecondo – della crisi economica greca, della disperazione del singolo schiacciato dal sistema economico – già debole, nonostante le intenzioni, nel testo – subisce, così, una rilettura anarchico-terroristica con accenni di spy story che ci è parsa poco plausibile. Ancor di più l’arma dell’ironia, che pure sarebbe stata adatta allo scopo, si rivela, piuttosto, comicità, a tratti, un tantino esagerata – fuori luogo,a nostro parere, nonché aderente a triti luoghi comuni, la trasposizione di un industriale di successo in un volgare mafioso siciliano.
Insomma gli elementi potenzialmente stimolanti messi in gioco dal drammaturgo greco non ci sembrano essere stati sfruttati al meglio sulla scena, con il risultato di una rappresentazione certamente bene costruita e interpretata ma nella quale si fa fatica a cogliere quel senso politico e insieme esistenziale cui puntava la vicenda.
IL VISO DI UN ALTRO
di Jannis Papazoglou
traduzione Giorgia Karvunaki
con Marcello Manzella e Giulia Iole Visaggi
e la partecipazione di Armando De Giulio
scenografia Vincenzo Leone
costumi Alessandra Gaudioso
editing multimediale Emanuele Pelosi
regia Gianni Spezzano
Nuovo Teatro Sanità
12-14 ottobre 2018
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